Direzione ostinata e contrariaGermania e Italia si aggrappano a e-fuel e biocarburanti per salvare i motori termici

Gli obiettivi europei sulla decarbonizzazione del settore automotive passano anche dai carburanti alternativi, l’ultima spiaggia delle aziende fossili per resistere alla (inevitabile) rivoluzione dell’elettrico. Così l’accordo Ue sullo stop alla vendita dei veicoli a diesel e benzina dal 2035 rischia di saltare

Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (LaPresse)

Venerdì 3 marzo, durante la riunione dei rappresentanti permanenti del Consiglio dell’Unione europea (Coreper), l’Italia si esprimerà in modo contrario al bando Ue alla produzione e alla vendita di auto inquinanti dal 2035. Si tratta dell’ennesimo dietrofront del governo Meloni, che a novembre aveva sostenuto l’accordo con il Parlamento europeo e nelle scorse settimane – come fa notare Pagella Politica – non si era mai opposto alla misura. 

L’incontro del Coreper era in programma il 1° marzo, ma dopo il “no” del governo italiano e le lamentele della Germania è arrivato lo slittamento a venerdì, nella speranza di convincere Roma e Berlino. Considerando anche le incertezze di Polonia (dovrebbe votare contro) e Bulgaria (dovrebbe astenersi) e il voto contrario dell’Ungheria, la maggioranza qualificata (voto favorevole del cinquantacinque per cento degli Stati membri, che rappresentino almeno il sessantacinque per cento della popolazione dell’Ue) durante il Consiglio del 7 marzo non è affatto scontata. La ratifica dell’accordo raggiunto precedentemente dal Parlamento europeo potrebbe quindi essere a rischio. 

Nell’annunciare la posizione dell’Italia, Gilberto Pichetto Fratin è tornato a parlare di «carburanti rinnovabili compatibili con i motori termici». Secondo il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, queste soluzioni contribuiranno a «una riduzione delle emissioni senza richiedere inattuabili sacrifici economici ai cittadini».

La linea italiana è simile a quella di Volker Wissing, ministro dei Trasporti tedesco e membro del Partito liberale democratico (Fdp). La richiesta di Berlino all’Ue consiste in una deroga che permetta (anche dopo il 2035) l’immatricolazione e la vendita  delle autovetture alimentate con i biocarburanti o gli e-fuel (carburanti sintetici): «Queste soluzioni devono essere percorribili alla luce dell’enorme flotta di veicoli già esistenti che abbiamo soltanto in Germania», ha detto alla Bild. Il governo tedesco, entro il 2026, vuole investire quasi due miliardi di euro per sostenere la produzione di e-fuel, non contemplati nella norma europea approvata dal Parlamento europeo a metà febbraio 2023. 

In molti, sia in Italia sia in Germania (i due Paesi che producono più auto in Europa), vedono i biocarburanti e gli e-fuel come l’ultima spiaggia per salvare le automobili a motore termico, così da rendere più sostenibili le flotte al momento esistenti (e che verranno prodotte nei prossimi dieci-undici anni). Per questo motivo puntano a una regolamentazione non presente nella proposta di regolamento che verrà discussa domani.

Focalizzarsi eccessivamente su queste soluzioni, però, distrae da quelle che sono le grandi e complesse sfide per decarbonizzare il settore e passare all’elettrico. Dalla riconversione della filiera (per cercare di ridurre l’impatto sui lavoratori) alla reperibilità delle materie prime rare per le batterie, passando per la presenza delle colonnine di ricarica sui territori e la necessità di rendere le e-car economicamente accessibili a tutti. Aggrapparsi ai carburanti alternativi – che rimangono soluzioni da non demonizzare – significa restare ancorati al presente e schivare dei problemi che inevitabilmente bisognerà affrontare. 

Distinzione necessaria
I biocarburanti nascono dai rifiuti e dagli scarti di coltivazioni come la soia, il mais, il grano, la bietola o l’olio di palma. In linea teorica, dovrebbero avere un basso impatto ambientale e stimolare l’economia circolare. Gli e-fuel, attualmente non disponibili sul mercato ed estremamente costosi (la stima si aggira attorno ai dieci-venti euro al litro), sono invece carburanti sintetici liquidi o gassosi che vengono prodotti attraverso dei processi alimentati da energia elettrica rinnovabile. 

Nel campo dei biocarburanti, tra i più attivi in Italia c’è sicuramente Eni (le dichiarazioni di Pichetto Fratin non sono casuali). Da pochi giorni ha iniziato a distribuire il biodiesel HVOlution, presente in circa cinquanta stazioni di servizio sparse in trentatré province. Il prodotto è composto al cento per cento da HVO puro, un gasolio ottenuto grazie a materie prime di scarto, residui vegetali e oli generati da colture non in competizione con la filiera alimentare. 

Non tutti, però, hanno raggiunto quel livello di innovazione. Altri biocarburanti sono spesso associati alla deforestazione e al consumo di suolo (con impatti diretti sulla sicurezza alimentare delle comunità locali, e non solo), perché hanno bisogno di coltivazioni di soia e alberi di palma sempre più ampie. 

Transport & Environment (T&E) stima che – dal 2011 al 2021 – la loro produzione abbia causato la distruzione di quattro milioni di ettari di foreste. Analizzando i dati di Oil World, Stratas Advisors ed Eurostat, T&E ha mostrato che la domanda di biocarburanti da parte dell’Unione europea ha richiesto la coltivazione di 2,9 milioni di ettari di semi di soia in Sudamerica e 1,1 milioni di ettari di palme nel Sudest asiatico.

Non a caso, in Italia, dal 1 gennaio 2023 è vietata la produzione di biocarburanti e di elettricità attraverso l’olio di palma e l’olio di soia. Una novità accolta positivamente anche dalle associazioni ambientaliste: «La decisione faciliterà soprattutto la crescita della mobilità elettrica, da fonti energetiche davvero rinnovabili, come solare, eolico e biogas o etanolo da scarti e rifiuti», ha detto Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, quando è stato approvato il Ddl di delegazione europea. 

Tutti i problemi del carburante sintetico (e-fuel), oltre ai costi
Gli e-fuel, che nascono in laboratorio combinando anidride carbonica e idrogeno, vengono prodotti in modo meno invasivo e – come già anticipato – grazie a fonti rinnovabili. Tuttavia, aleggiano forti dubbi in merito alla loro disponibilità e alle loro emissioni nel momento in cui, per dirla semplice, vengono “bruciati” e permettono alle automobili di spostarsi. 

Stando a una recente analisi di Transport & Environment, nel 2035 in Europa i carburanti sintetici alimenteranno solamente il due per cento delle automobili: circa cinque milioni su un parco di 287 milioni. La produzione di e-fuel è in fase embrionale, e all’orizzonte non si intravede una svolta: «Vengono presentati come una soluzione carbon-neutral per decarbonizzare la flotta esistente, ma i produttori di carburanti e i costruttori di motori endotermici stanno solo cercando di mantenere in vita oltre il necessario gli inefficienti motori a combustione interna», spiega Veronica Aneris, direttrice di Transport & Environment Italia. 

Le stesse preoccupazioni sono paradossalmente condivise dall’industria fossile. Secondo una ricerca di Concawe (una divisione dell’European fuel manufacturers association), nel 2035 gli e-fuels potrebbero soddisfare solo il tre per cento della domanda di carburante stradale in Europa (sedici per cento nel 2040). 

Fonte: transportenvironment.org

Sempre in linea teorica, un’automobile alimentata con e-fuel emette localmente dell’anidride carbonica, ma solo nella medesima quantità immagazzinata nel carburante sintetico per la sua produzione. Ciò non significa che il loro impatto sulla qualità dell’aria sia irrilevante: i test della società di ricerca IFP Energies Nouvelles, commissionati da T&E, evidenziano che i veicoli alimentati con carburanti sintetici emettono più o meno gli stessi livelli di ossidi di azoto (NOx) delle auto a diesel/benzina. 

E non è tutto: durante i test, la combustione degli e-fuel ha generato il triplo del monossido di carbonio rispetto al carburante tradizionale. In più, scrivono gli esperti di T&E, «nel confronto con l’alimentazione a benzina il quantitativo di ammoniaca prodotta con l’impiego degli e-fuel può addirittura raddoppiare». 

Secondo Transport & Environment, «i combustibili sintetici dovrebbero essere indirizzati prioritariamente agli aerei che, nella maggior parte dei casi, non possono usare le batterie per ridurre le loro emissioni e che bruciano combustibili fossili». Il motivo è semplice: per rifornire il dieci per cento dei nuovi veicoli con del carburante sintetico – al posto di elettrificarli – si dovrebbe produrre il ventitré per cento di elettricità rinnovabile in più. Allo stato attuale, non ne vale la pena.