Adesso Giorgia Meloni aspetta Elly Schlein al varco su Kyjiv. Le piazze, gli abbracci, le opposizioni che si ritrovano antifasciste, Elly che parlotta con Giuseppe Conte, che flirta con Maurizio Landini. Poi si arriva al dunque e davanti alla nuova leader del Partito democratico si presentano tracciate sull’asfalto della politica le linee rosse.
La prima sta arrivando: il 22 marzo la premier farà le sue comunicazioni nelle aule del Parlamento, alla vigilia del Consiglio europeo. Sarà la prima vera occasione per verificare il nuovo orientamento del Partito democratico e della sua nuova segretaria, salutata con entusiasmo dal popolo della sinistra e destinata a fare le scarpe ai Cinquestelle. È proprio qui che si inserisce la premier, refrattaria a gareggiare sul semplice e scontato piano del genere: Meloni versus Schlein. Lo trova stucchevole. Vuole invece stanare Elly sulle questioni che contano.
Il 22 marzo confermerà la linea di sostegno a Kyjiv, senza esitazioni, contro i dubbi (è un eufemismo) di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Per tutto il 2023 l’Italia continuerà a mandare armi e sostegno economico a Volodymyr Zelensky grazie al decreto votato a fine 2022. Non c’è ancora bisogno del settimo decreto per finanziare altri aiuti, ma la durata della guerra purtroppo richiederà un altro provvedimento e un’altra spesa.
E intanto potrebbe aumentare il distacco della maggioranza degli italiani, potrebbe crescere la contrarietà di quella parte dell’opinione pubblica che sente lontano il conflitto ucraino per vari motivi, sentimento di pacifismo o meno che sia. E sarà a quel punto che la strettoia diventerà sempre difficile sia per Elly che per Giorgia. Ma il 22 marzo sarà il primo momento della verità e delle spade che si incrociano.
La maggioranza intende presentare una risoluzione per confermare l’impegno a sostenere Kyjiv. Schlein che farà? Non potrà certo votare la risoluzione del centrodestra. Dovrà presentarne una sua e sbilanciarsi sul peso che intende dare all’azione diplomatica. La scena parlamentare per Meloni è ideale per mettere in difficoltà gli avversari, se Giuseppe Conte avrà – e l’avrà – la “felice” idea di presentare una mozione tutta piegata sullo pseudo-pacifismo. Il Partito democratico dovrà votare contro o astenersi, servendo un assist al governo.
Meloni aspetta tutti su questo crinale. Punta a far emergere l’ambiguità della segretaria dei democratici. Ambiguità che rimarrà confinata all’Ucraina e destinata a diventare contrarietà nei confronti dell’invio di altre armi con il settimo decreto. Finendo per alimentare il dissenso dentro la stessa maggioranza. Tutto dipende da quanto a lungo durerà la guerra, se malauguratamente dovesse aggravarsi. Potrebbe succedere che Meloni si troverà in una posizione di solitudine anche dentro i suoi confini politici.
Tra pochi giorni in Parlamento alcune cose saranno chiare. La maggioranza si stringerà attorno al suo premier alla vigilia del vertice europeo e Meloni, sentendo l’odore del sangue politico, vorrà stressare al massimo le divisioni dentro il Partito democratico. Non ci metterà un secondo a dare ai capigruppo di Fratelli d’Italia disposizioni per presentare una risoluzione netta. La pacifista Schlein sarà costretta a dire la sua, a barcamenarsi tra pace e guerra, a trovare un equilibrio nel suo partito.
Magari non sarà la nuova segretaria a fare un regalo alla premier, ma viceversa, dal momento che l’umore degli italiani sta prendendo una piega verso il disimpegno. Meloni rischia di non trovarsi più in una posizione di forza.