Il disegno intelligenteNon so chi abbia vinto le elezioni, ma so che Altan lo sapeva da mo

Io mi sono risparmiata la notte elettorale. Tanto, nel 2013 o nel 2001 o nel 1985, quelli bravi come il vignettista di Repubblica che venerdì compie 80 anni hanno già descritto con una sola frase l’esito del voto

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«Nuovo eletto?» «Sì, quando finisce questo incubo?». È un Altan del 2018, ma – poiché negli ultimi decenni Altan ci ha fornito un lessico completo per commentare qualunque cosa possa succedere nella politica e altrove – ne va bene anche uno del 2013, «Stiamo recuperando l’incredulità internazionale»; uno del 2008, «Abbiamo perso» «Di nuovo? Ma che sfiga!»; uno del 2001: «Ho preteso un collegio blindato. Così, se mi eleggono, la colpa non è mia».

Venerdì Francesco Tullio Altan compie ottant’anni, e per fortuna ormai l’aspettativa di vita è di centoventi o giù di lì, perché non è che ce ne siano rimasti molti a saper spiegare questa disastrata nazione (cosa vuoi mai aspettarti da un paese a forma di scarpa, diceva uno morto piuttosto presto).

Quando mi sono resa conto che ieri non sarei stata in grado di seguire i risultati elettorali, ho pensato che non era grave: qualunque cosa succedesse, l’aveva di sicuro già sintetizzata Altan; qualunque suo rigo riportassi, era di certo più d’attualità di ogni mia possibile cronaca. «Ho votato a destra perché ho un sogno» «Di morire giovane così non hai bisogno della pensione?» (1994).

Quelli abbastanza bravi da essere classici già da contemporanei funzionano tutti così, ve ne sarete accorti. L’Umberto Eco che nel giugno 1968 sente dire, a un democristiano, una frase apparentemente insensata, e ne conclude che «la frase, per chi ha seguito i momenti della crisi ministeriale, significava esattamente: Noi governeremo, ma non assumiamo responsabilità per quel che faremo governando», cosa sta facendo se non decodificare un classico per i ripetenti del secolo successivo, se non parlare di oggi con cinquanta e fischia anni d’anticipo?

«Portando avanti o indietro il dibbbattito con marchingegni, mugugni, pateracchi, pastrocchi, buriane, bailammi, meningi, malloppi, scaricabarili, dimenticatoi, repentagli, caravanserragli, stillicidi, scilinguagnoli, cagneschi, sottecchi, bisbocce, chetichelle, sgoccioli» è una definizione che Arbasino dà del 2022, o del 1998, o del 1978? (Nessuno aveva consapevolezza di questo meccanismo quanto Arbasino, che si rivendeva pezzi di saggi sull’Italia di vent’anni prima in saggi sull’Italia di vent’anni dopo, essendo uno dei felici pochi che “Il Gattopardo” l’avevano non solo letto ma capito).

Quando Francesco Guccini, il giorno prima delle elezioni, rievoca la balera in cui una ragazza rispose, all’invito a ballare d’un tapino, «“Proviamo anche questa”: ecco, gli italiani, dopo aver provato Berlusconi, Renzi, Grillo, Salvini, vogliono provare Meloni», sta un po’ usando un classico delle canzonette («proviamo anche con dio: non si sa mai») e un po’ usando il dopoguerra per spiegare il secolo successivo: tanto non è mica cambiato niente.

(Tutti coloro che in questo articolo vengono citati in quanto capaci di capirci qualcosa sono nati tra gli ottanta e i novantadue anni fa; ma per carità: viva i giovani, quante cose c’insegnano i giovani, l’esercito del surf).

«Ho fiducia: avremo un fascismo non operativo», fumettava Altan nel 2018, e io sabato guardando la profezia di quattr’anni prima pensavo ecco, se qualcuno mi chiede come andranno queste elezioni di quattr’anni dopo ho la risposta perfetta. Gli americani, per le battute fulminanti, hanno da quasi ottantasette anni Woody Allen; noialtri abbiamo da quasi ottanta Altan.

L’unica volta che ho avuto paura del Covid è stata a marzo del 2020. No, non per i contagi, Bergamo, le bare. Avevo paura perché Altan aveva fatto una vignetta, su Repubblica, in cui uno diceva «Ce la faremo», e l’altra rispondeva «E se no, ce la faremo». Se anche Altan pensa ci voglia incoraggiamento e non sberleffo, empatia e non scazzo, ottimismo e non nichilismo, allora siamo proprio fottuti.

Sì, lo so che bisogna sapersi adattare agli umori del momento, capire i sentimenti del pubblico, avere rispetto per il dolore – ma non del tutto, sennò sei Mark Zuckerberg, mica Francesco Tullio Altan. Sennò non sei quello che nel 1995 disegna l’elettore che infila la scheda nell’urna dicendo «Ecco il mio diligente contributo alla raccolta differenziata della carta». Quello che per l’umanità prova tenerezza, si vede dai dettagli, ma non permette che la tenerezza gli faccia perdere la ferocia. Per fortuna è passata, Altan è tornato a disegnare la moglie che dice al marito in poltrona «Quando finisce il Covid, ti toccherà di fare qualcosa», e lui risponde «Oh, cazzo!», e anche noi siamo potuti tornare come niente fosse a essere i soliti stronzi.

L’altro giorno chiacchieravo con un benintenzionato che lodava la presa di posizione di Pier Paolo Piccioli, stilista di Valentino che ha fatto un post su Instagram dicendo quelle che lui stesso ha premesso essere delle ovvietà: che le donne devono poter fare quello che vogliono del loro corpo, che gli esseri umani devono avere una possibilità da dovunque provengano o qualunque colore di pelle abbiano. Il tizio con cui discutevo era un esponente di quell’Instagram del glamour che ha trattato quelle venti righe come se non di Instagram si fosse trattato ma dell’eroismo di chi imbraccia il mitra e va sulle montagne. Tu non capisci, ci rimetterà, francescabertinava lui, e io non ero convinta.

Speravo non fosse vero – già così non mi posso permettere Valentino e ne soffro tantissimo, ci manca solo che gli vadano male gli affari per venti righe di buonsenso, poi alza i prezzi e me lo scordo per sempre – ma, soprattutto: ero razionalmente convinta non fosse una posizione scomoda o rischiosa. Perché, cercavo di spiegare al mio interlocutore, quelle lì sono posizioni condivise. Anche chi vota la Meloni è sereno rispetto all’esistenza d’una legge sull’aborto (specie una legge ridicola come quella italiana); anche chi vota Salvini non vorrebbe certo affogare i profughi. Il dettaglio che ne fa istanze di minoranza è che quelle lì, per la più parte dell’elettorato, non sono priorità in base alle quali scegliere per chi votare.

Il mio interlocutore continuava a borbottare poco convinto, e a un certo punto mi sono detta ma che scema, ma perché continuo a cercare di spiegargli il mondo con parole mie, quando c’è sicuramente un Altan che questo meccanismo l’ha spiegato meglio e prima. E infatti c’era, era del 2000: «Sui valori la sinistra sbaglia tutto: insiste col Totocalcio mentre la gente anela al Superenalotto». Oppure era dell’85: «Mia moglie voleva abortire, ma io gli ho detto “Ma sei scema? La Dicì è sacra”».

Chiudo questo articolo senza controllare exit poll, proiezioni, scrutinî, niente. Comunque vada, oggi mi collego a un gruppo Facebook di mamme convinte che i puccettoni loro siano geni, e la scuola debba trattarli da tali. Da qualunque insoddisfazione debba distrarmi oggi, posterò lì una vignetta dell’85, quella in cui un’amica dice «Cossiga sarà il presidente della gente comune», e l’altra risponde «E che ne sarà del mio Pippo, che è un enfant prodige?». Comunque sia andata, Altan lo sapeva con decenni d’anticipo.

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