Il ventitré è un numero ricorrente nella vita di Lin Zhipeng. Era il titolo del suo primo blog, “North Latitude 23”. È il suo nome su Instagram, finger223. Ed è il suo alias, il suo aka, o come si suol dire, il suo alter ego: No.223, che, per chi non lo sapesse, è il personaggio di un celebre film di Wong Kar-Wai, Chungking Express. Non è un caso dunque che Saint Laurent lo abbia scelto per esibire le sue fotografie all’interno di una mostra nei suoi negozi Rive Droite a Parigi e a Los Angeles.
Già, perché secondo le antiche simbologie il numero ventitré è composto di due elementi, di cui il primo, il due, rappresenta la dualità e l’unione di due elementi. È considerato, insomma, il simbolo della relazione di coppia. Il numero tre, invece, rappresenta la creatività e lo sviluppo dell’intelletto.
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Una definizione che calza a pennello per entrambi gli artisti, allievo e maestro, dato che per Wong Kar-Wai la descrizione sottile delle storie d’amore – tra persone dello stesso sesso come in Happy together (1997) o nelle proiezioni misteriose che stravolgono i rapporti di amicizia come In the mood for love (2000) – è il perno centrale del suo mestiere di cineasta.
Inoltre, l’estetica di Wong Kar-Wai produce estetiche fatiscenti ma silenziose, timide, caratterizzate da un perpetuo clima di incomunicabilità. I colori predominanti sono il rosso, il giallo e il nero. I suoi protagonisti veleggiano tutti intorno a un’età non ben definita, eppure, il loro stato di immobilità, di sfilacciatura interna, di cangiante paralisi ricorda la giovinezza e sempre ne è sintomo. In questo caso parliamo di giovinezza cinese, essendo Wong Kar-Wai di Hong Kong e Lin Zhipeng di Shantou, nella provincia di Guangdong, anche se nato a più di vent’anni di distanza (nel 1979).
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Quando Zhipeng comincia a scattare, nel 2003, il suo sguardo di fotografo alle prime armi si posa inevitabilmente sui suoi coetanei, su coloro che lo avevano plasmato, assorbito fino a quel momento, il suo primo, immediato “materiale a disposizione”. Si trattava di un momento storico delicato. Nel 1989, le proteste degli studenti a piazza Tienanmen contro il regime tirannico della Repubblica popolare erano state disperse nel sangue. Gli organi di stampa avevano proibito di nominare, anche solo di citare, l’accaduto. Sulla gioventù di allora piombò inevitabilmente il mutismo.
Si sarebbe voluto ricordare, ma la facoltà di espressione era interdetta. Avevano provato a ribellarsi, ma erano stati soffocati, repressi, uccisi. Scivolare nel piano sintetico, simbolico, onirico dell’arte parve a molti l’unica strada, la sola possibilità. I film di Wong Kar-Wai, apparsi quasi tutti durante gli anni successivi, spostano l’attenzione, parlano di amori finiti, non corrisposti, costretti alla separazione. Ma emerge inevitabilmente la disperazione senza rimedio, il disorientamento sconsolato della dimensione politica. Un’intera generazione aveva appena capito che non sarebbero giunti tempi migliori, con ogni probabilità avrebbero vissuto tutta la vita sotto la dittatura.
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Infatti, anche oggi, i protagonisti delle fotografie di Zhipeng portano sul corpo cicatrici meno evidenti e non meno dolorose: sono allo stesso modo afflitti, smarriti, distratti. Nonostante i costumi, le luci, le ambientazioni tentino di sottolinearne le pose audaci, erotiche, luminose, uno sguardo in camera può improvvisamente risultare vitreo, i corpi nudi accasciati. Talvolta sfociano nella surrealtà, come le candeline di compleanno poste sopra un pesce in una teglia, una cannuccia infilata in uno spicchio di mandarino, due bicchieri di vetro in bilico sull’orlo di un tavolo. Proprio questo, forse è il significato più autentico delle opere di Li Zhipeng, aka No.223: evadere dalla società normalizzata, rifugiarsi tra le spire del sogno è tutto ciò che resta a una gioventù stremata.