Sanremo, Day 4Le canzonette vecchie sono biografia della nazione, ascoltarle non è un’emozione da poco

La canzone di Anna Oxa del 1978 e la cover di questa edizione, il lessico famigliare del Festival funziona sempre, anche quando i cantanti scelgono i brani più brutti (figuriamoci quando ripresentano il capolavoro di Fossati)

È il 1978. Anna Oxa è minorenne, è punk, è meno bella di come diventerà da grande. Ma, soprattutto, ha una canzone della madonna. “Un’emozione da poco” l’ha scritta Ivano Fossati, che per una ventina d’anni scriverà le più belle canzoni cantate da femmine in questo derelitto paese: da “Non sono una signora” a “Vola”, da “Dedicato” a “Traslocando” a “Pensiero stupendo”. Se fossi un autore di canzoni ventisettenne, e sapessi che c’è uno che alla mia età, nello stesso anno, scrisse “Pensiero stupendo” e “Un’emozione da poco”, forse farei il concorso alle poste. 

È il 1984. Eros Ramazzotti appare al suo primo Sanremo. Sono seduta sul tappeto in camera dei miei, mio padre è seduto su una Eames nera, guarda il tizio nel televisore e il suo giubbotto sformato, e s’indigna: ma questo pensa d’esser spiritoso, a vestirsi così? Sono ragionevolmente certa che quando, due Sanremo più tardi, Ramazzotti portò una canzone che principiava con «Nato ai bordi di periferia», si stesse giustificando con mio padre perché non aveva messo lo smoking per andare alla televisione. 

È il 2016, vincono gli Stadio col televoto, col mio televoto, unica volta che voto a Sanremo (seconda volta che voto per un programma televisivo, la prima volta era stata per far uscire Adriano Pappalardo dall’Isola dei famosi). Mi ricordo la canzone degli Stadio? Certo che no. Li ho votati perché sono un gruppo di vegliardi e io pure vegliarda? Certo che sì. Ma soprattutto: li ho votati perché la sera delle cover hanno fatto una canzone di Dalla. “La sera dei miracoli”, la più brutta dal suo più bel disco, ma comunque: tu fai un pezzo del disco della mia infanzia e io ti voto.  

La sera delle cover è, ve l’ho già detto troppe volte, la ragione per cui io mi sorbisco Sanremo. A Sanremo lo sanno, e hanno spalmato la serata delle cover ovunque. Che cos’era, giovedì, Morandi che faceva “Fatti mandare dalla mamma”, se non serata delle cover? Che cos’erano, mercoledì, Los Tres Vegliardos, che facevano “Rose rosse” o “Scende la pioggia”, se non serata delle cover? Poiché ogni sera Morandi ruba un pezzetto del sé stesso al Duse, nello spettacolo teatrale in cui raccontava la sua storia, martedì ha anche fatto il pezzo sulle sue canzoni più brutte, e quindi anche lì: serata delle cover. 

Le canzonette, ve l’ho già detto troppe volte, sono lessico famigliare. Ma anche, scusate la banalità, sono biografia d’una nazione. Le canzonette vecchie funzionano quasi sempre. Le eccezioni sono pochissime. La moratoria necessaria sulle cover di De André (direi una ventina d’anni, forse trenta).

Per il resto, le canzoni vecchie sono un problema solo se non hai un repertorio. Se non sei non dico venerato maestro ma almeno solito stronzo. Le brillanti promesse, nella serata delle cover, partono svantaggiate. Se non sei Anna Oxa e non hai “Un’emozione da poco” da portare, farai meglio ad affidarti ai classici. 

Ultimo lo sa, e quindi si affida ai bordi di periferia dove i tram non vanno avanti più. Sarebbe il duetto più riuscito della serata, se fosse un duetto. Invece è Eros che divora Ultimo, l’Ariston che si ravviva (e chi c’è stato sa quant’è difficile) e squarciagola «grazie di esistere», io che mi ricordo di quando venti e spicci anni fa “Più bella cosa” la mettevo alla radio, ma in spagnolo: ancora più burina, ancora più squarciagolabile. 

Colapesce e Di Martino lo sanno, e all’esame delle cover portano “Azzurro”, e portano Carla Bruni. (È il 1999, e sul palco dell’Ariston c’è Gorbaciov. È il 2023, e dietro le quinte dell’Ariston c’è Sarkozy che ha accompagnato la moglie). Carla Bruni, che ha lo sprezzo per l’era della suscettibilità che può avere solo una che vive a Parigi, appare – bella com’è sempre – in una tutina Versace di raso di velluto di quelle che devi pesare un chilo e mezzo da bagnata per potertele mettere. E infatti la mattina ha scritto su Instagram: «Ho digiunato due settimane solo per entrarci dentro». Le adulte che la vedono, la sera, pensano: ne è valsa la pena. Ma le militanti dell’indignazione intanto gliele hanno cantate, ah sì, è inaccettabile che una mangi o non mangi un po’ quel che le pare per entrare in un vestito. 

«Non si dice. Anche fosse vero, e spero proprio di no, non si dice!» (l’ha scritto tutto in maiuscole, per meglio veicolare indignazione). «È bizzarro che tu debba adattare il tuo corpo a un capo d’abbigliamento, perché non l’hanno fatto della tua taglia?» (questa mi gioco un McQueen vintage che non è mai andata in tv). «Volevo ricordarle signora Bruni che i disturbi alimentari sono una delle piaghe di maggior rilievo in questo periodo storico» (le mistiche che digiunavano nel Cinquecento in effetti non avevano Instagram; non avevano neppure Versace: chissà cosa digiunavano a fare). 

Lo sa pure Will, chiunque egli sia, che si porta Zarrillo che voi non pensate sia vostra biografia, voi negate d’essere state ventiequalcosenni che squarciagolavano «in me, non cicatrizzi mai», voi siete di squisita busciardìa. Olly, chiunque egli sia, lo sa, e si porta la Cuccarini, con quel motivetto moschicida di cui non siamo mai riuscite a imparare il balletto che è “La notte vola”. E Mr. Rain, un altro di quelli che non so chi siano e son troppo vegliarda per imparare, chissà se sa che “Qualcosa di grande” non è solo una canzone dei Lùnapop: per noialtre vegliarde, è la colonna sonora della storia di non amore tra Cristina-la-bagnina e Pietro Taricone. 

Poi arriva Anna Oxa. Non è più minorenne, è sempre bellissima, forse è anche ancora punk (punk è per sempre, no?). È fatta a forma di leggenda: l’altroieri nessuno pensava alle canzoni in gara ma tutti a un pettegolezzo su lei e una giovane inutile che dietro le quinte si sarebbero tirate i bicchieri. In caso di rissa, io tengo per lei. 

Ho consumato in vinile “A lei“ e “Quando nasce un amore”, considero “Senza di me” un sommo capolavoro, e se non fosse stato per una musicassetta in cui la Oxa cantava i cantautori non avrei mai scoperto “Prendila così” o “Anima“. 

Tengo per la Oxa del 2023 perché tengo per la me dodicenne che venne sgridata, da un prete sul pullman in gita per Parigi, perché stava trascrivendo sul diario quel verso di “A lei” che diceva «facendole l’amore, togliendole il bicchiere». Tengo per Anna Oxa che rifà “Un’emozione da poco” pur avendo l’età della ragione in cui sai di non essere il recriminatorio io narrante, ma quel farabutto che «non si è mai sentito finito, che non ha mai perduto». Tengo per Anna Oxa che quarantacinque anni fa già sintetizzava un Sanremo da sei ore: la netta differenza tra il più cieco amore e la più stupida pazienza.

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