A Giambattista Vico la storia di Alternative für Deutschland, AfD, sarebbe piaciuta parecchio. Il filosofo dei corsi e ricorsi storici avrebbe sicuramente apprezzato la coazione a ripetere degli alternativi, le cui vicende seguono con precisione quasi matematica sempre lo stesso copione, scritto evidentemente da un immaginario autore che ama usare un plot narrativo e solo quello.
Proprio in questi mesi AfD ha compiuto dieci anni. Vale la pena quindi ripercorrere la sua storia e dare un’occhiata a come la stampa tedesca ha celebrato – termine probabilmente eccessivo – la ricorrenza, alla ricerca magari di qualche spunto più nascosto.
AfD nasce il 6 febbraio 2013, nella sala del Centro della Comunità Evangelica di Oberursel, vicino a Francoforte. Si riuniscono lì 18 persone, accomunate da una posizione molto critica nei confronti dell’Unione europea, della sua moneta unica e della sua politica di condivisione del debito degli stati membri.
A guidarle sono soprattutto in tre: Bernd Lucke, Professore di Economia dell’Università di Amburgo, Alexander Gauland, ex membro della Cdu e funzionario di lungo corso delle istituzioni francofortesi e dell’Assia, e Konrad Adam, giornalista e collaboratore della Frankfurter Zeitung.
I tre avevano provato a creare un nuovo movimento politico già un anno prima, nel 2012, dando vita a Wahlalternative 2013, e decidono ora di trasformare quell’iniziativa in un partito vero e proprio, strutturato e con un programma. Programma che all’inizio è piuttosto conciso, articolato intorno a tre punti: stop al salvataggio degli altri Stati e alla condivisione del debito, fine della moneta unica e referendum per l’uscita della Germania dall’Unione europea. Chiaro, semplice, diretto.
l neonato partito attrae inizialmente soprattutto chi, nel mondo dell’economia e della politica, guarda con grande preoccupazione all’evoluzione della situazione in Grecia e in Italia, temendo le conseguenze sistemiche di un possibile default sull’intero continente: molti economisti – verrà ribattezzato Professorenpartei, «partito dei professori» – ed ex sostenitori di altri partiti, dalla Cdu alla Spd, tanto da potersi definire «né di destra né di sinistra». (Lo so cosa state pensando, evidentemente in quegli anni era una formula che andava alla grande).
Il saldo posizionamento anti-Ue e i toni para-sovranisti vengono però apprezzati molto anche da movimenti più tipicamente di destra, anche estrema, e alcune dichiarazioni di Bernd Lucke, nel frattempo eletto alla guida del partito, certo non aiutano. Ad esempio l’apprezzamento per Pegida, il movimento xenofobo anti-islamico che organizza numerose manifestazioni soprattutto in Sassonia e nei Länder orientali, o le dure critiche a Merkel per aver detto che «l’Islam fa parte della Germania».
E così inizia ad entrare dentro AfD gente proveniente da ambienti vicini all’estremismo, addirittura al neonazismo, iniziando un percorso di progressivo spostamento a destra che coinvolge anche i temi al centro dell’agenda – non solo quelli economici nell’ambito dell’Unione europea, ma anche quelli legati all’immigrazione e all’accoglienza dei rifugiati.
Questo slittamento verso la destra estrema diventa particolarmente evidente nel 2015, quando al posto di Lucke viene eletta alla guida di AfD Frauke Petry, già portavoce del partito. Lucke ha dalla sua ancora parte della “vecchia” guardia – non tutta – ma Petry riesce a stringere un patto con la parte più nuova, quella più vicina al sottobosco neonazi, e lo fa metaforicamente fuori.
L’ala radicale e xenofoba ha ora voce in capitolo nella dirigenza, e Lucke si vede costretto a lasciare il partito, da cui fuoriescono insieme a lui moltissimi altri. AfD non è più «quella di una volta», è diventata un’altra cosa, una cosa che a molti del gruppo dei fondatori non piace più. Piace però a moltissimi altri, come le elezioni regionali di quegli anni dimostrano.
Il partito entra in praticamente tutti i Landtag, i Parlamenti Regionali, e si mostra molto competitivo soprattutto a Est, arrivando talvolta a scalzare la Spd o la Cdu dalle primissime posizioni. L’obiettivo ora è il 2017, l’anno delle elezioni politiche: ottenere un buon risultato a livello nazionale e sbarcare nel Bundestag, il Parlamento Federale.
Prima del voto di settembre, però, bisogna fare il congresso per decidere le candidature alla Cancelleria. E al Parteitag, previsto per aprile a Colonia, Frauke Petry arriva con parecchi grattacapi. La corrente radicale a cui si era appoggiata per prendere il potere è diventata sempre più vivace e attiva, e alcuni dei suoi esponenti iniziano a dare scandalo con dichiarazioni davvero al limite del nazismo: ad esempio il turingiano Björn Höcke, ex insegnante di liceo a capo dell’ala più estrema, denominata per l’appunto Flügel, “l’ala”.
Durante un comizio Höcke invoca una «inversione a centottanta gradi nella politica della memoria tedesca», e attacca duramente il monumento alle vittime dell’Olocausto di Berlino. «La Germania», dice in tono incendiario, «è l’unica nazione al mondo ad avere un monumento alla vergogna nel cuore della propria capitale», scatenando fortissime polemiche.
Un bel problema per Petry, che proprio in quel periodo sta cercando di cambiare faccia ad AfD e renderla più salonhfähig, più presentabile: il suo piano è emarginare i radicali e rendere il partito appetibile per un’eventuale coalizione di destra con la Cdu.