Quando hai vent’anni, la cellulite ti sembra la più grave disgrazia che possa capitarti. È abbastanza ovvio che sia così: hai vent’anni, non sai cosa sia un problema vero; hai vent’anni, non sai fare conversazione, essere decorativa è l’unico patrimonio che tu abbia.
Quindi, racconta qualunque ginecologa, le ragazze la pillola non la vogliono prendere: sono convinte che faccia ingrassare. Io, che l’ho presa per trentacinque discontinui anni, non ho idea della veridicità di questa leggenda: certo che sono stata abbastanza giovane da pensare che due chili fossero tutto ciò che mi separava dalla felicità, ma non sono stata mai abbastanza osservatrice da notare se quando la smettevo mi calasse il girocoscia.
Non sono neanche stata, fin verso i quarant’anni, abbastanza sensata da capire che, avendo l’endometriosi, assumere una certa quantità di ormoni faceva la differenza tra morire dissanguata ogni mese e fare una vita normale.
Quando mia madre mi portò dal ginecologo, all’inizio del liceo, non lo fece perché avevo l’endometriosi: non lo sapeva, giacché all’epoca per quella malattia per cui il rivestimento dell’utero se ne va in giro per il corpo facendo danni non c’era un nome.
Adesso che se ne parla più che del cancro, adesso ogni volta che sento una giovane smaniosa cianciare di diagnosi tardive e di invisibilizzazione, io vorrei darle un coppino per ognuna delle volte in cui in gioventù sono stata invitata a non rompere i coglioni, ché le mestruazioni le hanno tutte: sarebbero moltissimi coppini.
Quando mia madre mi fece dare la pillola, me la fece dare per la stessa ragione per cui la prendeva lei: era del sud, era piena di complessi, non aveva una carriera né una personalità. Tutto quel che aveva era l’ostentazione dell’emancipazione. Prendo la pillola, quindi sono Mata Hari, sono Gloria Steinem, sono Edie Sedgwick. Mia madre prendeva la pillola come oggi ci si cambiano i pronomi nelle bio sui social.
Io, che non avevo niente da dimostrare ma non avevo neanche nessuna capacità di attenzione continuativa, sono stata la peggior prenditrice di pillola nella storia della contraccezione orale. Le volte che ne prendevo tre perché l’avevo dimenticata per tre giorni. Le volte che decidevo di fare un mese di pausa e ovviamente restavo incinta.
(Il mese di pausa era uno di quei consigli da Cioè, il giornaletto dell’epoca sul quale le ragazze chiedevano se andasse bene come contraccettivo il bidè con la Coca Cola: ogni volta che una della mia generazione si chiede come sopravviveranno i suoi figli senza educazione sessuale nelle scuole, penso che noialtre siamo sopravvissute a «caro Cioè, ho dato un bacio con la lingua e ho un ritardo»).
Le volte in cui perdevo il blister nel disordine della mia cameretta. Uno dei miei aneddoti preferiti è quello sulla farmacia notturna di piazza Maggiore, a Bologna, una volta che a mezzanotte non trovavo il blister, e andai a cercare di comprarla ma non avevo la ricetta, e il farmacista diede la fiala d’acqua e la siringa da insulina a quello prima di me (che mi rise in faccia) ma non la pillola a me, e pensa oggi i titoli cui avrei diritto sul giornale, «Liceale discriminata dal patriarcato e sbeffeggiata da un eroinomane».
Tra l’altro: a me (e alle disorganizzate come me) la vita l’ha salvata, in questo secolo, l’invenzione dell’anello vaginale, per la quale mi risulta inspiegabile non siano stati attribuiti non solo il Nobel per la medicina ma anche quello per la pace. Te lo infili e gli ormoni li rilascia lui e non ci devi pensare per tre settimane, invece di ricordarti di prendere ventuno pillole. Non ne ho visto cenno negli articoli sulla gratuità, e quindi mi chiedo: come sempre ciò che è gratis sarà peggiore, e cioè queste poverine saranno condannate alla pillola invece che all’anello? Ragazze, date retta alla zia Guia: invece della pillola coi punti fragola di stato, spendete diciannove euro per l’anello, sono stati i soldi meglio spesi prima della menopausa.
Ma, tornando alla questione della cellulite (che immagino venga anche con l’anello: gli ormoni sono gli stessi), vorrei chiedere: dare la pillola gratis a una generazione che la pillola non la vuole prendere non sarà come dare incentivi per la natalità a generazioni che i figli proprio non li vogliono fare? I figli li facevano le nostre nonne sotto le bombe senza asili o bonus: forse non è questione di soldi. La pillola costa dieci euro al mese: forse non è questione di soldi.
Ciò detto, siccome invece tutto è questione di soldi (tranne i soldi: quelli sono questione di potere), io rivorrei i miei. Capisco finalmente le battaglie culturali americane. Quella sulle rette universitarie, in cui chi si è indebitato per pagarsi le sue ai tempi suoi si chiede perché ora la fiscalità generale debba farsi carico del debito dei giovani piscialetto troppo fragili per rateizzarsi gli studi come han fatto i loro genitori. Quella dei discendenti degli schiavi che chiedono una riparazione economica dei soprusi subiti dai loro avi (i soprusi li han subiti gli avi, gli eventuali bonifici li incassano loro).
Nell’anno duemilaventitré di nostra vita io, Guia Soncini, condannata a prendere la pillola dalla natura matrigna che fa sì che i feti attecchiscano nei corpi delle femmine e non in quelli dei maschi impedendoci di delegare la contraccezione (ma certo, caro, ci hai pensato tu, ma siccome poi l’eventuale gravidanza me la sobbarco io non ti offenderai se non mi fido); io, condannata a ingerire ormoni da una biologia di merda che mi faceva staccare pezzi di endometrio e sanguinare come vitella sgozzata e contorcere dal dolore, e meno male che non eravamo ancora nell’epoca in cui è transescludente dire che l’endometrio ce l’hanno solo le donne, sennò avrei preso a testate sul naso qualcuno; io, giovane in anni in cui se ti rifiutavano la pillola del giorno dopo non fregava niente a nessuno; io, Guia Soncini, lettrice di Camille Paglia e consapevole che il patriarcato e il capitalismo abbiano fatto per la liberazione femminile più del femminismo e persino di Instagram; io rivoglio i miei soldi.
Se pillola gratuita è, pretendo che sia retroattiva. Voglio trentacinque anni di rimborsi. Non pensate di cavarvela dicendomi che dovevo conservare gli scontrini.