Risorse inaspettateLa miniera di litio in India e quel sogno di indipendenza dalla Cina

Il deposito potrebbe rivelarsi fondamentale per la transizione energetica di Nuova Delhi, ma ci sono due grandi ostacoli: trovare le tecnologie necessarie per l’estrazione (e la purificazione) e schivare nuove forme di conflitto socio-ambientale nell’area di Salal-Haimana, nel distretto di Reasi

LaPresse

A inizio febbraio, la Geological Survey of India, l’agenzia geologica indiana, ha confermato la presenza nel territorio di Jammu e Kashmir, precisamente nell’area di Salal-Haimana del distretto di Reasi, di un deposito di litio con risorse stimate in 5,9 milioni di tonnellate. 

Nonostante l’esplorazione sia stata di natura solo preliminare, l’annuncio della scoperta ha entusiasmato i produttori locali di batterie al litio, veicoli elettrici e apparecchiature per sistemi solari attualmente dipendenti dalle importazioni di litio dall’estero (e in particolare dalla Cina). 

In base ai dati del ministero del Commercio e dell’Industria, tra aprile e dicembre 2022, l’India ha acquistato litio e ioni di litio per centosessantatre miliardi di rupie. La Repubblica Popolare controlla attualmente il settantasette per cento della capacità produttiva globale di batterie agli ioni di litio. L’India, l’Unione europea, gli Stati Uniti e il Canada sono dunque alla ricerca di alternative in grado di scardinare il monopolio cinese nel settore e ridurre la loro dipendenza da Pechino. 

Nella corsa globale alle risorse, la Cina non perde certo tempo. Il 20 gennaio il colosso cinese Contemporary amperex technology ha firmato un accordo con l’azienda statale boliviana Yacimientos de litio bolivianos per l’estrazione, la raffinazione e la vendita delle risorse del Paese sudamericano.

Se le stime saranno confermate, la scoperta di febbraio permetterebbe a Nuova Delhi di diventare autosufficiente nella produzione di veicoli elettrici e potrebbe rivelarsi fondamentale per la transizione energetica dell’India. Prima, però, bisognerà convertire le risorse stimate in risorse sfruttabili e valutarne il potenziale commerciale. L’Agenzia geologica indiana aveva mappato la presenza di depositi di litio nella regione già nel 1999, e ci sono voluti più di vent’anni per passare alle fasi successive. 

In generale, per qualsiasi minerale, le risorse vengono valutate grazie a studi fisici e chimici della superficie e dei campioni, e solo nella fase finale di esplorazione dettagliata le caratteristiche dei depositi vengono stabilite con un alto grado di accuratezza. Il litio individuato a Reasi è misto a bauxite. Il valore finale potrebbe essere inferiore e i costi di raffinazione potrebbero essere più elevati del previsto. 

Tuttavia, secondo alcune valutazioni, anche nell’ipotesi migliore dovranno trascorrere almeno dieci anni prima di poter procedere con l’estrazione del minerale, e dunque Nuova Delhi vedrebbe gli effetti di tale scoperta solo tra molto, troppo tempo. Come indica inoltre un rapporto del World resources institute (Wri), l’India non dispone ancora della tecnologia necessaria a estrarre e purificare il litio. L’industria delle batterie in India è appena nata e la catena di approvvigionamento è agli inizi, dal reperimento di minerali alla produzione in senso stretto. 

Attualmente, Pechino controlla quasi il sessanta per cento della capacità di raffinazione totale di lito. Fino al 2020, l’India non aveva la capacità di produrre celle a ioni di litio e le importava da Taiwan o dalla Cina. Tra il 2018 e il 2019, l’India ha importato l’equivalente di ventitré miliardi di batterie a ioni di litio, sostiene il rapporto. 

Ancora a inizio febbraio, l’India ha annunciato di aver stanziato 4,3 miliardi di dollari a favore della sicurezza energetica e della transizione verde, un primo passo verso l’obiettivo del primo ministro Narendra Modi di raggiungere le zero emissioni entro il 2070. La crescita verde figura tra le principali priorità nel bilancio fino a marzo 2024. Nuova Delhi si muove tra la necessità di garantire l’approvvigionamento energetico delle risorse disponibili, principalmente carbone, e quella di dover doversi impegnare seriamente per ridurre l’utilizzo di combustibili fossili. 

Per promuovere la mobilità elettrica, in particolare, il governo indiano ha previsto per l’anno 2023 una serie di iniziative. Secondo uno studio del Center on global energy policy della Columbia University’s School of International and Public Affairs, il programma Faster adoption and manufacturing of electric vehicles (Fame) offre sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici. La somma stanziata dal governo in tal senso ha raggiunto i seicento milioni di dollari, raddoppiando quasi la cifra dell’anno precedente. 

Per favorire lo sviluppo dell’industria domestica di veicoli elettrici, sono stati ridotti i dazi alle importazioni di materiali necessari alla produzione di batterie al litio. Inoltre, il governo ha deciso di semplificare le regole e ridurre dal ventuno al tredici per cento le tasse sulle batterie di importazione, contribuendo così ad abbassare i costi dei veicoli elettrici. Per facilitare ulteriormente il passaggio a fonti di energia pulita, seguendo la strada già tracciata negli anni precedenti, il governo indiano sta spingendo per la rottamazione dei veicoli vecchi di almeno quindici anni a disposizione delle agenzie governative. 

Quasi un miliardo di dollari andrà alle ferrovie indiane. A novembre 2022, l’ottantadue per cento dei binari a scartamento largo, la maggioranza nel Paese, era già passato all’elettrico. Il Fondo sovrano ambientale, istituito di recente, finanzierà inoltre progetti a favore della rete di distribuzione dell’energia elettrica e solare.

A ostacolare i piani del governo indiano è anche l’alta sismicità del territorio di Jammu e Kashmir, zona soggetta anche a frequenti frane. L’estrazione del minerale dovrebbe tener conto dell’impatto sulla fauna locale e sulle attività agricole e dovrebbe avvenire secondo metodi sostenibili. 

Sebbene Reasi si trovi nella regione relativamente più stabile di Jammu, il territorio è stato teatro di tensioni tra India e il vicino Pakistan, insurrezioni interne e terrorismo. Se la popolazione locale non verrà adeguatamente coinvolta nei progetti di estrazione, il rischio è che nascano nuove forme di conflitto socio-ambientale. Il Fronte antifascista popolare (Paff), con sede nella valle del Kashmir, bandito dal ministero dell’Interno indiano perché associato al gruppo terroristico Jaish-e-Mohammed, ha già minacciato di voler impedire il «furto» e lo «sfruttamento» delle risorse di Jammu e Kashmir. 

Nell’agosto del 2019, con una riforma costituzionale, il governo ha revocato lo statuto speciale e l’autonomia politica del Kashmir. Come conseguenza, lo Stato del Jammu e Kashmir è stato diviso in due nuove entità amministrative: Kashmir e Ladakh, controllate da Nuova Delhi. Il Paff è tra i gruppi nati sulla scia di quella riforma e in guerra aperta contro lo stato indiano. 

«Il rischio è che tali gruppi possano prendere di mira le forze militari indiane o attaccare i lavoratori impegnati nell’estrazione e nello sfruttamento delle risorse, spiega Riccardo Valle, co-fondatore e ricercatore indipendente di The Khorasan Diary. «Non sono gruppi dotati di grande supporto locale. La loro forza sta nel poter disporre di armi e fondi dall’estero, in primo luogo dal Pakistan. Sanno perfettamente di non essere in grado di poter contrastare il controllo indiano in Kashmir ma possono avere presa sui giovani e aizzare la popolazione contro il governo centrale». 

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