Come ogni anno, non ho letto neanche uno dei libri candidati allo Strega. Prometto di porre rimedio, se qualcuno sa indicarmi un libro candidato allo Strega che racconti i limiti di questo derelitto paese con la precisione con cui essi venivano ritratti ieri mattina durante la diretta dal tempio di Adriano (che ci hanno spiegato non essere in realtà tale: abbiamo le quote rosa retroattive a millenovecento anni fa, e ora è il tempio di Vibia Sabina e Adriano) per comunicare i dodici semifinalisti.
Come da regola di Mike Nichols, l’inizio ci dice subito qual è il nucleo della storia: qui nessuno parla italiano. Siamo nel tempio della cultura delle lettere della rava e della fava, e non ce n’è uno che non parli come un oste romano che ti sta elencando i piatti del giorno.
Il primo a parlare – che come tutti non si presenta, ma dice d’essere della camera di commercio – invita a non applaudirlo «perché in platea c’è mia moglie, e non mi devo allargare», e il tono del racconto è subito stabilito: siamo, come sempre, in un film dei Vanzina.
Il signore ha una dizione degna di Er Cotica, di cui è però consapevole: a un certo punto dice «la borsa, con la esse, perché noi romani abbiamo un difetto lessicale per cui diventa borza». Hai un difetto lessicale per cui credi che l’enunciazione sia lessico, ma non cavilliamo.
Si passa poi all’assessore alla cultura, che non sarò così crudele da dire sia della corrente trippa al sugo del Pd; ma sarò così crudele da sottolineare che dice davvero «la splendida cornice di Valle Giulia», costringendo noi duecentotrenta spettatori della diretta Facebook a chiederci: ma se leggere libri non basta neanche a non essere gente che nel 2023 dice senza alcuna coloritura ironica «splendida cornice», a cosa diamine servono i libri? Non faremmo prima a dare lo Strega alla più colta schermata di Candy Crush?
(Successivamente, dopo avere sbagliato a illustrare i metodi di selezione dei dodici titoli, il nostro eroe avrà una nuova cornice da lodare, «il vincitore potrà godere dell’eccezionale cornice del Foro Palatino», e le mie ginocchia potranno godere d’un secchio in cui venire munte).
Poi arriva il presidente della fondazione Bellonci che, giuro, parla uguale preciso a Verdone in quella gag in cui faceva il politico «sempre teso al rinnovamento». I libbbri, dice. A un certo punto dice «abbiamo di nuövo», e io a quel punto non so più di cosa stia parlando perché sono concentrata a pensare a come traslitterare quella «o» che non ha nulla d’italiano, nella splendida cornice culturale in cui si svolge questa splendida ora di celebrazione delle belle lettere.
Quando arriva il presidente di Strega Alberti (quelli del liquore) mi chiedo, orrida razzista che non sono altro, com’è possibile che la cosa più simile all’italiano la parli un tizio di Benevento; mi rispondo che le remote province sono più consapevoli, rispetto alla provincia compiaciuta che è Roma, che un conto siano i dialetti locali che parli a casa tua coi tuoi cari, e un conto l’italiano che parli nelle occasioni ufficiali. Certo, poi dice «Latsa batta not list» (intende: ultimo, ma non meno importante), ma non si può avere tutto.
La quota rosa arriva al microfono dicendo «siamo in una cornice magica» (chissà se poi pubblicano un catalogo di aggettivi possibili per le cornici), e spiega che «siamo conosciuti un po’ come banca che sa leggere» (la signora è in rappresentanza d’uno sponsor), ma poi dice «siamo vicini al premio Strega e a tutte le iniziative che sono ad esse connessa», e io non credevo si potessero sbagliare così tante concordanze in una sola frase, e allora lo vedete che ho ragione: la banca che sa leggere non sa però esprimersi.
Infine arriva Petrocchi – nel Novecento si sarebbe detto: il patron della kermesse – che evoca, ringraziando lo sponsor che fa arrivare i libri ai giurati in giro per il mondo (sia mai che evitiamo d’inquinare inutilmente mandando dei pdf), una delle peggiori disgrazie che capitino a chi riceve libri: lo scatolone vuoto. Ogni volta che mi arriva uno scatolone grande come quelli dei traslochi con dentro un solingo libro che, per non sbattere troppo in un contenitore non a sua misura, è circondato da una quantità di plastica anch’essa da trasloco, ogni volta penso a Greta Thunberg e piango.
Passati i video degli autori candidati al premio Strega europeo, che sembrano in parti uguali presi da Only Fans e dai tg che mandavano i filmati di Bellini e Cocciolone, torna Petrocchi a spiegarci che, su ottanta libri italiani selezionati, quarantacinque sono di donne (e i trans? Mica sarete transfobici. E i non binari?), molti dei quali addirittura candidati da uomini. Che generosi. Torna in mente quella Aspesi d’una volta: di fronte al maschio femminista, su le mutande e via.
E a dirci che «La lettura è lo strumento principale per fare esperienza del mondo»: Petrocchi è l’unico italiano più passatista e novecentesco di me. «Dove voglio arrivare?», ci chiede a un certo punto mentre illustra dei grafici preparati da gente che non ha la più pallida idea di come si facciano i grafici, torte che dovrebbero darci informazioni avvincenti quali quanti editori che non avevano mai partecipato prima concorrano allo Strega ogni anno.
In platea, nel tempio che fu d’un maschio patriarcale ma adesso è di coppia, sospetto vogliano, come ogni platea romana d’evento culturale, arrivare al buffet. Ma mancano ancora tutti i candidati. Siamo molto fortunati, noi con la diretta Facebook, che possiamo versarci da bere senza aspettare tutti e dodici i semifinalisti. (Coi loro libri nei quali, ci diranno poi, «si muore molto». Allegria!, avrebbe detto quello strumento di esperienza del mondo che era Mike Bongiorno).