Com’era già successo in seguito al terremoto di İzmit nel 1999 e a quello dell’Egeo nel 2020, la Grecia è stato uno dei primi Paesi a fornire aiuto alla Turchia dopo che un terremoto di magnitudo 7,8 ha colpito il Sud del Paese nella notte tra domenica e lunedì scorso. Nonostante il temporaneo disgelo diplomatico tra i presidenti Recep Tayyip Erdoğan e Kyriakos Mitsotakis e la gratitudine della popolazione turca (su Twitter, decine di utenti hanno scritto «Tesekkürler komsu», «grazie, vicini»), sul piano politico le relazioni i due Paesi non sono così difficili da anni e continuano a inasprirsi con l’avvicinarsi delle elezioni, previste sia in Grecia che in Turchia tra maggio e giugno.
Al cuore delle tensioni tra i due Paesi ci sono alcune isole greche del Mediterraneo orientale che si trovano a poche miglia dalla costa della Turchia. In base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, attorno a queste isole si estendono «Zone economiche esclusive» (Zee), aree di mare che, nonostante la loro vicinanza alla Turchia, sono di proprietà greca.
Lo scontro sulla delimitazione territoriale di queste isole va avanti da almeno cinquant’anni, ma si è intensificato con la scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale nella regione e con l’aggressiva politica estera sostenuta da Erdoğan, alla quale la Grecia ha risposto inviando soldati e mezzi militari sulle sue isole. Lo scorso settembre il presidente turco ha minacciato la Grecia, sostenendo che l’esercito potrebbe «arrivare all’improvviso, nel cuore della notte», mentre a dicembre ha dichiarato che i missili turchi possono raggiungere Atene, se la Grecia continua a militarizzare la zona.
La linea dura di Erdoğan contro la Grecia non dipende solo da motivi territoriali: il Paese è uno dei nemici perfetti – insieme all’Unione europea e alla popolazione curda – contro cui aizzare i suoi sostenitori in vista delle elezioni. Al potere da quasi vent’anni, Erdoğan ha accentrato su di sé le cariche di presidente, primo ministro, capo del partito di maggioranza (l’Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e, di fatto, anche quella di dirigente della banca centrale, piegando a suo favore l’esercito e i media.
Ma alle prossime elezioni presidenziali, tutto questo potrebbe non bastare: in Turchia la crisi economica va avanti dal 2018 e lo scorso autunno l’inflazione è arrivata all’ottantacinque per cento. Di fronte al calo dei consensi dell’Akp, sei partiti turchi hanno deciso di unire le forze e formare una coalizione chiamata Alleanza Nazionale, che a fine gennaio ha diffuso il suo manifesto. Nonostante le buone intenzioni, la coalizione non è ancora riuscita a mettersi d’accordo su un candidato pronto a rappresentarla.
Dall’altro lato dell’Egeo, le minacce turche sono l’ennesimo pretesto per Mitsotakis per mantenere la sua reputazione da leader serio e coscienzioso, pronto a salvare ancora una volta il Paese dalla crisi (geopolitica, questa volta). A metà gennaio, durante il World Economic Forum a Davos, Mitsotakis ha dichiarato che la Grecia «non andrà in guerra con la Turchia», sottolineando la possibilità di risolvere la questione delle isole del Mediterraneo orientale con la diplomazia. «Dovremmo essere capaci di sederci al tavolo con la Turchia come adulti responsabili», ha aggiunto. Erdoğan è stato al gioco, affermando che «Mitsotakis può dire quello che vuole, ma le sue parole non bastano per cambiare il destino della regione».
Anche per Mitsotakis, la reputazione che si è costruito negli ultimi anni al governo potrebbe non reggere la prova delle urne. Nell’arco di pochi mesi, il presidente greco è stato al centro dell’inchiesta parlamentare sul caso di spionaggio ai danni di numerosi giornalisti e politici del Paese.
La scorsa settimana Mitsotakis e il suo partito Nuova Democrazia sono anche sopravvissuti alla mozione di censura proposta dal leader del principale partito di opposizione, Syriza, guidato dall’ex-presidente Alexis Tsipras. Nonostante il partito del presidente greco sia in testa ai sondaggi da mesi con un solido trentasette per cento, lo scandalo del Watergate greco potrebbe impedirgli di trovare gli alleati che gli servono per rimanere al governo con la nuova legge elettorale proporzionale.
Tsipras ha definito l’esito della mozione di sfiducia «una vittoria di Pirro» per il presidente, un risultato che non impedirà la sua sconfitta elettorale. Syriza conta infatti di allearsi con Pasok, il partito socialista greco, per formare un governo di coalizione. Nonostante l’europarlamentare socialista greca Eva Kaili sia stata arrestata nell’ambito del Qatargate, Pasok non sembra infatti aver perso il sostegno dei suoi elettori, grazie al fatto che il suo presidente Nikos Androulakis ha prontamente preso le distanze da Kaili e le sue scelte politiche.
«Nuova Democrazia l’ha usata come cavallo di Troia e ora fa finta di non conoscerla», ha dichiarato Androulakis a pochi giorni dall’arresto dell’ex vicepresidente dell’Europarlamento. Secondo Euractiv, i rapporti tra i due erano tesi da tempo: in numerose occasioni Kaili si era allontanata dalla linea del partito, minimizzando l’importanza del caso di spionaggio di cui lo stesso Androulakis è stato vittima e votando a favore del candidato dell’eurogruppo conservatore Ppe come nuovo segretario del Parlamento Europeo.
La gestione delle conseguenze del terremoto che ha colpito il Sud della Turchia sarà un grande banco di prova per Erdoğan, il cui successo potrebbe placare momentaneamente lo scontento popolare rispetto alla crisi economica e permettergli di vincere le elezioni. Per Mitsotakis, la partita sarà più difficile e la mancanza di un esito definitivo al primo turno delle elezioni potrebbe aprire una fase di instabilità politica in Grecia. Per entrambi, l’idea di avere un nemico dall’altra sponda del Mediterraneo non è un male, quanto una necessità politica per provare a sopravvivere al potere.