Nel panorama giornalistico italiano la carta stampata vive un lento declino, le notizie circolano soprattutto in tv e sul digitale. L’industria dell’informazione, però, tende ad aggiornarsi con un po’ di ritardo, perché ogni testata ha bisogno di trovare il suo equilibrio e il modello che funziona meglio per le sue esigenze, le sue caratteristiche, e la transizione non è mai facile.
Linkiesta è stato tra i primi quotidiani nativi digitali in Italia e sta perfezionando il suo modello di business anno dopo anno, dal 2011. È una ricerca costante, quotidiana, raccontata anche dal Reuters Institute in un articolo firmato da Marina Adami: «Linkiesta ha intrapreso una nuova strategia editoriale, ha ridefinito la propria identità e ha ripensato i propri prodotti nel tentativo di costruire un business redditizio».
Il giornale è cambiato moltissimo da quando è stato fondato, com’è normale che sia: firme, direttori, grafica, testata, ma quello che non è cambiato è la voglia di sperimentare e innovare nel difficile mondo dell’editoria.
Linkiesta è stata fondata nel 2011 da un gruppo di circa settanta investitori. Il giornale inizialmente era esclusivamente digitale, privo di paywall e incentrato soprattutto sulle inchieste. «Dopo anni di perdite, il sito ha intrapreso una trasformazione a fine 2019 con la direzione di Christian Rocca, abbandonando le inchieste in favore di una serie di nuovi progetti, tra cui eventi dal vivo e, forse sorprendentemente, riviste cartacee», si legge nell’articolo.
Tra gli eventi dal vivo spicca il Linkiesta Festival, solo una delle piattaforme con cui negli ultimi anni Linkiesta ha ampliato la sua presenza fuori dalla sfera di internet. Linkiesta infatti oggi c’è anche in versione cartacea, con Linkiesta Magazine, che «è più un libro da tavolino che un giornale e viene pubblicato tre volte l’anno: a gennaio, giugno e novembre».
Inoltre Linkiesta collabora con il New York Times, con cui pubblica i progetti speciali Turning Points, The Big Ideas e World Review, con saggi, reportage, fotografie e infografiche delle firme de Linkiesta e del New York Times. «Questa collaborazione ha elevato di molto la nostra posizione come testata editoriale italiana e ci ha anche aiutato con la pubblicità», ha detto Rocca nell’intervista a Marina Adami.
Negli ultimi anni anche il sito si è ampliato, aprendo le sue sezioni verticali collegate al sito principale. Sono Linkiesta eccetera, Europea, Gastronomika – che a ottobre ha organizzato il suo primo Festival, con una seconda edizione in primavera –, Greenkiesta, Il lavoro che verrà, e Slava Evropi, un giornale digitale sull’Europa interamente in lingua ucraina – quindi in cirillico – per raccontare agli ucraini che combattono e resistono all’imperialismo russo come funziona l’Unione europea e che cosa succede nel continente cui appartengono.
Inoltre Linkiesta fa affidamento su Linkiesta Club, la comunità di lettori, sostenitori e benefattori del giornale, che possono iscriversi pagando una quota annuale in cambio dei alcuni prodotti di carta Linkiesta e accesso privilegiato agli eventi dal vivo. E aiuta a consolidare il rapporto tra lettori e redazione.
Anche il tono e lo stile dei contenuti è cambiato. «Negli anni le inchieste che hanno dato il nome a Linkiesta sono state sostituite da commenti e analisi per fare di Linkiesta un attore nel dibattito politico pubblico italiano», scrive il Reuters Institute. In particolare, la lotta contro il bipopulismo – il populismo di destra e di sinistra – è diventata una sfida identitaria per il giornale: «I giornali devono avere un’anima. Devono avere qualcosa da dire. Abbiamo scelto un gruppo coerente di analisti politici e culturali, e questo ci ha portato a trovare il nostro spazio politico», spiega Christian Rocca.
«Il nuovo corso de Linkiesta sta portando i suoi frutti», scrive il Reuters Institute. «Il quotidiano ha realizzato utili nel 2021 per la prima volta nei suoi dodici anni di storia. I risultati per il 2022 non sono ancora arrivati. Rocca spera in un altro buon anno: non abbastanza per pagare i dividendi, ma abbastanza per continuare a finanziare i progetti de Linkiesta senza chiedere di più agli investitori».