La legge di CutroIl governo Meloni non ha nessuna fretta di salvare i vivi (e tanta fretta di liberarsi dei morti)

L’esecutivo ha cercato di esorcizzare il problema del fenomeno migratorio con una norma che non risolve il problema, ma ha trovato solo un facile capro espiatorio

LaPresse

L’ecatombe di Lampedusa nel 2013 portò a Mare Nostrum, un operazione troppo seria e costosa politicamente per non naufragare in meno di un anno tra flutti del populismo anti-migratorio e della demagogia sovranista, per cui la difesa delle frontiere passa dal blocco navale delle bagnarole dei disperati e l’invasione da respingere è quella dei bambini che affogano con la pagella cucita nella giacca Peraltro, i poco più di 9 milioni di euro che quell’operazione costava ogni mese ai contribuenti – meno di una delle svariate marchette parlamentari, sempre giustificate in ragione di un qualche principio di solidarietà domestica: prima gli italiani – venivano pressoché quotidianamente rinfacciati all’esecutivo come contributo al business degli sbarchi e come un pull factor di orde barbariche.

La strage nel mare crotonese dello scorso 26 febbraio ha portato nel giro di pochi giorni alla legge di Cutro, che è il degno coronamento dell’indegno spettacolo di negligenze e di menzogne inscenato dal Governo per due settimane, ma in cui è stata chiara fin dal primo momento la relazione strettissima tra le ragioni per cui, prima, non si è avuta troppa fretta di salvare quelle vite e, dopo, se ne è avuta tantissima di liberarsi di quei morti, mettendoli sul conto di qualcun altro.

In primo luogo – come ha detto il ministro del’Interno Matteo Piantedosi, parlando ovviamente da padre: e che padre – dei genitori irresponsabili, che trascinano i figli in questi viaggi perigliosi, invece di starsene tranquillamente in Afghanistan a chiedersi non cosa il mondo possa fare per loro – che pretese – ma cosa loro possano fare per i talebani.

In seguito – come hanno detto tutti i ministri in coro – il conto su cui caricare quella vergogna è stato quello degli scafisti, che a quanto pare non sono la manovalanza di quelle fughe disperate, che non trovando canali legali, ne cercano di illegali, tanto più costosi e disumani quanto purtroppo monopolistici. Gli scafisti non sarebbero la schiuma criminale del maremoto politico-demografico di interi pezzi di mondo, ma sarebbero la causa di tutto questo, eliminata la quale tutti se ne starebbero comodamente a casa propria a morire di fame, di guerra o di violenza.

Alla fine di questo scaricabarile-scaricamorti la risposta italiana è stata una legge che introduce uno bel reato di scafismo – una «nuova fattispecie», tripudiava garrulo il ministro della Giustizia Carlo Nordio – semplifica la costruzione di nuovi centri di detenzione per gli immigrati irregolari, rende la vita un po’ più grama ai richiedenti asilo e – udite udite – afferma «la giurisdizione penale dello Stato italiano quando un’imbarcazione è diretta verso il territorio nazionale, anche se il disastro si verifica in acque extranazionali», come ha detto il ministro della Giustizia, incurante di una piccola trascurabile contraddizione tra il perimetro geograficamente smisurato delle pretese repressive dell’Italia e quello molto più circoscritto dei suoi doveri umanitari. 

L’Italia – c’hanno spiegato da Palazzo Chigi – non aveva alcun dovere di fare uscire la Guardia Costiera per salvare chi stava in mezzo a un mare grosso, da cui pure le imbarcazioni della Guardia di Finanza si erano dovute precipitosamente ritirare per evitare il peggio. Però da domani, per vendicare i morti che non avrà salvato, lo Stato italiano in mezzo al mare, con comodo, ci manderà un Pm.

L’argomento principe usato dai sovranisti, di cui la politica italiana fornisce un ampio e vario assortimento, è l’irrisione verso l’impotenza dei “buonisti”, che criticano le maniere forti contro i migranti ma si guardano bene dal congegnarne di alternative. È una critica dolorosa, perché coglie un punto di verità. 

Dopo Mare Nostrum – anche per le divisioni nella politica europea che aggravano e amplificano quelle nazionali – si è considerata la gestione razionale di un fenomeno in larga misura incontenibile, ma, tranne in poche occasioni, non effettivamente problematico (se non per chi rischia di crepare in mare) come un’opzione democraticamente impossibile. Il che ha legittimato la popolarità democratica dell’idea che il diritto delle migrazioni, più ancora del diritto di guerra, sfugga per sua natura a un canone universalistico e ne debba invece adottare uno, che non si sa come altro chiamare se non razzistico. I diritti umani dei migranti, in quanto invasori, sono a requisiti ridotti o addirittura dimidiati. 

Non verrebbe in mente a nessuno di sostenere che un barcone o un torpedone di gente “come noi” in fuga da una persecuzione, da un cataclisma o semplicemente da una minaccia non debba essere in primo luogo raggiunto per prestare soccorso al suo carico di sofferenti. A nessuno verrebbe in mente di cavillare o di accettare che si cavilli su questo dovere di solidarietà. 

Rispetto agli afghani, ai siriani e agli altri sfigati della terra, che appunto non sono “come noi”, non abbiamo (e in larga parte, come italiani, ma anche come europei, non sentiamo) questo dovere, perché riteniamo che loro – in quanto afghani, siriani eccetera – non abbiamo questo diritto. 

A nessun Governo, come hanno fatto tutti i governi italiani dal 2017 in poi, sarebbe venuto in mente di consegnare un nostro connazionale (o un francese, un tedesco, un inglese) alla custodia delle cosiddette “autorità libiche”, a cui l’Italia ha appaltato il lavoro sporco dei respingimenti preventivi, consentendo che venisse svolto secondo codice tribali o criminali. 

Peraltro bisognerebbe riflettere su quanto la trattativa Stato italiano – Mafia libica abbia rappresentato il vero push factor di migranti trattenuti o spediti verso l’Italia dai loro stessi carcerieri a seconda dell’esito dei negoziati sul prezzo giusto di questo delicato servizio. Gli straordinari, a cui il sistema di soccorso in mare nazionale ieri è stato costretto, con svariate imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo e nello Ionio, in situazione di gravissimo pericolo, potrebbero anche essere un segno degli equilibri precari di un regime di estorsione permanente.  Ma questo è un altro discorso.

Visto dunque che l’immigrazione è un problema che si può governare, ma non cancellare – come vorrebbe la retorica del “siamo in troppi” in un paese in via di spopolamento – allora l’unica opzione è esorcizzarlo. Ma come in tutti gli esorcismi politici bisogna negare statuto umano al maligno. Quanto è successo dalla strage di Cutro alla legge di Cutro è il percolato di questo esorcismo.

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