La firma di DudaLa riforma della magistratura polacca doveva dividere la maggioranza, ma ha spaccato l’opposizione

Il presidente della Repubblica deve decidere se firmare il dibattuto disegno di legge per modificare il sistema di valutazione dei giudici. Varsavia l’ha varato per farsi scongelare i fondi comunitari: questa prospettiva ha compromesso l’unità della coalizione alternativa al PiS

Duda presidente polacco

Una responsabilità pesantissima. È quella che peserà sulle spalle del presidente della repubblica polacca Andrzej Duda, chiamato a decidere se dare il via libera a un dibattuto disegno di legge che andrà a modificare il sistema di valutazione disciplinare dei giudici. Dalla sua scelta potrebbe dipendere la possibilità per la Polonia di accedere ai finanziamenti del Next Generation Eu e quindi, a cascata, il destino politico del Paese a medio lungo termine sul piano europeo e su quello interno.

Una legge controversa
Si tratta di un disegno di legge fortemente voluto da Diritto e Giustizia (PiS), il partito che da otto anni guida la maggioranza di governo in Polonia. Prevede il trasferimento dei casi disciplinari dalla Camera di responsabilità professionale alla Suprema corte amministrativa, nonché l’introduzione di un test di indipendenza e imparzialità dei giudici.

La speranza annunciata, per non dire la convinzione, è quella di riuscire a risolvere la disputa con la Commissione europea sullo stato di diritto in materia di giustizia, che attualmente tiene bloccati i 35,4 miliardi di Euro del Recovery che spettano a Varsavia e che sono inestricabilmente legati alla risoluzione dei nodi sulla giustizia.

Partendo da queste premesse mercoledì sera il Sejm, la camera bassa del parlamento polacco ha approvato il disegno di legge respingendo tutti gli emendamenti proposti dal Senato (controllato dall’opposizione) e arriverà sulla scrivania del presidente nella sua forma originaria.

Qui sorge il primo ostacolo, dal momento che lo stesso Duda nelle scorse settimane ha espresso delle riserve sulla costituzionalità del provvedimento. Dubbi peraltro condivisi dal presidente della stessa Suprema Corte amministrativa Jaceb Chlebny che sottolinea come le prerogative dell’organo da lui presieduto siano riportate nella Costituzione, e non siano previsti compiti diversi da tali disposizioni.

Inoltre c’è il precedente di alcuni importanti disegni di legge presentati da PiS nell’ultimo anno, a cui Duda ha posto il veto. Decisioni che hanno logorato i rapporti tra il presidente e i vertici del partito. Sulle spalle di Duda peserà ad ogni modo la cosiddetta ragion di stato. Avere accesso al Next Generation Eu sarebbe di vitale importanza per l’intero Paese. Ne è consapevole PiS, che sul tema ha messo in gioco la tenuta dell’esecutivo. Ne è consapevole anche l’opposizione, che pur di non sbarrare l’accesso ai fondi è andata incontro a una clamorosa spaccatura tra le varie anime che la compongono.

Genesi di uno scontro
Per capire come si sia arrivati a questo punto vale la pena fare un paio di passi indietro. Uno dei punti più spinosi della riforma della Giustizia attuata dal governo polacco nel 2017 prevedeva l’istituzione della Camera di disciplina della Corte Suprema, un organo di controllo chiamato a valutare ed eventualmente a punire comportamenti scorretti da parte dei giudici.

Il problema subito evidenziato da Bruxelles, era che i togati chiamati a valutare i loro colleghi erano nominati dal Consiglio nazionale della magistratura, a sua volta riformato in maniera tale da dipendere strettamente dall’esecutivo. In sostanza veniva a mancare la separazione dei poteri, e quindi la libertà dei giudici. Per anni il governo polacco ha tirato dritto per la sua strada, nonostante i richiami e le procedure di infrazione.

Lo scontro era diventato frontale quando la Corte di giustizia europea aveva giudicato la Camera di disciplina non in linea con i trattati europei, ordinandone lo scioglimento, e a partire da ottobre 2021, imponendo una multa record da un milione di euro per ogni giorno in cui non venivano eseguite le disposizioni della sentenza. Da parte sua il Tribunale costituzionale polacco aveva replicato che i trattati europei non avevano la precedenza sulla costituzione nazionale.

La leva del Recovery Fund
I nodi sono venuti al pettine lo scorso anno, quando è stato introdotto il meccanismo di condizionalità che lega l’erogazione dei finanziamenti del Next Generation Eu al rispetto dello stato diritto. Bandiera nera per Polonia e Ungheria dunque, seppur per motivazioni differenti.

A fronte del blocco dei fondi, Varsavia e Bruxelles hanno intavolato una trattativa che ha portato la Commissione europea ad approvare il piano di recupero post-pandemico polacco, ma a tenere congelati i soldi finché non fosse stata approvata una serie di riforme necessarie a restaurare lo stato di diritto.

Su queste premesse aveva visto la luce un disegno di legge presentato proprio dal presidente della repubblica Duda, che prevedeva la liquidazione della Camera di disciplina e la nascita della Camera di responsabilità professionale, un nuovo organo che di fatto la sostituiva. La riforma era stata giudicata però insufficiente dalla Commissione, in quanto permanevano diverse criticità, tra cui il mancato reintegro dei giudici già puniti.

L’estate scorsa il leader di PiS Jarosław Kaczyński aveva lanciato strali di fuoco contro la Commissione europea, rea di non aver rispettato i patti: «Dal momento che la Commissione europea non sta adempiendo ai suoi obblighi nei nostri confronti, noi non abbiamo motivo di adempiere ai nostri obblighi nei confronti dell’Unione europea» aveva dichiarato.

La realtà dei fatti è che quei soldi sono però più che mai necessari, e quindi Varsavia è stata costretta a tornare al tavolo dei negoziati.

Prima di tutto per un motivo di ordine pratico. La congiuntura economica non sorride a nessuno, nemmeno alla Polonia: l’inflazione al 16,6 per cento è lì a ricordarlo. Il secondo motivo è di ordine politico. In autunno si terranno le elezioni parlamentari e per Diritto e Giustizia non riuscire a raggiungere un accordo con Bruxelles sarebbe un brutto biglietto da visita da presentare ai propri elettori.

Le conseguenze politiche
Sul piano politico interno il disegno di legge approvato due giorni fa ha avuto effetti dirompenti. In prima battuta a schierarsi contro le modifiche erano stati i cosiddetti «ziobristi», gli uomini del ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, leader di Solidarna Polska, partito di minoranza al governo.

Ziobro è da anni ai ferri corti con il primo ministro Mateusz Morawiecki, così come con Jarosław Kaczyński. Se la loro alleanza aveva ballato pericolosamente più volte a partire dalla crisi della pandemia in poi, questa volta sembrava sul punto di saltare definitivamente. Invece a spaccarsi, per il momento, è stata l’opposizione.

Fino a qualche settimana fa le possibilità di creare un cartello unito, capace di sfidare PiS e vincere le prossime elezioni, erano piuttosto alte. Il disegno di legge sulla Suprema Corte amministrativa ha imposto tuttavia una scelta: non fare ostruzionismo, consapevoli dell’importanza di accedere ai fondi europei e chiudere gli occhi di fronte a una legge difettosa, oppure dire no a qualsiasi compromesso con il partito al potere per preservare i principi della costituzione?

A seguire la prima strada è stato Piattaforma Civica (Po), il principale partito dell’opposizione liberale guidato da Donald Tusk, seguito da dalla sinistra di Lewica e dal Partito popolare polacco (Psl). A staccarsi dal gruppo è stata Polska 2050, partito centrista che sondaggi alla mano risulterebbe essere il secondo partito dell’opposizione.

Uno strappo che al momento appare difficile da ricucire ma su cui sarà necessario lavorare. Per quello ci sarà eventualmente tempo. L’attenzione ad ogni modo ora è tutta su Duda e sulla sua decisione. Se luce verde sarà, la palla passerà alla Commissione europea e alle sue valutazioni. Il precedente della scorsa estate non depone a favore, ma questa volta, forse, l’esito della partita potrebbe essere diverso.