Orecchie di AmanLa festa del Purim ebraico

Il 7 marzo cade la festività ebraica che rievoca eventi biblici legati alla salvezza e alla sorte. Come tradizione richiede, i migliori festeggiamenti avvengono a tavola come suggerisce la cucina giudaico-romanesca di Ruben Bondì

Ruben Bondì, foto di Micol Funaro tratta dal libro "Cucina con Ruben".

In Italia quando si festeggia, si mangia. Non importa di quale festa si tratti. Un compleanno o di un momento religioso. Ciò che conta è celebrare quello specifico istante intorno ad una tavola ben imbandita.

Succede anche durante il Purim, una giornata che ricorda la diaspora ebraica e la sua salvezza ai tempi di Assuero, re di Persia, e di sua moglie Ester, che riuscì a sconfiggere i piani del perfido primo ministro Aman e liberò il suo popolo da una fine tragica. Il giorno del massacro, il 14 di Adar secondo il calendario ebraico, era stato estratto a sorte e da quel momento si cominciò a festeggiare Purim, la cui traduzione è proprio quella di “sorte”. Quest’anno si celebra il 7 marzo.

E, riprendendo il punto dal quale siamo partiti, (in Italia quando si festeggia, si mangia, ricordate?) anche per celebrare il Purim si mangia. O meglio, se magna. «Un carciofo alla giudia, dei filetti di baccalà, un primo con carciofi e bottarga, per poi passare ancora al baccalà, condito cipolla e pomodoro e, per finire, le Orecchie di Aman». A raccontare un classico menu da Purim è Ruben Bondì, lo chef romano diventato una vera e propria star del web cucinando dal balcone di casa durante una quarantena da coronavirus. Lo abbiamo voluto chiedere proprio a lui, che ormai può essere considerato un punto di riferimento per la cucina giudaico-romanesca, proprio per la sua capacità di arrivare alle persone con una cucina semplice e spontanea, costruita su radici, tradizione e voglia di esplorare. E basata soprattutto sulla condivisione familiare: «In famiglia, da noi, si è sempre stati tutti insieme per le festività e i compleanni. Comunque vada, ci riuniamo tutti a casa a mangiare. Perché spesso si mangia meglio che al ristorante e il cibo è una questione di convivialità, a differenza di altri Paesi dove spesso il cibo è pensato solo come fonte di nutrimento».

Le radici di questa cultura gastronomica partono da lontano, si confondono e si mescolano. Il giovane chef ha appena pubblicato il suo primo libro, “Cucina con Ruben” (in ristampa dopo poche settimane). Nella prefazione, che è un po’ una breve sintesi della sua vita, si legge: «I confini geografici e quelli culturali non coincidono mai perfettamente: tradizioni diverse coesistono e si contaminano, si sovrappongono e non seguono muri, strade o fiumi. Al massimo, se ne servono per andare oltre. Culture e tradizioni non amano essere imprigionate e costrette entro spazi circoscritti». La cucina ebraico-romanesca è un po’ questo: un viaggiare da una cultura all’altra, un mischiarsi di ingredienti e di tecniche di preparazione che, alla fine, quasi si perdono nella loro origine, in un processo osmotico di sapori, cotture e profumi.

Questo accade un po’ in tutta Italia, con la cultura ebraica. E potremmo dire in tutto il mondo. Durante il Purim, infatti, possiamo trovare ricette sempre diverse, a secondo dell’angolo di terra in cui ci troviamo a mangiare. A Venezia si preparano le frittole ebraiche. Riguardo un Purim del 1600 mantovano invece si trovano testimonianze scritte, in cui si racconta di banchetti sontuosi composti da «Pesce fritto in guazzetto, brodetto di pesce, agnello al forno, cappone arrosto, gallina con agliata e salsa di noci, mammella lessa all’agresto, tortelli caliscioni, gnoccata, pignoccata, spongata, cotognata, salsiccioni d’oca, lingua salmistrata, marzapane, confetti, riso con zibibbo e mandorle, bianco mangiare». Anche su Roma, dove ha sempre vissuto la più antica comunità ebraica del mondo, troviamo testimonianze di pranzi che addirittura prevedevano fino a oltre venti portate: dagli arrosti alle torte ripiene, dalle focacce ai pasticci di carne. E questo solo per restare nei confini del territorio italiano. Valicandoli, si scopre un universo di piatti e combinazioni culinarie.

Risotto triglia e burro acido

Vero è che però c’è una ricetta che accomuna la festa di Purim in lungo e in largo. Ovvero gli Hamantaschen. «Il piatto tradizionale di questa festività sono le orecchie di Aman, triangolini di pasta frolla con dentro marmellata o cioccolata. Buonissime», ci spiega sempre Ruben.

Chissà, forse anche in questo caso, come accade nella maggior parte delle tradizioni gastronomiche, si tratta di un procedimento al femminile, con mani che si intrecciano sugli impasti e chiacchiere infinite tra donne intorno a un tavolo. Lo chef romano ricorda, infatti, che anche la sua passione per il cibo nasce così: «L’amore per la cucina mi viene, credo, dalle mie nonne. Dico credo perché siamo una famiglia molto unita e, di solito, i nostri incontri ruotano sempre attorno al cibo, come in ogni famiglia ebraica che si rispetti. La nostra cultura prevede una grande tradizione culinaria: per qualsiasi cosa, se magna».

Ritorna ancora il concetto di celebrazione e di festa legato al cibo e al mangiare insieme. Che poi, se vogliamo, è un concetto bellissimo che accomuna molte comunità, ma che forse in quella ebraica, di diaspore, di allontanamenti e lotte, diventa un qualcosa di fondamentale. «La cucina, per me, diventa anche una specie di indagine archeologica, un modo per ritrovare le origini della mia gente e di tutte le genti con cui si è mescolata, da cui ha imparato e a cui ha insegnato», si legge ancora nella prefazione del libro. «È una specie di ricerca storica, un modo per ripercorrere i viaggi degli ebrei attraverso il Medio Oriente, il Maghreb, l’Italia, ovviamente, e la Spagna». Ma in fondo, il cibo e la cultura gastronomica non sono forse questo?

Ruben Bondì l’ha capito, nonostante la sua giovanissima età (ha 25 anni) e grazie all’impegno: gli studi all’alberghiero, un’esperienza a Londra, i ristoranti stellati come Il Pagliaccio. «Per fare questo lavoro devi essere tanto, tanto appassionato», ci dice. E poi la sua strada, il suo modo di intendere la cucina e di comunicarla agli altri. «Quale sia il motivo del mio successo lo lascio dire agli altri. Forse sarà perché cucino con una padella, un tagliere e un coltello. Non usi mille cose, con poco riesci a fare tanto. Poi ci sono i tormentoni della scorza di limone, della frase “che te voi magnà?”, che entrano a casa delle persone ormai». La semplicità, ecco. Questa può essere la chiave di lettura di successo di questo ragazzo dagli occhi vispi e sinceri: l’arrivare alle persone, il fare da mangiare per le persone, che forse è l’errore spesso più commesso ormai nella ristorazione, troppo presa a rincorrere modelli egoriferiti e vanesi.

Lui è semplice, così come lo vedete nei suoi profili social da oltre due milioni di follower. Anche il suo piatto preferito è semplice: «Le polpette con i sedani di mamma, che poi finiscono dentro un panino».

E allora, visto che la giornata di oggi è dedicata allo star bene e al mangiare insieme, chissà se Ruben si sarà infilato in cucina o si sarà affidato ai manicaretti di mamma e nonne. Per il resto buon Purim a tutti. O meglio, Purìm Samèach.

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