Open to ma-cosa-cazzoLa gif di Nanni Moretti, la Venere con gli spaghetti e il secolo del what-the-fuck

Ovunque ti giri siamo circondati da mitomani ben raccontati dal “Sol dell’avvenire”, per incontrarli basta leggere un giornale, accendere la tv o aprire Twitter

Ministero della Cultura

Nella scena che tutti aspettavamo di vedere per intero del “Sol dell’avvenire”, quella in cui Nanni Moretti va a parlare coi dirigenti di Netflix per farsi finanziare un film, Elena Lietti gli dice la frase che una volta sarebbe diventata citazione preferita e ora diventerà gif più diffusa. La Lietti gli dice: nella sua sceneggiatura manca il momento what-the-fuck.

Moretti esce dalla riunione e sbotta, «what the fuck», in platea si fa presto a immaginarsi non solo le gif ma anche i messaggi di scuse con cui le posteremo, giacché nessuno è uscito vivo da “Palombella rossa”, temiamo tutti di venire disprezzati per un «trend negativo», e quindi ci scusiamo con Moretti preventivamente per l’accostamento a un lessico fastidioso sebbene suo, e figuriamoci per le gif (quelle fotine che si muovono delle quali mi piacerebbe credere Moretti ignorasse l’esistenza).

Quindi ieri, che doveva essere la giornata internazionale della mitomania, scorrevo i social e pensavo che sono esattamente questo: una sceneggiatura con eccesso di momenti what-the-fuck (d’ora in poi, per non sembrare una milanese che fa ripetizioni d’inglese tra un pilates e un padel: ma-cosa-cazzo).

Ma non sono neanche i social, è proprio il secolo che abitiamo: sfogli i giornali e ma cosa cazzo, ti raccontano i fatti di cronaca e ma cosa cazzo, apri i messaggi in arrivo e ma cosa cazzo, ti aggiorni sulle polemiche culturali e ma cosa cazzo.

Solo ieri. Apro un giornale la mattina, e ci trovo un articolo per così dire culturale in cui un per così dire scrittore dice che Francesco Piccolo lo copia. Ma cosa cazzo. Apro Twitter, e ci trovo una per così dire attrice americana che twitta la propria intenzione di fare causa a Elon Musk per danni qualora, privata della spunta blu per cui non intende pagare otto dollari al mese, Vongola75 si finga lei e in tal modo ottenga non so bene cosa, forse i suoi ruoli al cinema. Ma cosa cazzo.

Vedo i resoconti della serata televisiva di giovedì, e un per così dire conduttore ha spiegato a Enrico Mentana come si fa la televisione. Ma cosa cazzo. Rispondo al telefono, e un per così dire produttore cinematografico mi spiega che nel film «di Nanni», lo dice con simpatia sia chiaro, «non funziona niente, neanche le battutine che ti piacciono a te». Ma cosa cazzo.

Scorro i social, e sono pieni di coi-nostri-soldi di gente la cui indignazione è per non ho capito quale campagna per turisti in cui la Venere del Botticelli vende spaghetti o qualcosa del genere, mi rifiuto di memorizzare i dettagli, ho visto troppe indignazioni da un quarto d’ora per non aver capito che quindici secondi d’attenzione sono quindici secondi sprecati, ma lo slogan è degno d’una riunione di creativi milanesi: «Italia – Open to meraviglia». Ma cosa cazzo. (Vorrei però sapere cosa pensano della campagna i suoi destinatari, quelli che abbinano il cappuccino alla cotoletta).

Scorro ancora i social, e lo stesso scrittore che al mattino si sentiva plagiato da Piccolo (colgo l’occasione per dichiararmi plagiata da Martin Amis) al pomeriggio fa outing a un giornalista di destra, che essendo di destra non è tutelato da noialtri del club dei giusti che un attimo fa eravamo scandalizzati perché si sapeva il nome della tizia con cui la segretaria del Pd aveva detto d’essere fidanzata, ma questo qui è di destra e quindi ben gli sta. Ma cosa cazzo.

Scorro una volta di troppo i social, e c’è l’ennesima indignazione per una vignetta brutta (il tempo libero che deve volerci per indignarsi per chiunque non sappia fare il proprio lavoro, in un secolo in cui a saper fare il loro lavoro sono rimasti tipo in tre: che invidia). Solo che questa volta la vignetta brutta è su gente di destra, e quindi i polemisti – gli stessi che due settimane fa vibravano di sdegno per una vignetta brutta su Francesca Mannocchi – adesso vibrano di sdegno perché come osano i politici di destra criticare la satira. Ma gli stessi identici precisi, eh. Ma cosa cazzo.

Apro un altro giornale, e una per così dire autrice satirica ci spiega il tema dei disegnatori satirici, in un paese in cui sono praticamente tutti scarsi, con pochissime eccezioni e con un solo tizio che non riesce a sbagliarne una proprio mai. Solo che lei non la mette così. Lei dice che quel tizio lì, Francesco Tullio Altan, se hai più di quarant’anni devi dire per forza che ti piace altrimenti non sei percepita intelligente. Ma cosa cazzo. (E anche: m’immagino i figli di questa, che – scemi come sanno essere solo i giovani – le vignette di Altan non le capiranno, e lei mica pensa che ai suoi scarrafoni non si son finiti di formare i lobi frontali e speriamo poi migliorino, no; pensa: i miei scarrafoni sono liberi dai tic intellettuali, sono cani sciolti, sono schiene dritte, sono proprio speciali).

Per fortuna c’è ancora qualche piccola speranza di macosacazzismo reattivo.

C’è Andrea Bozzo, uno dei pochi disegnatori italiani non cani, che infila la Venere open to meraviglia nella vignetta dello scandale du jour, al posto della sorella della presidente del consiglio.

C’è Elon Musk, uno dei pochi miliardari cui non frega di stare simpatico alle celebrità, che prende per il culo quell’attrice che dicevo prima annunciando che ora istituirà un fondo di beneficenza per i famosi che non possono permettersi otto dollari, e al tempo stesso lascia la spunta blu, «pagandola di tasca mia», a Lebron James e Stephen King e William Shatner, e già mi vedo le celebrità minori che chiedono perché a loro tocchi scucire otto dollari e a Lebron arrivi in omaggio, lei non sa chi canestro io.

Per fortuna, a cercare bene, si trova qualcosa di consolatorio o almeno divertente o almeno che ci faccia sperare che, anche per oggi, non è tutto ma-cosa-cazzo quel che luccica.

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