L’arte è costantemente in rapporto dialettico con la vita. È sempre stato così, eppure oggi sembra esserlo ancora di più. Basti pensare alle azioni di protesta degli attivisti per il clima, che imbrattano il vetro de I girasoli di Van Gogh o si attaccano alla cornice de La primavera di Botticelli per dimostrare, per dire che con ogni probabilità non assisteremo mai più a paesaggi naturali di tale bellezza. Ogni tanto tendiamo a dimenticarlo, ma un artista non è mai un maestro fermo nel tempo e l’opera non può mai essere intesa in senso sacrale, religioso, muto. Il fatto stesso che comunichi con il presente ci dà un’idea di quanto sia viva e capace di traslare il suo significato attraverso i secoli e attraverso le epoche.
Lo sa bene Patrizio di Massimo, originario di Jesi, in provincia di Ancona, artista di fama internazionale, mente e braccio di Antologia (2013-2023), organizzata da I Musei Civici di Palazzo Pianetti e la Fondazione Cassa di Risparmio e aperta al pubblico dal 23 aprile al 3 settembre 2023. Di Massimo ora risiede a Londra, ma la sua peculiarità, il suo talento, la traccia che ha sempre seguito consiste nel reinterpretare l’eredità dei geni del passato. Quei capolavori che insomma siamo abituati a conoscere perché li abbiamo visti e studiati sui libri di scuola. Pensiamola così: è come il remake di un film di successo. O la trasposizione cinematografica di un classico della letteratura.
Insomma: dovunque vi siano opere senza età, senza tempo, che continuano a evocare quesiti e meraviglia e soprattutto a metterci in discussione in quanto individui, in quanto società, in quanto collettività, vale sempre la pena riproporle, scardinarle, reinventarle. Dalla Deposizione (1512) di Lorenzo Lotto ai quadri più magniloquenti della storia del nostro mondo. Essi si snodano lungo un percorso espositivo che parte da Palazzo Pianetti e termina a Palazzo Bisaccioni. Le opere sono in tutto venticinque. Alcune giocano con il tema dell’autoritratto, altre con scene di vita vissuta, l’impressione che se ne ha comunque è che si tratti di fotogrammi fermati, immobilizzati dal variopinto carosello della contemporaneità.
Di Massimo infatti non si limita a riprodurre, lui trasforma: coglie l’elemento, il tratto essenziale e dopodiché lo inserisce altrove, ne altera la superficie, ma non l’essenza. Gli immaginari sono onirici, grotteschi, spesso calati all’interno di contesti famigliari. Interpellano il Novecento, lo provocano, lo sollecitano e finiscono per comunicare… qualcos’altro, certo non il messaggio contenuto una volta. Di nuovo, l’opera non è pensata per giacere confezionata in una teca. Il suo creatore la diffonde per il mondo, accettandone le conseguenze, le dicotomie, gli anacronismi, le reazioni.
Ecco dunque Otto Dix e Christian Schad, Achille Funi e Gio Ponti ammantati di improvvisi simbolismi esoterici o fantastici, durante liti, pose, baruffe e principi amorosi. Dieci anni gli sono stati necessari per giungere a un tale faticoso, vibrante, insolito arsenale di echi, rimandi, associazioni lontane, talvolta remote e che pure si sono depositate dentro di noi, anche se spesso non lo ricordiamo più.
«L’ampia personale di Patrizio di Massimo, è l’espressione della volontà delle istituzioni culturali jesine di valorizzare artisti nati o strettamente legati alle Marche che hanno maturato un’esperienza all’estero, facendosi così portatori di nuovi stimoli e riflessioni per la cittadinanza sia locale che regionale», ha dichiarato Massimo Vitangeli, curatore della mostra a Palazzo Pianetti. Già, perché poi ci sono le Marche. Terra spesso e ingiustamente dimenticata, teatro di paesaggi e di insenature naturali verdi smeraldo, e patria di talenti globali di cui non si conoscono le origini. Eccole.