Raidió FáilteLa battaglia della lingua gaelica in Irlanda del Nord

La storia della prima emittente che parla celtico, pirata fino al 2006, è quella dell’affrancamento culturale della regione. «I britannici non sono stati capaci di riconoscere la natura binazionale del nostro Paese», dice il fondatore a Linkiesta

Una sala di registrazione nella sede di Raidió Fáilte
Una sala di registrazione nella sede di Raidió Fáilte (foto Linkiesta)

Belfast. Una trasmissione clandestina, grazie a un apparecchio costruito da un amico. Nasce così Raidió Fáilte, la prima stazione in lingua gaelica dell’Irlanda del Nord. Era il giorno di San Patrizio del 1985, poi una valvola si rompe. Ripartono a novembre, per non fermarsi più. All’epoca l’irlandese era bandito, i fondatori l’hanno imparato nei corsi notturni, quasi carbonari. Oggi si studia a scuola: ma non in quelle protestanti, e in verità neppure in tutte quelle cattoliche. Dal 2006 la radio non è più «pirata», ha finalmente ottenuto una licenza che non certo è un punto d’arrivo. La sua storia è quella di una battaglia culturale, della questione linguistica nella regione, ma indica anche un futuro possibile.

«Andavamo in onda illegalmente – racconta a Linkiesta Eoghan Ó Néill, giornalista che ha animato anche un settimanale e un quotidiano in irlandese –. Ma non ci descrivevamo come pirati, è una parola che non usiamo perché poi la gente pensa ai profitti o che avessimo deciso noi l’illegalità. Non è stata una nostra scelta. Avremmo voluto essere legali, ma non c’erano modi per farlo. Non potevamo fare domanda per un’autorizzazione perché erano disponibili solo per chi aveva scopi commerciali e fino al 1996 in Gran Bretagna non esistevano norme per consentire le radio di comunità».

Dai quattro piani della nuova sede, inaugurata nel 2018 a West Belfast, si ammira tutta la città. I cancelli di metallo, aperti, che un tempo separavano i quartieri nazionalisti da quelli unionisti. Si vedono bene anche il tribunale e il vecchio carcere, lo distingui dalla ciminiera, dove venivano portati i prigionieri politici prima di essere tradotti a Long Kesh. Un tunnel li collegava. «Il nostro obiettivo era continuare a trasmettere. Non era facile durante i Troubles (è noto così il conflitto trentennale nel Paese, ndr), l’esercito britannico era sempre molto sospettoso».

Oltre all’antenna, c’è un gruppo di teatro e una libreria; si organizzano concerti e conferenze. Passano gli anni e cambia il contesto politico. Al censimento del 1991, il primo che include una domanda sulla lingua irlandese, dichiarano di parlarla decine di migliaia di nordirlandesi. Nel 2001, quando la masticano in centosessantasettemila, quel numero sale ancora e nel 2021 arriva a duecentoventottomila, cioè il 12,4 per cento degli abitanti. «Non era più possibile ignorare che ci fosse una domanda – spiega Ó Néill –. Nessun altro forniva un servizio ventiquattr’ore al giorno, magari la Bbc avrebbe offerto un paio di ore alla settimana».

La sede di Raidió Fáilte
La sede di Raidió Fáilte (foto Linkiesta)

Nel palazzo di Divis Street lavora una decina di persone, tra tecnici e giornalisti. I conduttori ruotano, alcuni sono volontari. Oltre a uno studio di registrazione musicale con vinili coloratissimi, ci sono salette dedicate al «training», così chi sogna di fare radio può fare pratica. In uno Stato che ha più di un secolo di vita, ancora non c’era una strategia per la promozione della lingua irlandese, perché a lungo considerata dalle autorità britanniche un addentellato della Repubblica a Sud. La comunità ha dovuto fare causa a Stormont, il Parlamento locale, perché ne venisse definita una.

Le scuole pubbliche, che incamerano la totalità dei fondi dal governo, sono protestanti. Lì il gaelico irlandese non si insegna. Quelle cattoliche ricevono sovvenzioni per circa l’ottantacinque per cento del loro bilancio, così mantengono una certa autonomia. Un terzo di loro prevede corsi, tra elementari e superiori. È una materia tra le altre, come può esserlo il francese. Solo in istituti specifici, le Gaelscoil, si studiano anche le altre discipline in lingua. C’è poi un quarto tipo di scuole, le «integrated schools», frequentato da studenti di ogni confessione. Stanno aumentando, ma sono ancora minoritarie: appena l’otto per cento degli alunni non ricade nel sistema educativo a compartimenti stagni.

È (anche) una questione politica. Malgrado gli ostacoli che tuttora incontra, l’importanza dell’irlandese è ormai generalmente riconosciuta nelle sei contee. In fondo, sono irlandesi i nomi degli uccelli e quello di Belfast, che significa «a Nord del fiume Farset», e la strada sotto la radio, Shankill Road, a ricordo di un’antica chiesa. Tra il 1924 e il 1931, i britannici riuscirono a far chiudere molte scuole negandogli i fondi. Quando nel 1988 un ministro di Stormont, Brian Mawhinney, ha cercato di vietarne l’insegnamento, c’è stata una rivolta della società civile. «I progressi della lingua negli ultimi cinquant’anni sono emblematici di quelli della comunità nazionalista», dice a Linkiesta Máirtín Ó Muilleoir, sindaco di Belfast tra il 2013 e il 2014.

Il fondatore di Raidió Fáilte, Eoghan ó Néill
Il fondatore di Raidió Fáilte, Eoghan ó Néill (foto Linkiesta)

«Quando ero piccolo, i nazionalisti non avevano diritto a una casa, o a un lavoro, gli veniva negato anche quello di votare. Ogni decennio, in troppi sono stati imprigionati senza un processo. Usciamo da un periodo di forte repressione e oppressione. Uno dei simboli dell’apertura della società è la crescita della lingua irlandese», dice l’ex ministro delle Finanze (2016-17) e deputato a Stormont per Sinn Féin. Ó Muilleoir teme che «gli elementi reazionari del Dup continueranno a cercare di ostacolare i progressi, di rendere l’irlandese non solo una lingua di seconda classe, ma una non lingua».

Se in Europa le minoranze linguistiche sono percepite come un tesoro da preservare, secondo Ó Muilleoir «il controllo britannico qui ha mantenuto una postura coloniale». Solo lo scorso dicembre, l’irlandese è assurto a lingua ufficiale della regione, assieme all’inglese. Un traguardo che ha lasciato sul terreno una battaglia politica. «Se la contesa settaria si è raffreddata, le culture wars sono bollenti», scriveva nel 2018 il Washington Post. A quel binomio – le guerre culturali, su cui l’America pareva ossessionarsi – ci saremmo abituati, al punto di cercarle anche quando non ci sono, nell’Italia strapaesana.

È recente anche un’altra “concessione” del Consiglio cittadino, in base alla quale adesso i residenti possono richiedere una segnaletica stradale bilingue. Pure in questo caso, il Dup era insorto, ma i suoi ricorsi legali si sono incagliati in un nulla di fatto. Le nuove regole prevedono la possibilità di candidare qualsiasi lingua, volendo anche il cinese o l’italiano. Basta la segnalazione di un abitante, ma poi serve il sostegno del quindici per cento del circondario perché approdi alla commissione municipale che se ne occupa. A West Belfast i cartelli bilingui sono comuni, c’erano anche prima.

Interno di Raidió Fáilte
(Foto Linkiesta)

Più ci si allontana dal centro, risalendo Falls Road, e più aumentano. A un lampione è appesa la locandina di un evento del National republican commemoration committee, sul logo ha un soldato che sventola il tricolore dell’Éire davanti a Stormont in fiamme. Poco oltre, c’è il Cultúrlann, un accogliente centro culturale. Sui trasporti pubblici, la voce registrata annuncia le fermate in doppia versione. Molto resta da smuovere, insomma, ma qualcosa si è già mosso. «Nessuno ci ha dato niente, ci siamo dovuti prendere tutto: siamo un movimento molto energico e positivo perché abbiamo dovuto costruire ogni cosa», puntualizza Ó Néill.

Senza un penny di fondi pubblici, lui e la sua comunità hanno messo in piedi una stazione radio e, per un periodo, un canale televisivo. Sulla fase dell’«illegalità» hanno coniato una formula meravigliosa: «Non eravamo illegali, ma pre-legal». In italiano sarebbe «pre legali». Cioè a difesa e rivendicazione di un diritto avvertito come tale, pure se lo Stato lo mortificava per legge o in sua assenza. «Non lo facciamo per essere separatisti. Non direi che siamo sempre stati in conflitto con le autorità, ma siamo molto cauti perché la nostra relazione con loro è stata spesso tesa. Se vogliamo che la lingua irlandese fiorisca, dobbiamo creare uno spazio per chi la parla».

Il fondatore di Raidió Fáilte tiene a sottolineare un aspetto dell’avventura. È un processo dal basso verso l’alto, non viceversa. Condivide un detto in gaelico: «Ná hAbair é, Dean é». Prende spunto dal cinismo popolare, ma al tempo stesso incarna lo spirito di una delle anime di questa terra. Significa: «Non dirlo, fallo». Chissà se la punchline della Nike l’ha inavvertitamente plagiato. Sull’anniversario di questi giorni, il venticinquesimo dell’Accordo del Venerdì Santo, Ó Néill riflette: «Penso che molti protestanti non si fidino della lingua irlandese perché, quando venne istituito lo Stato, alla popolazione venne detto che non aveva nulla a che fare con noi, ma era del Sud dell’isola».

«Essenzialmente, penso che i Troubles derivino dal fatto che i britannici, lo Stato qui a Nord, non erano capaci di riconoscere, né volevano farlo, la natura binazionale o biculturale del nostro Paese, un Paese bilingue», conclude il decano della radio. Gli scappa un «Bright», mentre in un inglese zoppicante formuliamo una domanda sul futuro. «Il futuro è sempre luminoso», sorride. È dal 1985 che Raidió Fáilte, ritagliandosi uno spazio tra i media, prova a tenere fede a quel detto in gaelico, sulla frequenza 107.1 di Belfast.

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