Le presidenziali in Montenegro di domenica 19 marzo potrebbero portare ad elezioni legislative anticipate e a un mutamento nelle dinamiche della piccola nazione balcanica. I principali candidati saranno il presidente uscente Milo Dukanovic, membro del Partito democratico dei socialisti, Jakov Milatovic, esponente del movimento Europa adesso, Andrija Mandić, leader del partito filoserbo Fronte democratico e accusato in passato di un tentato golpe, e Aleksa Bečić, leader dei Democratici.
I sondaggi prevedono che la corsa verrà decisa al ballottaggio, dove Dukanovic si confronterà con Mandić o con Milatović; mentre Becic non ha molte speranze di superare il primo turno. Il Capo di Stato gode di poteri limitati ma l’importanza del voto sta nella possibilità di segnare la sconfitta di Dukanovic, al potere – con vari incarichi, quattro volte quello di premier – da trentasette anni.
Dukanovic ha avuto una lunga carriera iniziata negli anni Ottanta con l’amicizia con Slobodan Milosevic che lo ha portato a diventare, nel 1989, il più giovane primo ministro d’Europa. La vittoria del suo movimento alle elezioni del 1990 e 1994 gli ha garantito altri otto anni di premierato durante i quali si è dimostrato un fedele alleato della Serbia. Poi la rottura con Milosevic, accusato di autoritarismo, la vittoria alle presidenziali del 1998, l’avvicinamento all’Occidente e l’impegno per una maggiore autonomia del Montenegro culminato con l’indipendenza nel 2006.
Ha annunciato il ritiro 2010 per poi ripensarci e tornare ad essere Primo Ministro nel 2012 e presidente nel 2018. Negli ultimi anni ha traghettato il Montenegro nell’Alleanza Atlantica e ha fatto sì che Podgorica si candidasse per l’ingresso nell’Unione europea. L’organizzazione non governativa Freedom House, che si occupa di monitorare il rispetto dei diritti civili e politici nel mondo, ha espresso critiche nei confronti del vasto potere personale di cui Dukanovic ha beneficiato per decenni e ha ricordato che sono stati esercitati controlli sui media e pressioni sui giornalisti. La lotta alla corruzione, inoltre, continua a non essere ritenuta sufficiente.
Le elezioni locali, svoltesi nel 2022, hanno visto il grande successo del neoformato movimento Europa adesso, fondato da alcuni ex ministri e caratterizzato da promesse come l’innalzamento del salario medio a mille euro e delle pensioni minime a 450 euro. Secondo alcuni osservatori Europa adesso è in realtà un partito populista, strettamente legato alla Serbia, con un programma elettorale poco definito, volto ad attirare, grazie questi slogan, il maggior consenso possibile.
La piccola repubblica è preda di un caos che, dal 2020, sta coinvolgendo le principali istituzioni. Tutto è iniziato dopo le elezioni quando il partito di Djukanovic ha perso, per la prima volta dell’indipendenza, la maggioranza in Parlamento. Il movimento è stato sostituito da una coalizione eterogenea, poi caduta in seguito a una defezione interna.
Il secondo tentativo, un governo guidato da Dritan Abazovic e sostenuto dall’astensione dei socialisti, non è andato meglio perché, poco più di un anno fa, è stato sfiduciato proprio da questi ultimi. In seguito, una parte della coalizione eterogenea ha provato a formare un esecutivo scontrandosi con il rifiuto del presidente Djukanovic, orientato verso le elezioni anticipate.
È nata così una forte contrapposizione tra Parlamento e Capo di Stato, nell’assenza della Corte Costituzionale a cui mancava il numero minimo di membri. La paralisi si è risolta alcune settimane fa quando il Parlamento ha eletto, con un ampio margine, tre nuovi giudici della Corte. L’Unione europea aveva ammonito il Montenegro chiarendo come il normale funzionamento del tribunale costituzionale sia fondamentale per non interrompere il processo di adesione. Nelle ultime ore Djukanovic ha sciolto il Parlamento e indetto elezioni anticipate che potrebbero svolgersi tra la fine di maggio e l’inizio di giugno.
Il Montenegro, secondo la Foundation for Defense of Democracies, è l’anello debole tra i Paesi filooccidentali dei Balcani e Mosca è conscia di questa vulnerabilità legata a fragilità istituzionali. Il Cremlino, come confermato dall’analista Milan Jovanović, ha interferito nella regione per anni fomentando «pulsioni anti-occidentali» e «minando le riforme che sono un prerequisito per una maggiore integrazione nelle strutture euro-atlantiche».
Nelle imminenti elezioni sarà necessario «garantire un processo elettorale equo, limitando le interferenze prodotte dalla presenza di diffusori di propaganda russa». I candidati anti-occidentali potrebbero beneficiare di campagne di disinformazione che colpiscono i rivali e non bisogna dimenticare che molti nazionalisti serbi negano un’identità autonoma al Montenegro e desiderano impossessarsi delle sue istituzioni.
Nell’ottobre 2016, un giorno prima dello svolgimento delle elezioni parlamentari, la polizia montenegrina ha arrestato venti persone accusate di aver pianificato un tentato colpo di Stato e di voler uccidere il primo ministro. Secondo le forze di sicurezza avrebbero partecipato alla macchinazione anche esponenti dell’intelligence militare russa e cittadini serbi. Nel 2019 un tribunale ha condannato a pene detentive tutti e tredici gli imputati giunti a processo, compresi i leader dell’opposizione filorussi ed anti-Nato Andrija Mandic e Milan Knezevic. La sentenza è stata poi annullata dalla Corte di Appello del Montenegro, che ha ordinato una ripetizione del processo definito come ingiusto e politicizzato, tanto da Mandic quanto da Knezevic.