Manovre per le europeeSalvini si atteggia a Capo Cantiere d’Italia, ma Meloni è pronta a tenerlo a bada

Il leader della Lega accelera sulla questione migranti, vince sull’Enel, considera roba sua le infrastrutture e va in difesa del balneari. Ma dopo l’estate, quando si faranno i conti dei margini di bilancio effettivi, le cose potrebbero cambiare

(La Presse)

Matteo Salvini alla riscossa è convinto di avere ritrovato quel tocco politico che aveva quando la Lega macinava consensi attorno al 30 per cento nei non lontani anni 2019-20. Magari non è così velleitario (anche lui ha senso della realtà), ma il leghista venerdì scorso al Consiglio federale di via Bellerio è apparso euforico per avere inanellato una serie di risultati che lo fanno ben sperare. Un buon risultato in Lombardia, uno ottimo in Friuli Venezia Giulia, discreto ma meno peggio del previsto nel Lazio. Poi quello che considera il suo capolavoro: avere strappato a Giorgia Meloni l’Enel e piazzato qua e là nelle partecipate suoi uomini di riferimento. Ha dimostrato ai suoi elettori, e in particolare alla nomenclatura nazionale e periferica del partito, che Matteo c’è, tonico come ai vecchi tempi e che non conviene a nessuno lasciare il Carroccio per saltare sul carro di Fratelli d’Italia.

Ha la presunzione di avere ridimensionato la premier, che in effetti è costretta a seguire l’alleato sul terreno della stretta ai migranti, accettando di eliminare progressivamente i permessi di soggiorno per protezione umanitaria. Del resto faceva parte del programma elettorale, ma il Capo dello Stato ha avuto da ridire e allora Meloni, in modalità moderata centrista, cerca di farlo a piccoli passi. Salvini invece spinge sull’acceleratore indentitario e disumano, affermando che i problemi nei Paesi d’origine sono tutte scuse che accampano i migranti per giustificare l’arrivo clandestino in Italia e restarci. Senza considerare che il risultato è di formare piccoli eserciti di clandestini che non possono integrarsi, cercare lavoro, affittare una casa. Mentre nulla viene fatto dal governo per adeguare, con appositi decreti, i flussi regolari alle esigenze espresse dalle aziende italiane.

Salvini, come è sua abitudine, rischia di strafare. Anche sulle nomine ha impedito che Donnarumma vada a Rfi, società della rete ferroviaria che vale 24 miliardi del Pnrr e sarà protagonista insieme ad Anas della costruzione del ponte di Messina. Si sente il Capo Cantiere d’Italia e le infrastrutture le considera roba sua. Ora sta andando alla carica contro l’Europa in difesa del balneari. Mercoledì dovrebbe arrivare il parere della Commissione europea, anticamera della procedura di infrazione a carico dell’Italia per la proroga delle concessioni balneari. La Lega vuole assolutamente accelerare la mappatura delle concessioni prevista dal decreto milleproroghe.

Fino a che punto Meloni, per tenere unita la maggioranza, darà corda all’attivismo dell’alleato tutto volto a fregarle voti? Quanto potrà durare questa fase di surplace? Dopo l’estate, lo spartito potrebbe cambiare. A settembre con la Nadef (Nota di aggiornamento al Def) si faranno i conti dei margini di bilancio effettivi, ma sarà molto difficile, nonostante la speranza del ministro Giorgetti che nella Nota di aggiornamento possa essere alzato il disavanzo previsto dal Def. Per cui potrebbero restare lettera morta le misure sulle pensioni, la riduzione delle tasse, la sanità, l’istruzione, il rinnovo dei contratti di 3 milioni di statali. Il Sole 24 calcola che ci vorrebbero 20 miliardi in più rispetto ai 5,7 messi a disposizione del Def. Trovare i soldi della prima vera finanziaria del governo Meloni, e farsi una bella campagna elettorale per le europee, sarà durissima. A quel punto nella maggioranza potrebbe cominciare la rumba.

I partiti del centrodestra si faranno la guerra? Salvini rizzerà il pelo e farà la faccia cattiva? Meloni, a parte le solite bombette identitarie di distrazione di massa, gli lascerà le praterie per volare oltre il 20% alle europee?

Opposizioni a parte, le cui sorti sono un mistero della fede per chi c’è l’ha, tutto si giocherà nella maggioranza, che però potrebbe ancora fregare tutti. L’idea di Meloni è di esportare a Bruxelles il modello centrodestra italiano, come si è realizzato in Svezia e forse anche in Norvegia. Che potrebbe realizzarsi in Spagna. È l’idea che passa per un accordo tra Popolari e Conservatori in cui imbarcare anche gli eletti della Lega. Ma Salvini ha la palla al piede del gruppo di ultradestra Identità e democrazia e di Marine Le Pen. Che l’altro ieri in un’intervista a Repubblica ha detto di continuare a preferire Salvini alla premier italiana, ma soprattutto di rifiutare la svolta melonista pro-Ue e pro-Nato. «Resto euroscettica, convinta che la Francia debba uscire dal comando integrato della Nato, e contraria alla consegna di armi offensive all’Ucraina».

Non proprio un assist al suo Matteo, che si sta guardando intorno perché vuole essere della partita vincente alle europee e partecipare al governo di Bruxelles. Ma questo passa, appunto, per un patto politico ed elettorale con Meloni e Berlusconi e le loro rispettive famiglie politiche in Europa. Dovrebbe mollare Le Pen, ma non vuole farlo. Dovrebbe seguire i vecchi consigli di Giorgetti di entrare o federarsi al Partito Popolare. Ma neanche questa sembra la strada che intende percorrere. Potrebbe mollare al loro destino i più estremisti, come i tedeschi di Afd, e proporre un patto elettorale a Conservatori e Popolari, tirandosi dietro la cara Marine, che però è odiata dagli amici polacchi di Meloni. Quei polacchi che sono i più vicini agli Stati Uniti e i più convinti combattenti per l’Ucraina.

Insomma, tutto deve essere ancora scritto, ma intanto in Italia Salvini e Meloni cominciano a scrivere le prime pagine del racconto che sarà. Ad esempio, il 13 maggio il leghista non andrà a Lisbona, dove il leader estremista portoghese André Ventura ha organizzato un summit della destra mondiale in cui potrebbe esserci Bolsonaro. È stato invitato pure Trump, ma Salvini accamperà la scusa di impegni istituzionali e di campagna elettorale per le amministrative per non esserci. Si prepara a sganciarsi dalle posizioni estreme. Al consiglio federale di venerdì ha anticipato che il 2 maggio chiuderà i dirigenti del partito in una stanza per «riflettere, se serve anche per ore, sul futuro della Lega in Europa per i prossimi 30 anni».

Mentre all’opposizione si litiga, senza sapere che pesci pigliare, nella maggioranza sono già in corso le grandi manovre. Ma lo spartiacque saranno quei 20 miliardi da trovare in autunno.

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