Sanremo, Day 2I tre vegliardi, la maledizione dei medley e uno su mille ce la fa (ma non è Angelo Duro)

Non possiamo accontentarci di pochi secondi di “Se bruciasse la città” o di “Perdere l’amore”, cari autori del Festival siete mai andati a un concerto? I quattordici minuti percepiti cinquanta di un poco comico e l’articolo 21 invocato da Fedez

Sanremo, abbiamo un problema. No, non Angelo Duro. Cioè, sì, anche Angelo Duro, ma quello è un problema minore (poteva mai essere maggiore?). Abbiamo un grave problema. 

No, non sto neanche parlando di Blanco, nemico pubblico numero uno per il quale ho, a un certo punto di ieri pomeriggio, perso il conto delle richieste di testa. Il sindaco di Sanremo voleva le scuse ai floricoltori, il Codacons credo volesse il 41 bis, persino Licia Ronzulli ha rilasciato una dichiarazione (chissà cosa dichiara oggi su un certo marito di conduttrice). 

Sanremo sempre più welfare, ogni giorno fornisce scandaletti attaccandosi ai quali chi ha bisogno di pubblicità possa ottenere il suo bravo lancio d’agenzia, e questo si sa. Ma qui c’è un problema che di Sanremo mina le fondamenta. 

Sanremo, cosa ti avevo detto? Te lo dico tutti gli anni, e poi non hai bisogno che te lo dica: lo sai. Sanremo, noialtre spettatrici non di primissimo pelo ti guardiamo – perdendo una quantità di ore di sonno che io francamente non ho più l’età per – per cinque interminabili e stremanti e perlopiù inutili serate solo perché poi tu il venerdì ci dai le canzoni vecchie. I duetti. Quelli su cui polemizzano gli scemi secondo i quali Anna Oxa non dovrebbe cantare “Un’emozione da poco”. 

E quindi noi, ieri sera, abbiamo acceso non per Angelo Duro. Non per le canzoni nuove (figuriamoci). Non per i monologhi contenutisti. Né per sentir chiedere ai Black Eyed Peas se gli piaccia l’Italia (incredibilmente, non hanno risposto: «No, la pasta al dente è sopravvalutata»). 

Non abbiamo acceso neanche, sebbene sia stato un discreto crescendo, per sentire il marito della Ferragni rappare di Messina Denaro, del cancro, e soprattutto insolentire Eugenia Roccella e Galeazzo Bignami; non abbiamo acceso per pensare: beh, coraggioso Amadeus a fargli cantare ’sta roba irta di querele; non abbiamo acceso neanche per poi invece ascoltarlo manlevare Amadeus e la Rai, e l’articolo 21 e non avevo comunicato il testo e mi prendo ogni responsabilità; anche se forse un po’ abbiamo acceso per vedere Amadeus fare la faccia di chi durante la canzone stava parlando con gli autori e non ha idea di quali rogne scoppieranno ora e sta pensando: ma non potevi prendere a calci delle rose, benedetto figliolo. 

Il «perché lì, dottore’, fanno acchiappanza» con cui la Fagnani racconta che un ragazzino in un carcere minorile le ha motivato il desiderio di andare a “Uomini e donne” era ottimo, ma no, non abbiamo acceso neanche per quello. E neppure per avere la conferma che l’idea occidentale di donna libera è un uomo travestito da donna. 

Noi, ieri sera, abbiamo acceso perché ci avevate promesso i tre vegliardi: Ranieri e Morandi e Al Bano (che noi spettatrici, diversamente da voi, sappiamo scriversi staccato: gli avete mandato in scena quattro torte di compleanno, tutt’e quattro con su scritto «Albano». Li scusi, signor Carrisi, non hanno mai comprato i suoi 45 giri con Romina). 

Sanremo, abbiamo un problema: i medley no, porca zozza. Gente che fa Sanremo, gente che le canzoni le tratta per mestiere e non per costruircisi una biografia sentimentale, voialtri non siete evidentemente mai stati a un concerto di qualcuno che vi piacesse. Sennò sapreste che sleppa di bestemmie parte quando quel qualcuno sacrifica una canzone che vi piace in quaranta secondi di scaldamutandismo dispersi in un medley d’altra roba. 

Ora, Sanremo, guardami negli occhi: ti pare che noialtre sui divani possiamo accontentarci di quaranta secondi di “Se bruciasse la città”? O di quaranta miserrimi secondi di ciunga ciunga ciù ciunga ciunga ciù – scusate, volevo dire: di “Andavo a cento all’ora”? 

Sì, va bene: “Uno su mille”, Morandi l’ha fatta quasi tutta. Quasi, mancava la parte che vi avrebbe fatto capire perché, porco tutto, i medley non li dovete fare: «Tu non sai che peso ha questa musica leggera: ti ci innamori e vivi, ma ci puoi morire quando è sera». Cosa non è chiaro? Per cosa pensate che stiamo davanti al televisore fino a orari mannari: per conoscere i successi della prossima stagione? 

Cioè, voglio dire: quando Massimo Ranieri fa “Perdere l’amore” (c’è stato un tempo in cui le canzoni nuove di Sanremo erano roba come “Perdere l’amore”, poi non so cosa sia andato storto), persino Coletta squarciagola in platea. Non l’avete ancora capito che Coletta è lì in rappresentanza di noialtre del ceto medio televisivo? 

Non siete mai stati al Jova Beach Party a guardare gente dagli otto agli ottant’anni sapere tutte le parole di tutti i pezzi di Gianni Morandi? Non lo sapete che le canzonette vecchie sono lessico famigliare e quelle nuove sono solo bugiardi numeri di streaming? 

E non venite a dirmi che se Los Tres Vegliardos avessero fatto ognuno una canzone intera quel segmento di programma sarebbe durato troppo: volete un elenco delle cose inutili che avreste potuto tagliare? Possiamo stabilire regole d’ingaggio per le scalette, tipo che sono scartabili tutti quelli che arrivati agli ottant’anni di Al Bano non si metteranno a fare le flessioni sul palco? 

(No, non sto facendo un editoriale tardivo su Blanco, e dicendo che da una parte ci sono quelli che hanno il repertorio e pure la prontezza di pulire il palcoscenico, e dall’altra quelli che non hanno nessuna delle due cose. Sto solo ricordando quando Francesca Reggiani, premettendo «questa è una canzone che mi hanno scritto i miei amici filosofi: Nietzsche, Kant e Beckenbauer», procedeva poi a cantare che «ci vuole un fisico bestiale per fare l’intellettuale»). 

Sanremo, non farlo mai più. Che vale come conclusione a questa invettiva contro i medley ma pure come inizio della parte finale di questo articolo, che intitoleremo: ma Angelo Duro serviva a farci apprezzare ancora di più Benigni? A farci rimpiangere Siani? A farci andare a chiedere scusa a quelli di “Lol” di cui neppure so i nomi ma so che non facevano ridere mai ma almeno ci facevano non ridere in orari comodi? Serviva forse a farci chiedere per mezz’ora com’è possibile che abbiano sforato di mezz’ora senza che nessuno prendesse a calci niente e a me tocchi stare sveglia ad aspettare Angelo Duro? 

Va detto, povero Angelo Duro, che neanche uno capace di fare il comico avrebbe saputo superare condizioni di partenza tanto sfavorevoli. Va detto, povero Angelo Duro, che l’anno scorso di mercoledì c’era Zalone che faceva “Poco Ricco”, ed è un po’ come – non lo so come, non ho paragoni di distanze altrettanto abissali. Va detto, povero Angelo Duro, che avere più ambizioni che talento non è una colpa esclusivamente sua, è un malanno di stagione. Va detto, povero Angelo Duro, che l’hanno mandato in onda a un orario in cui la carrozza tornata zucca neanche potevamo farcela al forno: ci sarebbe rimasta sullo stomaco. 

Va detto, povero Angelo Duro, che Amadeus t’ha presentato come fossi George Carlin, invitando i moralisti a scansarsi. Va detto, povero Angelo Duro, che quel minuto di silenzio iniziale, di chi si fida delle proprie pause, se lo può permettere forse Dave Chappelle. Va detto, povero Angelo Duro, che non è colpa tua se nessuno t’ha detto che per fare i comici oltre la terza elementare servono le battute, non bastano le parolacce. 

Va detto, povero Angelo Duro, che salire sul palco dove l’anno scorso c’era Checco Zalone e dire «ho riempito i teatri» dimostra una mancanza di senso del ridicolo afflitti dalla quale si può fare i centravanti, gli avvocati, gli insegnanti di educazione fisica, ma difficilmente si diventa bravi comici. 

Va detto, poveri noi, che in quattordici minuti (percepiti: cinquanta) non c’era una battuta, un’idea, un guizzo, un qualsivoglia talento che baluginasse, e insomma, Sanremo: abbiamo un problema.

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