È la moda a ispirare il cinema o il contrario? Di solito, questa domanda gira su se stessa alla pari di un quesito esistenziale. Se la moda coincide con la potenza dell’immagine visiva e il cinema si serve di questo assunto per trasferirlo all’interno di uno schema narrativo, il gioco è fatto. La risposta è che non c’è risposta. Raramente, ormai, una collezione non è di per sé un rimando, anche solo potenziale, a “qualcosa di già visto”, a un film, all’estetica di un regista, a un decennio del secolo scorso o alle atmosfere iconiche di un’opera.
Perdura una sensazione di déjà-vu, ben lungi da somigliare alla saturazione. Proustianamente parlando, infatti, un accessorio smette di essere soltanto un accessorio se solletica un ricordo sepolto nel nostro cuore, pronto a schiudersi e a diventare di nuovo vivo, presente, forte. Nel caso degli occhiali da sole, andare a caccia di riferimenti cinematografici potrebbe risultare una sfida insidiosa.
Difficile riconoscerne le strutture evanescenti o minimaliste, acclarate o soffuse, perché di solito si tende a non prestare troppa attenzione alle lenti. Nascondono gli occhi. Soltanto gli esperti le studiano, le interpretano, le definiscono. Ecco perché la citazione deve essere evidente, impossibile da confondere. È il caso di Etnia Barcelona, il brand della città catalana, e della sua ultima collezione leggera, colorata, squadrata. I disegni geometrici sulle aste in acetato sono così flessibili da essere in grado di tornare alla posizione originale dopo una deformazione. Anche solo tirando a indovinare, viene subito in mente la fantascienza.
Un’apparenza futurista, tecnologica, dinamica, dalle tonalità accese, che a prima vista quasi solletica le fantasie sullo spazio e sul tempo… Ebbene sì, Etnia Barcelona si ispira a 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. A causa dell’effetto visivo, chi li indossa avrà la sensazione di essere un viaggiatore di dimensioni. La campagna è intinta di rosso, di giallo, di fasci luminosi e quasi fluorescenti, che subito ricordano l’ambiente di una navicella spaziale. E per sottolineare ancora meglio l’idea di essere improvvisamente precipitati nel capolavoro del regista di Arancia meccanica e Eyes wide shut alcuni protagonisti della campagna li portano sotto a un casco trasparente da astronauta, dove le lenti dei modelli si intravedono, ingranditi dall’effetto riflesso, simili ai grandi, acquosi occhi di una creatura aliena.
Ma la cinematografia provoca una fascinazione irresistibile anche in Oliver Peoples. Nello stesso anno in cui il pubblico di sala è stato catturato da Babylon, inedito tributo del regista Damien Chazelle a Hollywood e alle prime, lontane radici dell’industria cinematografica che affondavano in quella terra polverosa e desolata, la collezione è interamente dedicata alla scritta monumentale che troneggia sulle alture a sud della California. Un anno fa in Italia usciva Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson, la storia di due adolescenti che tentano la fortuna all’interno di quello stesso dedalo labirintico durante gli anni Settanta. Nel 2019 ci aveva pensato Quentin Tarantino con C’era una volta a Hollywood. Il sogno americano è un sogno ancora oggi? Oppure vale la pena portarlo in auge per celebrare la fine di un’epoca, anzi, l’inizio di un’era, dove tutto era ancora possibile?
Oliver Peoples, nel dubbio, ambienta la campagna in quello che non si capisce sia il presente o il passato: le atmosfere sono patinate, avvolte dal riverbero affascinante del successo e della fama. Tre giovani protagonisti, forse attori o forse no, vivono a bordo di materassini sulla superficie dell’acqua azzurra e cristallina di piscine all’interno di case lungo il Sunset Boulevard. Partecipano a feste indimenticabili.
A un certo punto, beati e leggeri, si recano a rubare la “O” della fatiscente, gigantesca scritta che da sempre saluta i nuovi arrivati come una sorta di divinità onnipresente. “O” come Oliver Peoples, che nel 1987 nacque proprio nel cuore losangelino come le lenti che dovevano oscurare lo sguardo e proteggerlo dal tramonto infuocato e accecante, la cosiddetta “ora magica”. Ma il gesto è anche interpretabile come una dissacrazione, una rottura con un certo tipo di tradizione, conclusa, tramontata appunto, quasi nostro malgrado.
Gli incendi devastano i boschi della California, il sistema democratico statunitense langue, perfino lo star system ne risente. Non a caso, una commedia noir dai tratti surrealisti del cineasta David Robert Mitchell, Under the silver lake (2019) racconta una Hollywood sfigurata dagli omicidi, da misteriose scomparse, da una congiura orchestrata dalle celebrità della zona per barattare l’eternità alle spalle dei comuni mortali.
E parlando di noir, Marcolin propone una limited edition su 007. In collaborazione con Barton Perreira, il modello Royale non è ancora stato lanciato in Italia. Un intramontabile modello maschile, da indossare insieme a un abito nero, mentre si sorseggia un cocktail, proprio come Daniel Craig in Casino Royale. Ma sono perfetti per chiunque desideri portare un po’ di mistero e di azione nella vita di tutti i giorni.