Sono tornati i «pròpo». Avete presente le ricorsive polemiche degli studenti meridionali fuorisede che spendono troppo per tornare dalle famiglie per Natale? Credevo di non capirle, credevo che i concetti di ricorrenza e di festività e di tradizioni mi fossero sentimentalmente alieni, ma ieri ho capito che non è così.
Ieri, quando c’è stata la prima conferenza stampa di Sanremo e Stefano Coletta – direttore delle prime serate Rai, poeta, unica vera star d’un paese senza star system, e mio personale idolo incontrastato – è intervenuto e ha detto che «dev’essere premiante l’onestà della testualità di queste canzoni perché è di chi pròpo ha attraversato un guado e non vuole più rinunciare al dire». Sono andata subito a rivedere i frammenti dell’anno scorso. Dio, come mi erano mancati il suo Dams, le sue testualità, ma soprattutto i suoi pròpo.
Anche per gli altri dettagli, meno ginzburghiani dei pròpo di Coletta, questo quasi Sanremo è uguale ai quasi Sanremo di sempre (Bibi Ballandi, quel signore che si è inventato il Fiorello conduttore di varietà, diceva che la santa messa è sempre uguale da duemila anni: non bisogna mai cambiare niente, se un prodotto funziona; se quelli della Coca Cola lo avessero ascoltato, negli anni Ottanta si sarebbero risparmiati il disastro commerciale della New Coke).
La prima conferenza stampa aveva il solito novero di giornalisti schienadrittisti che chiedevano la parola non per domandare qualcosa che potesse interessare ai loro lettori (parlandone da vivi), ma per lamentarsi perché la nuova sala stampa gli piace meno di quella precedente, o perché non è ancora tornata agibile la sala stampa per le radio private e gli tocca collegarsi con sfondi finti che li fanno sembrare Felice Caccamo.
Poiché niente cambia ma todo cambia, alcuni dei giornalisti presenti giocano in questi giorni sui loro account Instagram alle piccole Ferragni: c’è quello che ringrazia lo sponsor per la macchina con cui va a Sanremo, quello che ringrazia altro sponsor per i vestiti che indossa. Ora, non voglio avere pretese assurde quali il fatto che nel 2023 qualcuno si paghi i vestiti o la macchina, mentre su Instagram c’è chi tagga persino le spugne con cui pulisce il bagno pur di riceverle in omaggio e non spendere due euro al supermercato.
Non voglio pretendere che i giornalisti abbiano meno anima del commercio delle altre categorie, ma ero rimasta che questa assurda pretesa l’avesse l’ordine professionale cui essi sono iscritti. Ero rimasta che il conduttore televisivo che fa uno spot dovesse rinunciare al tesserino, che gli inviati con pretese di giornalismo d’assalto che fanno le pubblicità nel varietà coi balletti non fossero iscritti all’ordine, eccetera. Questa regola evidentemente non vale più, se gli inviati dei quotidiani a Sanremo possono taggare con voluttà ferragnica lo sponsor.
Vi dirò: mi sembra un bene. Era in effetti assurdo un mondo in cui le psicologhe ringraziano per i vestiti omaggio e il cronista si deve invece pagare coi suoi soldi il maglioncino: ci teniamo di più che sia eticamente al di sopra della sponsorizzazione quello da cui ci facciamo curare la psiche, o quello da cui leggiamo a che ora cantano Mahmood e Blanco?
Ma ora basta parlare dei giornalisti, parliamo della domanda più formulata nelle conversazioni degli ultimi giorni tra appassionati, studiosi, intellettuali, e anche solo semplici spettatori della saga «annunci di Amadeus»: chi diavolo è Angelo Duro? Com’è possibile che l’unico comico di Sanremo sia non solo un comico che gli adulti di questo paese non hanno mai sentito nominare, ma pure un comico che quando vai a guardarne i video ti viene quel che a Napoli si chiama fridd’ ’n cuoll’? Non ci ha insegnato il Pintus (chi?) del 2015 che un comico dal mestiere non solido Sanremo lo tritura? Non abbiamo, nel decennale del Crozza 2013, imparato che a Sanremo rischia l’esaurimento nervoso pure un comico solido, figuriamoci un Carneade con uso d’arroganza?
Com’è possibile che là, dove un anno fa c’era Checco Zalone, ora ci sia uno che, quando chiedi chi diavolo sia, i ventenni ti rispondono «è quello che dice “cazzo guardi”»? Considerato che noialtri abbiamo avuto vent’anni con Guzzanti e i nostri genitori li hanno avuti con Totò, finirà che questi derelitti ventenni di oggi chiederanno un’invalidità civile? Con che coraggio negheremo loro un risarcimento per l’handicap d’essere coevi di Angelo Duro (chiunque egli sia)?
Quale crollo di attrattiva del festival (della kermesse, direbbe Coletta) e quale panchina corta dei comici capaci ha fatto sì che a Sanremo ci sia uno che, neanche fosse un nome annunciato per il cast di Lol, il pubblico non ha mai sentito nominare, uno del quale la platea dice «e chi diavolo è questo sconosciuto che mette su il piglio dello stronzetto di successo?» – cosa è andato storto? Mica sarà solo che Duro diverte Fiorello che lo suggerisce ad Amadeus che al mercato mio padre comprò, suvvia.
Poiché quelli che fanno Sanremo sanno fare Sanremo meglio di noialtri che ci diamo un tono osservandoli, a Fiorello hanno fatto un’offerta che non poteva rifiutare. Rosario, qualcosa ci devi, abbiamo pur sempre dato asilo ad Angelo Duro che piace solo a te. Ma certo, Rosario, lo sappiamo che non vuoi fare il dopofestival. Ma mica è un dopofestival, tu stai lì, nella tua scenografia, nel tuo programma, nella tua città, e fai tutto in collegamento.
E mica penseremo che a quel punto non ci sia ogni sera un collegamento dentro al festival, con la scusa di pubblicizzare il Viva Rai 1 a seguire? E così ecco che hai ottenuto Fiorello dentro al festival tutte le sere: hai un vero comico (o qualunque definizione vogliamo usare per Fiorello), e non sei più il Sanremo di Angelo Duro; e hai, a quel punto, Fiorello sul palco il sabato (volete che l’unica sera senza il non-dopofestival non vada lì?), e non sei più il festival che per la comicità s’è affidato a un Carneade con autostima.
E così oltre al livello comico della settimana hai salvato anche la serata di sabato: non sei più solo il sabato in cui il festival legge una lettera di Zelensky – Zelensky che ha fatto un video per chiunque, per programmi televisivi di cani e di porci: Sanremo è forse il figlio della sguattera? La lettera non potrebbe almeno leggerla qualcuno il cui mestiere sia leggere testi dando loro un senso? Favino cos’ha da fare questo sabato? (Ah, dite che uno Zelensky letto dalla Ferragni risuona in tutto il mondo e di lasciarvi lavorare? Scusate, torno in cucina).
E non sei solo il sabato in cui la Vanoni arriva a prendersi metà dei riflettori di Gino Paoli, non sia mai che il povero Paoli riesca a esistere al netto delle smanie della sua ex. Sei il sabato di Fiorello, che già solo quando telefona durante la conferenza stampa per sfottere gli «arriva questo festival nelle piene funzioni che un’espressione artistica finalmente può portare» e «un festival che vuole portare consapevolezza» e «l’urgenza di dire» e «un silenzio relazionale» e «mettersi in relazione con l’altro pròpo dopo un guado che lo ha impedito» di Coletta, già solo telefonando trasforma una conferenza stampa nello stupore della notte spalancata sul mar. Pròpo lui.