Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il Giappone ha sanzionato centinaia di aziende e individui russi e ha promesso tagliare gradualmente tutte le importazioni di idrocarburi in arrivo dalla Russia. La recente visita di Fumio Kishida al presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kyjiv ha posto definitivamente il Paese dalla parte dell’Ucraina, spedendo in soffitta una volta per tutte la politica dell’ex premier Shinzo Abe.
Quando nel 2014 Mosca aveva annesso illegalmente la Crimea, la risposta di Tokyo era stata blanda e tardiva: il governo nipponico aveva imposto perlopiù sanzioni simboliche e non aveva modificato i rapporti bilaterali con la Russia, con quell’approccio di chi cercava di mantenere le relazioni con il Cremlino nonostante le richieste statunitensi.
Già un anno fa, tuttavia, la risposta giapponese all’invasione dell’Ucraina era apparsa del tutto diversa rispetto al passato. Senza alcuna esitazione, Tokyo aveva mostrato l’intenzione di seguire la strada tracciata da Washington e Bruxelles.
Sebbene non fosse il solo leader a chiudere un occhio sui rapporti commerciali con Mosca, salvaguardando in particolare il settore energetico, per quasi dieci anni l’ex primo ministro Abe aveva puntato a strappare concessioni importanti a Vladimir Putin giocando la carta degli investimenti nipponici in Russia. A posteriori, la condotta di Abe verso Putin è stata ritenuta troppo conciliante – se non addirittura compiacente.
La sua intenzione era comparire sui libri di storia per aver finalmente sottoscritto un trattato di pace con la Russia, atteso sin dal 1945. Il trattato, nei piani dell’ex premier, avrebbe necessariamente comportato il recupero di almeno una porzione dei territori contesi con la Russia, le Isole Curili o – come comunemente li chiamano i giapponesi – i Territori del Nord. Per raggiungere questo obiettivo, negli otto anni del suo secondo mandato, Abe ha incontrato Putin ventisette volte. Per molto tempo, il Giappone aveva chiesto la restituzione di tutti e quattro i territori contesi.
Tutti questi sforzi però si sono rivelati infruttuosi e anche dannosi per la diplomazia nipponica. Compiendo una decisa inversione a U, dall’inizio dell’aggressione russa, il Giappone ha sostenuto sempre più attivamente l’Ucraina. Il 20 febbraio Kishida aveva annunciato un pacchetto di aiuti umanitari da 5,5 miliardi di dollari, quadruplicando la cifra già stanziata di seicento milioni.
Pur non essendo un Paese noto per la disponibilità ad accogliere rifugiati, il Giappone ha ospitato fino a questo momento quasi duemila cittadini ucraini. Dal punto di vista strettamente militare, il governo di Tokyo avrebbe fornito a quello di Kyjiv giubbotti antiproiettile, equipaggiamento invernale, droni da ricognizione e altro materiale per la difesa, stando al rapporto del think tank Carnegie Endowment for International Peace.
Per il Giappone, offrire una tale forma di assistenza a un Paese impegnato in un conflitto armato è una novità assoluta. Durante l’incontro con Zelensky, Kishida si è impegnato a fornire all’Ucraina attraverso la Nato altri trenta milioni di dollari in equipaggiamento militare non letale e quattrocento milioni in aiuti a favore del settore energetico.
Tuttavia, il governo giapponese potrebbe andare anche oltre. A inizio marzo, Kishida ha invitato i legislatori a modificare le regole sull’esportazione di armi, ma già da un po’ si discuteva della possibilità di consentire il trasferimento di armi letali alle vittime di atti di aggressione che violano i principi del diritto internazionale. In altri termini: all’Ucraina. In base alle norme vigenti, Tokyo può trasferire determinati armamenti, come aerei da guerra, veicoli corazzati e missili, soltanto ai Paesi che sono stati partner dei relativi progetti. Anche la Strategia di sicurezza nazionale, aggiornata lo scorso dicembre, aveva previsto una revisione dei criteri base da considerare per le esportazioni di sistemi per la difesa.
Il Giappone ha assunto la presidenza di turno del G7 per il 2023 e si prepara ad ospitare il summit di maggio a Hiroshima. Da leader del Gruppo, Kishida punta a intestarsi l’iniziativa di condannare l’aggressione russa e presentare il Giappone come attore fortemente determinato a difendere l’ordine globale. In virtù di tale impegno, in questo momento i rapporti con gli Stati Uniti non potrebbero essere più solidi. Abe aveva resistito alle richieste occidentali di sanzionare seriamente la Russia sulla base della considerazione che una Mosca isolata si sarebbe avvicinata ancora di più a Pechino.
Ora, al contrario, il governo giapponese ritiene che sia necessaria una risposta dura come monito ad altri attori: Kishida osserva regolarmente che «l’Ucraina di oggi potrebbe essere l’Asia orientale di domani».
Le valutazioni cinesi riguardo Taipei sono di sicuro più ampie ma, qualora dovesse scoppiare un conflitto incentrato su Taiwan, Tokyo sarebbe quasi certamente coinvolta. La risposta del Giappone all’invasione vuole dunque impedire a Mosca di ottenere una vittoria che potrebbe incoraggiare Pechino e avvertire la Cina che qualsiasi aggressione contro Taiwan causerebbe una risposta altrettanto decisa. Anche per questo motivo, il Giappone lavora per mantenere salda la relazione con Washington.
Parlando degli obiettivi del G7 del Giappone, Kishida ha anche ribadito la necessità di sostenere un ordine internazionale basato sullo stato di diritto e sul rafforzamento delle relazioni con il Sud Globale. La visita in India, dove il premier è andato prima di partire per Kyjiv, ribadisce tale impegno ma riflette anche le preoccupazioni per la crescente influenza cinese nella regione dell’Indo-Pacifico.