Partita a scacchi L’ambizioso compromesso dell’Ue per puntare sulle rinnovabili

Da una parte la pressione della Francia sull’idrogeno prodotto dal nucleare, dall’altra quella dei Paesi scandinavi sulla biomassa. Nonostante le divergenze, è arrivato l’accordo per alzare l’asticella (dal quaranta al 42,5 per cento) degli obblighi sul contributo offerto dalle energie pulite

Pannelli solari su un tetto
Foto: Commissione europea

«Un compromesso ambizioso». Le parole di Kadri Simson, commissaria europea all’Energia, dicono molto sull’accordo provvisorio – raggiunto dopo quindici ore di negoziato – nel quadro della revisione della direttiva sulle rinnovabili. La stretta di mano avvenuta all’alba del 30 marzo ha, tra le altre cose, incrementato di 2,5 punti percentuali la quota (obbligatoria) dei consumi finali di energia elettrica che dovranno essere soddisfatti da fonti pulite come il vento o il sole: si passa dal quaranta per cento al 42,5 per cento, così da accorciare la strada verso il quarantacinque per cento proposto dalla Commissione europea nel REPowerEU. Il target temporale rimane il 2030, un anno senza dubbio cruciale per la lotta alla crisi climatica. 

Sembra una cifra esigua, ma il vincolo del +2,5 concordato dalla presidenza svedese del Consiglio dell’Unione europea e i negoziatori del Parlamento europeo si inserisce in un trend impossibile da negare: nonostante la crisi energetica e delle materie prime, l’Unione europea ha sempre dimostrato di voler comunque alzare l’asticella e proseguire velocemente verso la transizione ecologica ed energetica. 

Basti pensare che nel 2018 era stato concordato l’obiettivo di una quota obbligatoria del trentadue per cento del consumo energetico da fonti rinnovabili entro il 2030, per poi salire al quaranta per cento nel luglio 2021. E non si tratta solo di numeri, perché il Fit for 55 ha stabilito in modo chiaro gli strumenti e le modalità per dare concretezza alle cifre stabilite nelle aule. Il tutto nell’ottica di ridurre le emissioni di gas climalteranti del cinquantacinque per cento (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030.

Ora, per quanto riguarda il contributo effettivo delle rinnovabili, siamo al diciannove per cento in Italia e al ventidue per cento in Unione europea. La strada per arrivare al 42,5 per cento è lunga e tortuosa, ma il casello è stato superato: il vero, decisivo viaggio comincia ora. Perché non possiamo più aspettare, come ribadito di recente dall’Ipcc: la soglia di irreversibilità del grado e mezzo è vicina. 

Eurostat

Chiaramente, entreranno in gioco i soliti fattori: le ambizioni dell’Europarlamento costrette a ridimensionarsi (come nel caso del regolamento sul bando alle auto inquinanti dal 2035); gli Stati membri che agiscono per conto proprio e tengono in scacco le istituzioni europee; i costi delle tecnologie necessarie per la transizione; le difficoltà a livello di reperimento delle materie prime rare (su questo dovrebbe aiutare il Net-zero industry act della Commissione); gli ingombranti interessi delle aziende fossili. Ma la direzione di Bruxelles è ben marcata e inequivocabile. 

«È una giornata da ricordare per la transizione energetica dell’Europa», ha detto l’eurodeputato tedesco del Ppe Markus Pieper, relatore del provvedimento per il Parlamento europeo. Nell’accordo spicca un punto sull’accelerazione dei permessi per l’installazione di impianti rinnovabili. Una delle parole chiave è quindi “sburocratizzare”. Secondo quanto annunciato dalla Commissione, «l’energia rinnovabile sarà riconosciuta come un interesse pubblico preminente». 

Ciò significa che nelle zone considerate «ad alto potenziale» (dove c’è molto vento, per esempio) gli Stati membri avranno la possibilità di introdurre delle «aree di accelerazione» per le energie pulite, contraddistinte da processi autorizzativi agevolati, brevi e semplici: non dovranno superare i dodici mesi di attesa, mentre fuori da questi territori i tempi di approvazione massimi saranno di ventiquattro mesi. Per quanto riguarda il settore degli edifici, il target fissato al 2030 è del quarantanove per cento di energia rinnovabile sul totale dei consumi. 

Markus Pieper in conferenza stampa (Ph. Linkiesta)

Passando ai nodi più insidiosi dell’accordo di ieri mattina, l’eurodeputato francese di Renew Europe Pascal Canfin, presidente della commissione Ambiente, ha confermato che nel testo l’energia nucleare non verrà considerata «né verde, né fossile». Il compromesso sull’atomo, agognato dalla Francia e da altri otto Paesi, è stato raggiunto anche grazie a una novità in materia di trasporti. 

Nello specifico, l’accordo offre agli Stati membri la possibilità perseguire uno di questi due obiettivi vincolanti: raggiungere, entro il 2030, una quota di rinnovabili pari ad almeno il ventinove per cento del consumo finale di energia nel settore dei trasporti; ridurre, sempre entro il 2030, del 14,5 per cento il contributo offerto dai gas serra nel settore dei trasporti, utilizzando una quota maggiore di biocarburanti avanzati (vietati dal 2035), e-fuel e idrogeno. 

Un target, quest’ultimo, pensato per Paesi come la Francia che hanno mix energetici a basse emissioni di carbonio grazie al cospicuo contributo del nucleare, una fonte di energia non rinnovabile e non “pulita” (ma che, quando produce elettricità, non emette CO2). Nel 2022, la quota dell’atomo nel mix elettrico francese – nonostante sia scesa di sei punti rispetto al 2021 – era pari al sessantatré per cento

La speranza di Parigi è che in futuro si concretizzi la proposta della Commissione europea, che a febbraio aveva pubblicato dei nuovi criteri tecnici per la produzione di idrogeno verde. Tra questi c’erano anche dei mix energetici con una forte presenza del nucleare. Per quanto riguarda l’idrogeno rosso – prodotto esclusivamente tramite l’energia nucleare – la battaglia della Francia è parzialmente persa: potrà essere inserito nel conteggio delle rinnovabili solamente da quei Paesi che raggiungeranno l’obiettivo del 42,5 per cento. Prima, gli investimenti dovranno concentrarsi sulle fonti pulite al cento per cento. 

L’unico Paese europeo ad aver raggiunto l’obiettivo è la Svezia (nel 2021 era al 62,6 per cento, secondo Eurostat), che assieme alla Finlandia ha evitato che il Parlamento europeo escludesse la combustione del legno tra le fonti considerate rinnovabili e bandisse i sussidi per la biomassa (considerata una fonte pulita, nonostante i criteri di sostenibilità ambientale più stringenti). Una decisione che non è stata accolta con entusiasmo dalle associazioni ambientaliste, preoccupate per la deforestazione in territorio scandinavo. 

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