Voltare paginaIl tramonto del nucleare tedesco e le nuove sfide energetiche verso il 2045

Berlino ha spento definitivamente le sue ultime centrali nucleari, ma di recente ha riaperto gli impianti a lignite e antracite solo per dismetterli dopo pochi anni (entro il 2030). Per raggiungere i target climatici l’unica via pare quella delle rinnovabili, ma la Germania ha due problemi: stoccaggio e intermittenza

Una finta leva fuori dalla centrale nucleare di Emsland, il 15 aprile (LaPresse)

Sabato 15 aprile 2023 è una data destinata a rimanere nella storia della Germania. A sessantadue anni di distanza dall’ingresso in rete di Kahl, la prima centrale sperimentale, il Paese ha spento i suoi ultimi tre reattori nucleari: Isar II in Baviera, Emsland in Bassa Sassonia e Neckarwestheim II nel Baden-Württemberg. Anche se il processo di smantellamento sarà lungo – ci vorranno all’incirca quindici anni, e bisognerà trovare un sito per stoccare gli scarti radioattivi -, il governo di Olaf Scholz ha fatto intendere chiaramente che indietro non si torna. In più, negli stessi giorni, Berlino ha chiesto di sanzionare il settore nucleare russo, attualmente escluso dalle sanzioni dell’Unione europea contro Mosca. 

L’era dell’energia nucleare in Germania è finita, insomma, ma a qualcuno sembra un controsenso rispetto agli obiettivi di transizione ecologica e di neutralità climatica entro il 2045, cinque anni prima della data generalmente fissata dalle economie avanzate – inclusa tutta l’Unione europea – per l’azzeramento netto delle emissioni. Il nucleare è una fonte “sporca” per le scorie ma “pulita” per le emissioni, praticamente nulle, e che produce tanta elettricità in maniera continuativa: nel 2022 le sole tre centrali chiuse sabato hanno rappresentato circa il sei per cento della generazione elettrica nazionale, settanta gigawattora al giorno.

Chi critica la decisione del governo Scholz ha poi voluto sottolineare un’altra cosa: in questo momento la Germania e l’intera Unione non stanno soltanto lavorando alla trasformazione del sistema energetico-industriale, ma sono impegnate anche nella gestione della crisi dei prezzi e degli approvvigionamenti di energia creata dalla Russia. 

Dopo l’invasione dell’Ucraina, infatti, il principale fornitore europeo – e tedesco, in particolare – di combustibili fossili non può più essere un interlocutore normale. Prima della guerra, Berlino importava oltre la metà del gas naturale da Mosca. Nel piano tedesco per la sostituzione dei fornitori e delle fonti non compare il nucleare, che avrebbe potuto compensare la perdita del gas russo nella generazione elettrica, ma è presente il carbone, l’idrocarburo più emissivo. Di conseguenza, la Germania ha chiuso le centrali nucleari ma ha riaperto gli impianti a lignite e antracite solo per dismetterle dopo pochi anni, entro il 2030: una «cattiva idea» e un «errore», secondo Greta Thunberg

La scelta di rinunciare all’energia atomica viene da lontano. Il movimento tedesco contro il nucleare, ritenuto pericoloso e inquinante, nasce negli anni Settanta e prende piede dopo l’incidente di Three Mile Island, negli Stati Uniti, del 1979 e dopo il disastro di Chernobyl del 1986. 

Lo scetticismo raggiunge infine anche la ex-cancelliera Angela Merkel, una fisica di formazione, che dopo l’episodio di Fukushima Dai-ichi del 2011 annuncia il phase-out di tutti i reattori entro il 2022. In seguito lo ritoccherà al 2036. Ma nel 2021 entra in carica il governo Scholz, e nella “coalizione semaforo” fanno parte i socialdemocratici dell’Spd, i Verdi e i liberali dell’Fdp: i primi due sono anti-nuclearisti, e solo Fdp è favorevole.

Come già con gli e-fuel per le automobili, il nucleare è stato l’oggetto di uno scontro politico tra i liberali tedeschi e i Verdi, rappresentati rispettivamente dal ministro dei Trasporti Volker Wissing, che i reattori li voleva mantenere per garantire la sicurezza energetica, e dal ministro dell’Economia Robert Habeck, che pensa che la Germania possa fare benissimo senza: ciononostante, invita la popolazione a moderare i consumi.

Robert Habeck, ministro dell’Economia e della Protezione climatica, e Steffi Lemke, ministra dell’Ambiente, della Conservazione della natura e della Sicurezza nucleare (LaPresse)

I sondaggi restituiscono un’opinione pubblica non così convinta della mossa del governo. Stando a un’indagine di YouGov, solo il ventisei per cento dei tedeschi pensa che chiudere le centrali nucleari fosse la cosa giusta da fare in questo momento (tra i soli elettori dei Verdi si sale al cinquantasei per cento, però). Il trentadue per cento era invece favorevole a mantenere attivi gli ultimi tre reattori per un periodo limitato; un altro trentatré per cento avrebbe voluto estenderne il funzionamento per un tempo indefinito.

Il ministro Habeck promette che al 2030 la Germania potrà contare su un mix composto all’ottanta per cento da rinnovabili. Nel 2022 queste fonti (in primis l’eolico) hanno rappresentato quasi il quarantasette per cento della generazione elettrica del Paese, crescendo del 4,9 per cento rispetto all’anno prima grazie alle condizioni meteorologiche favorevoli. Ma non è sempre così: la Germania, anzi, è famosa per il Dunkelflaute, un periodo di due settimane tra gennaio e febbraio in cui il vento non tira e il sole non splende, impedendo a turbine e pannelli di produrre il necessario.

Una rete più dipendente dal meteo è una rete più vulnerabile, ma non si tratta di un problema irrisolvibile. La prima cosa da fare è migliorare l’interconnessione con i sistemi energetici dei Paesi vicini, in modo da poter attingere alla loro elettricità nei momenti di bisogno: il Dunkelflaute non si verifica nello stesso momento in tutta la Regione del mar Baltico e del mare del Nord; la Germania – tra le altre cose – ha in programma l’allacciamento all’isola energetica di Bornholm, in Danimarca, un grande progetto di eolico offshore.  

L’altra risposta al problema dell’intermittenza è lo stoccaggio, cioè la conservazione dell’energia all’interno di un dispositivo o di un combustibile per restituirla alla rete in un secondo momento, quando necessario. Il sistema di accumulo più diffuso è la batteria agli ioni di litio, che però ha un costo ancora elevato (contiene metalli preziosi come il litio e il cobalto) e un’efficienza non totale (nel tempo una parte dell’energia immagazzinata si disperde). 

I tedeschi stanno allora lavorando allo sviluppo di tecnologie di stoccaggio alternative alle batterie, la cui filiera è peraltro dominata dalla Cina: una è l’idrogeno verde, generato dall’elettricità rinnovabile, e un’altra sono proprio i famigerati e-fuel, che rispetto ai dispositivi al litio hanno una densità energetica maggiore.

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