Il confine di SchrödingerGli ultimi muri da abbattere in Irlanda del Nord sono quelli che non si vedono

A venticinque anni dall’Accordo del Venerdì Santo che pacificò la regione, l’architettura istituzionale è ingessata su due blocchi, ma la società non lo è più. Una riforma è possibile per la generazione nata dopo il trattato

I muri che restano, a Belfast
Foto Linkiesta

Belfast. In Irlanda del Nord, hanno scritto, c’è un «un confine di Schrödinger». Con la Brexit, che ha sfilato al mercato unico europeo il resto del Regno Unito, è risorta una frontiera che esiste oppure no a seconda di come la si guarda, un po’ come il gatto né-vivo-né-morto del paradosso del fisico austriaco. La politica è una scienza più cruenta della meccanica quantistica e a venticinque anni esatti dall’Accordo del Venerdì Santo che pacificò la regione, tra sporadici rigurgiti di lotta armata e il compromesso industriato da Londra con l’Ue, l’esperimento democratico nordirlandese continua.

Paralizzato nella sua architettura istituzionale, confessionale eppure meno settario del passato, nel faticoso e perenne tentativo di fare i conti con un’insepolta eredità di faide e sangue. Sono stati attutiti a Windsor i confini doganali sul mare, quelli su cui ci focalizziamo quando raccontiamo questa terra, ma ne rimangono di neppure tanto invisibili, nella società. I cancelloni di metallo che a Belfast separavano i quartieri protestanti da quelli cattolici oggi sono spalancati, restano i muri ricoperti da graffiti a ricordare quel passato che non passa.

Camminandoci trent’anni fa, avreste sentito il ronzio delle telecamere di sorveglianza. Invece dei blindati dell’esercito britannico, ora ci passano i tour sulla storia della città; spesso la guida è un ex prigioniero politico. Per la prima volta dal 2010, il livello di allerta per un attacco terroristico è stato alzato, da «sostanziale» a «severo». Le sigle minoritarie che non hanno deposto le armi, tra cui la Nuova Ira e sul fronte opposto l’Ulster Defence Association (Uda), potrebbero colpire durante la visita di Joe Biden. Il presidente atterrerà stasera: Downing Street ha inviato in Irlanda del Nord trecento poliziotti, attivando misure straordinarie di sicurezza da sette milioni di sterline.

Gli zii d’America
Gli Stati Uniti, con Bill Clinton, hanno officiato l’Accordo. Nel 1998 si sono chiusi tre decenni, conosciuti come «Troubles» (cioè disordini), costati tremilasettecento vittime e almeno dieci volte più feriti. Biden ha origini irlandesi, come più di trenta milioni di americani. Per capire quanto le senta – oltre a un viaggio del 2016 da vice di Obama – è istruttivo un giro sui social della Casa Bianca lo scorso San Patrizio, con la facciata colorata di verde e i trifogli nel taschino degli invitati. Uno degli effetti collaterali della Brexit, ha scritto la professoressa di Political sociology alla Queen’s University di Belfast Katy Hayward, è stato internazionalizzare il Good Friday Agreement.

Quando fu firmato, i contraenti erano «vicini amici e partner nell’Unione europea», recitava il trattato. «La cooperazione tra il Nord e il Sud dell’isola ha ovviamente risentito dal fatto che l’Irlanda del Nord non sia più dentro l’Unione. L’amministrazione americana ne è consapevole e desidera proteggere tutto questo», spiega Hayward a Linkiesta. Il protocollo raggiunto da Commissione europea e governo inglese, tra Ursula von der Leyen e Rishi Sunak, «è certamente un tentativo di stabilizzare la nazione e limitare i danni della Brexit», concorda David Mitchell, che coordina il corso Conflict Resolution and Reconciliation del Trinity College di Dublino.

Identity, not economy
Il Partito unionista democratico (Dup), che pure l’ha sostenuta, non si aspettava la Brexit. Come tutti. Un cronista del New York Times, decenni fa, ha definito quella lealista «una società più britannica dei britannici, di cui i britannici non si interessano affatto» (citazione scovata da Patrick Radden Keefe nel suo monumentale libro “Non dire niente”, edito da Mondadori). In un certo senso, è ancora così. Se gli ambienti imprenditoriali hanno apprezzato le concessioni ottenute da Sunak, per il principale partito unionista va aggiunta una variabile all’equazione.

«Il problema degli unionisti – ragiona Mitchell –, che si sentono appassionatamente britannici e non vogliono alcun cambiamento nel rapporto con il Regno Unito, è che non sono davvero interessati all’economia. Per loro è tutta una questione di identità». Deluso dal meccanismo (lo «Stormont Brake» dal nome del Parlamento di Belfast) per bloccare l’applicazione di future leggi europee alla nazione, il Dup si rifiuta di partecipare alla gestione collegiale del potere, prevista proprio dall’Accordo. Senza la collaborazione tra unionisti e nazionalisti, il governo è paralizzato.

Un graffito a West Belfast, dietro si intravede il complesso di edilizia popolare Divis Towe
Un graffito a West Belfast, dietro si intravede il complesso di edilizia popolare Divis Tower (Foto Linkiesta)

È così, di fatto, dalle elezioni dello scorso maggio, vinte da Sinn Féin. In occasione della ricorrenza, il primo ministro ha strigliato gli unionisti, invitando l’Assemblea nordirlandese a riprendere i lavori. Non è la prima volta, però. Tra il 2017 e il 2020, i repubblicani hanno fatto lo stesso. Ricatti e rancori incrociati hanno inceppato il funzionamento della creatura politica concepita nel 1998. Anche se quel documento è mitizzato, e va protetto, è ormai avviato un dibattito sulla possibilità di aggiornarlo perché continui a resistere alla prova del tempo.

Aggiustare un testo sacro
«Al momento, le decisioni chiave devono essere prese su una base intracomunitaria», ricorda Hayward. In pratica, serve un sostegno bipartisan tra le formazioni nazionaliste e unioniste. Queste due famiglie, confessionali, si vedono attribuito così un peso maggiore di chi rifiuta l’etichetta: alla categoria esterna al bipolarismo («altro») sono assegnati solo diciotto seggi su novanta totali. Fuori dallo schematismo, la principale forza è Alliance, centrista, che chiede esplicitamente una riforma delle istituzioni.

Oltre ai Verdi, tra i nazionalisti il Partito socialdemocratico e laburista (Sdlp) ha aperto all’ipotesi. Per superare un Parlamento ingessato su due blocchi di fronte a una società che non lo è più, una possibilità sarebbe passare a un sistema con la maggioranza ponderata o qualificata. Qui si ripresenta lo stesso bug: «I due partiti più grandi devono concordare, quindi rinunciare al loro veto», dice Mitchell. Per la professoressa Hayward, «è ragionevole pensare che possa avvenire una volta ripristinata la condivisione del potere».

Due terzi degli intervistati nel Northern Ireland Life and Times Surveys (edizione 2021/2022, l’acronimo è Nilt) ritiene che il compromesso del 1998 sia la migliore piattaforma per governare la regione, ma per il 44 per cento di loro quel “testo sacro” ha bisogno di un tagliando.

Boicottaggio a orologeria
La strategia del Dup non pare sostenibile sul lungo periodo. Come ha scritto il Financial Times, «una delle ironie dell’Accordo del Venerdì Santo è che fu marchiato come una sconfitta per i repubblicani e una vittoria dei lealisti, tuttavia ciascuna delle fazioni si comporta come se fosse vero il contrario». Il sorpasso demografico dei cattolici sui protestanti (45,7 a 43,48 per cento) è già avvenuto, nel 2021. Non tutti i cattolici sono favorevoli alla riunificazione irlandese, ma il sabotaggio dei rivali potrebbe sovvertire gli equilibri.

«Più a lungo il Dup resterà fuori dall’esecutivo, più a lungo l’Irlanda del Nord sembrerà non funzionare ed essere ingovernabile. Ciò potrebbe rafforzare il sostegno tra i nazionalisti e chi vuole unirsi alla Repubblica», chiosa Mitchell. Uno Stato fallito non conviene a nessuno. Per questo, alla fine, gli unionisti potrebbero capitolare: sbloccare lo stallo, dentro le nuove regole concordate con Bruxelles, consoliderebbe la posizione delle sei contee dentro il Regno Unito.

Manifesti elettorali a West Belfast
Manifesti elettorali a West Belfast (Foto Linkiesta)

Questo rientro, secondo il ricercatore, potrebbe avvenire in autunno. Prima, a maggio, ci sono le elezioni locali «e sotto le urne a nessuno piace fare compromessi». Nel frattempo, la presidente del Sinn Féin irlandese, Mary Lou McDonald, ha commemorato il venticinquesimo anniversario ricordando qual è l’obiettivo: «Abbiamo costruito la pace. Ora dobbiamo scrivere il prossimo capitolo: la riunificazione dell’Irlanda. Credo nei referendum nel prossimo decennio». La Brexit ha facilitato questo scenario, per il 63 per cento di chi ha risposto al Nilt.

Generazione Good Friday Agreement
È da quasi quindici anni che, nella stessa indagine demoscopica, la maggior parte degli intervistati (quattro su dieci) non si identifica né come nazionalista né come unionista. Anche nel censimento del 2021, una percentuale simile di persone esprime un’identità non binaria: né solo britannica, né solo irlandese. C’è una generazione nata dopo l’Accordo, che certa retorica vorrebbe imbalsamare. Una parte di loro altre priorità: le stesse dei suoi coetanei europei, come il cambiamento climatico o la salute mentale.

Un’altra parte è più ancorata al retaggio del passato. «I figli della working class condividono molte delle attitudini dei loro genitori. Sappiamo che numerosi dei componenti dei gruppi paramilitari sono molto giovani», riflette Mitchell. Sono aumentati i matrimoni misti, ma se un turista può circolare senza timori in tutta la capitale, cattolici e protestanti continuano a evitare i rispettivi quartieri. «Lavorano insieme, ma non socializzano», per dirla con il tassista che ci ha portato dall’aeroporto al centro.

«Il focus è stato sul confine con l’Irlanda perché simbolizzava le tensioni innescate dalla Brexit, ma sul lungo termine la cosa più importante è una migliore relazione: l’impegno a trovare soluzioni reciprocamente accettabili – conclude Hayward –. Perché il futuro dell’Irlanda del Nord, se sarà stabile o stravolta, dipende davvero da quella relazione e da quanto sarà stretta. Molti giovani sono frustrati, ma serve un governo funzionante per rispondere ai loro bisogni. Dopo venticinque anni, questo è preoccupante: per larga parte della sua vita, questa generazione non ha potuto beneficiare pienamente dei benefici dell’Accordo».

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