Vietato criticare il governo. Non che sia una novità, nella Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, ma negli ultimi tempi la censura non aveva dovuto lavorare troppo per tenere sotto controllo la situazione. Negli scorsi giorni, invece, ventiquattro persone sono state arrestate per dei post sui social network relativi al terremoto del 6 febbraio, accusati dalla polizia di voler creare «paura e panico tra la popolazione». La versione non ufficiale è che gli arrestati avrebbero apertamente criticato il governo per la gestione del sisma, e d’altronde una simile sorte è toccata anche ad almeno quattro giornalisti che stavano raccogliendo informazioni e testimonianze sui luoghi colpiti dal terremoto.
A quasi un mese dalla tragedia, oggi Erdogan sembra occupato principalmente a evitare che il dissenso si estenda. Soprattutto dopo quanto successo domenica 26 febbraio alla Vodafone Arena, lo stadio del Besiktas, uno dei club con la tifoseria più radicalmente schierata a sinistra in tutto il Paese. Le immagini della partita contro l’Antalyaspor le hanno viste tutti, con la pioggia di peluche per i bambini vittime del terremoto, alcuni morti altri rimasti orfani. Ma oltre a questo gesto, i fan del Besiktas hanno lanciato un coro per chiedere le dimissioni del governo. E non sono stati gli unici: il giorno prima, nella gara contro il Konyaspor, anche quelli del Fenerbahçe avevano lanciato lo stesso grido.
I tifosi (di nuovo) contro Erdogan
«Irresponsabile e incosciente»: così ha definito la richiesta dei tifosi di calcio Devlet Bahçeli, già fondatore del gruppo paramilitare dei Lupi Grigi e oggi leader del partito Azione Nazionalista. Alle elezioni del 2018, il suo movimento ha preso oltre cinque milioni e mezzo di voti, pari all’undici per cento, conquistando quarantanove seggi in parlamento, con i quali appoggia il governo di Erdogan. Il leader dell’ultradestra turca ha anche invitato i club di calcio a prendere misure «urgenti e necessarie» per evitare che si verifichino altri episodi del genere, e pochi giorni dopo il governo ha sancito il divieto di trasferta per i tifosi gialloblù nella prossima di campionato.
Oggi il Fenerbahçe non avrà dunque i suoi tifosi al seguito nella gara in casa del Kayserispor, nella Turchia centrale, in una delle roccaforti dell’Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo. E non è escluso che nuove contromisure possano essere prese nei prossimi giorni: sotto osservazione c’è in particolare l’amichevole del Galatasaray primo in classifica, che gioca contro l’Istanbulspor. I giallorossi avrebbero dovuto affrontare il Gaziantep in campionato, ma l’avversario – che proviene dalla regione colpita dal terremoto – ha deciso di ritirarsi dalla Super Lig, e così il Gala ha riempito la data con un’amichevole.
Il timore principale di Erdogan è che si venga a formare una nuova saldatura tra gli ultras delle tre principali squadre di Istanbul, come già avvenuto nel 2013, quando i sostenitori di Besiktas, Fenerbahçe e Galatasaray strinsero una tregua momentanea dalle ostilità sportive per unirsi alla protesta ambientalista di Gezi Park e proteggere i manifestanti dagli assalti della polizia. Il presidente le ha provate tutte per sconfiggere gli ultras, prima con arresti e repressione e poi supportando l’ascesa di un club “fedele” come il Basaksehir, ma a dieci anni da Gezi Park il calcio turco è ancora un ricettacolo di opposizione politica.
Non ci sono solo i tifosi, per la verità. Alla notizia della trasferta vietata a Kayseri, il Fenerbahçe ha risposto con un duro comunicato: «Non è in alcun modo possibile per noi accettare questa scelta. È una decisione strana, che non ha nulla a che fare con criteri sportivi». La dirigenza del club, in questi ultimi anni, ha spesso preso posizioni critiche verso Erdogan, come nel marzo 2021, quando condannò pubblicamente la decisione del governo di ritirare la Turchia dalla Convenzione internazionale contro la violenza sulle donne.
Dagli stadi alle urne
Problemi che si aggiungono a una situazione generale sicuramente non positiva per Erdogan. La crisi economica appare inarrestabile, e il terremoto ha dato un altro duro colpo alla popolarità del Presidente, al potere ininterrottamente dal 2003. L’opposizione lo accusa di aver favorito le speculazioni edilizie che hanno portato alla costruzione di palazzi non sicuri in zone sismiche, e nonostante il recente arresto di quasi duecento costruttori le critiche verso il governo non si fermano. Già l’8 febbraio, l’esecutivo aveva dovuto bloccare temporaneamente Twitter per limitare la circolazione del dissenso online; due settimane dopo, tre canali televisivi che avevano messo in luce le responsabilità del governo nel disastro sono stati sanzionati.
Le proteste degli ultras sono l’ultimo tassello di un lungo percorso, in cui il terremoto di un mese fa è stato un fattore decisivo. «Il sisma non ha distrutto solo le case, ma anche il regno della paura» ha scritto su Twitter il giornalista Mustafa Hos. Tuttavia, va ricordato che i fan di Fenerbahçe e Besiktas sono solo una frazione di un sistema più ampio che, soprattutto a livello dirigenziale, è profondamente legato a Erdogan.
Il Rizespor, che milita in seconda divisione ed è la squadra della città natale del Presidente, ha condannato i cori antigovernativi come «provocazioni», arrivando a chiamare i contestatori «topi di fogna». Un’altra condanna, anche se dai toni più miti, è arrivata dall’Alanyaspor, club di prima divisione il cui presidente è il fratello del Ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu.
Ad ogni modo, la reazione delle principali tifoserie turche racconta un Paese in cui il dissenso è tornato a mostrarsi pubblicamente, e in cui la figura di Erdogan appare oggi molto meno solida rispetto al passato. I cori negli stadi possono essere l’antipasto di un risveglio collettivo dell’opposizione politica, in una fase molto delicata per il Presidente: il 14 maggio la Turchia tornerà infatti al voto.