ChissenefregavaSignore e signori, la lettera di Rachele Silvestri al Corriere non vale un corno

Proprio come ha fatto la compagna di Elly Schlein parlando delle sue foto su Diva e donna, la parlamentare ex grillina ora di Fratelli d’Italia ha sentito il bisogno di alimentare una cosa di cui nessuno sapeva niente. E così ha solo peggiorato la situazione

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Rachele Silvestri, mi rivolgo a lei. A lei che fino a ieri non avevo mai sentito nominare. A lei che ieri era sulla prima pagina del Corriere della sera con un testo che in confronto la lettera a sé stessa di Chiara Ferragni era scritta da Gadda. A lei che paragona il suo essere oggetto di pettegolezzi all’essere sopravvissuti ad Auschwitz.

Rachele Silvestri, io le voglio parlare, a lei che sembra un’americana moralista che parla d’un’ipotesi di corna come si parlerebbe di tragedie vere, ma Google dice che è nata ad Ascoli Piceno e non nello Utah.

Rachele Silvestri, stia lì un attimo, poi torno, ma prima credo di dover spiegare ai lettori le circostanze, perché non ci crederà ma ieri c’era anche chi aveva delle bollette da pagare, delle corna proprie da curarsi, delle bozze da chiudere, delle valigie per Pasqua da preparare, e insomma non è che proprio tutti tutti tutti si siano informati sulla Ciranda de pedra di cui ha deciso di rendersi protagonista.

Dunque lei ieri compare sul Corriere con questo articolo che, sebbene sia alla seconda legislatura da parlamentare, non parlava d’una sua qualche proposta di legge. L’ultima che risulta da lei presentata, sul sito della Camera, è del marzo 2022, ma mi piace soprattutto l’interpellanza sulle mascherine che presenta nel 2021 spiegando che la fascia d’età tra i 6 e i 12 anni «ha esigenze di ossigenazione maggiore rispetto agli adulti». Le son sempre stati a cuore i bambini.

E ora è diventata mamma, Rachele Silvestri. E io che non sono mamma non posso capire. Molte cose, ma soprattutto non posso capire la sua letterina al Corriere, e non solo per una sua certa qual tendenza a mettere una inopportuna virgola tra il soggetto e il predicato (una interpellanza sul fallimento dell’istruzione obbligatoria, onorevole Silvestri, non la vogliamo presentare?).

«Non bisogna essere una donna per capire lo schifo, la violenza, l’umiliazione. Mi chiedo: ma in quanti modi il corpo di una donna può essere violato, calpestato, abusato?». Ora, a parte l’uso delle triplette da ginnasiale che cerchi di far colpo sul professore belloccio, io di fronte a queste righe penso: ohibò, sarà una storiaccia di stupro, come minimo. Di violenza coniugale. Di molestie sul luogo di lavoro. E invece.

«Quante volte il dono della procreazione può essere strumentalizzato e degradato?» (non le veniva il terzo participio). «In nome di cosa è giustificabile la violenza su un bambino appena nato?» (oddio, ma forse devo smetterla con questo tono scherzoso, ’sto porco schifoso dopo di lei ha stuprato pure un neonato?). E invece.

Cita persino Elie Wiesel, dai, è chiaro che si tratta di qualcosa di molto grave, altrimenti finisce che il dio della mancanza di senso delle proporzioni ci fulmina tutti. E invece.

E invece siamo dentro la più classica commedia all’italiana: il figlio della Silvestri, dicono i pettegoli, sarebbe non figlio di quello con cui sta ufficialmente la Silvestri, ma figlio d’un corno, come diciamo noi emancipati (i retrogradi direbbero: figlio della colpa). L’avrei saputo se non fossi solita saltare le prime pagine dei giornali. In prima, dove il Corriere aveva messo l’incipit, c’erano tre righe degne d’una lettera a Cronaca Vera: «Sono stata costretta a fare il test di paternità per mio figlio di soli tre mesi. E il padre è proprio Fabio, il mio compagno».

Ed è stata costretta anche a scrivere al Corriere, perché questo non è mica solo un sospetto di corna, è una questione di trasparenza istituzionale: se il figlio non è figlio della colpa, neanche la carriera della Silvestri lo è. È lei a collegare le due cose, a me che sono meno contorta non verrebbe mai in mente. Il mio mondo è pieno di adultere che non fanno carriera, nel suo invece ci sono questi sillogismi: «Mio figlio sarebbe, quindi, nato da una relazione clandestina, grazie alla quale io avrei anche ottenuto la mia candidatura».

Ora, benedette ragazze, dico a questa deputata ma anche alla fidanzata di Elly Schlein, io non so se voi ci siate o ci facciate, ma lasciate che ve lo dica avendo più anzianità di voi su questo pianeta e quindi avendo visto più pettegolezzi (una componente indispensabile e neanche troppo malsana della società): così fate peggio.

Quando la fidanzata della Schlein fa un post per dire che Diva e donna le ha fatto outing, non fa altro che prendere le informazioni che pochi ambienti politici e giornalistici avevano su di lei e sulla goffa gestione dell’inevitabile messa in pubblico della sua relazione con una segretaria di partito, e renderle informazioni che anche il grande pubblico ha.

Non fa altro che alimentare una cosa di cui non si ricordavano neanche più quelle che sfogliano i vecchi numeri di Diva e donna dal parrucchiere (erano foto uscite da due settimane, che nei tempi di cicli di notizie di questo secolo sono due secoli).

Non fa altro che stuzzicare la curiosità: senza quel post, a me non sarebbe mai arrivata una foto di lei con tatuato sul braccio il ritratto d’una nota scrittrice, perché nessuno di quelli che conosco si sarebbe incuriosito: chi se ne frega di con chi va a letto Elly Schlein, se non è proprio quella con cui va a letto a farne un caso.

Quando Rachele Silvestri scrive un testo del genere, non fa altro che far partire migliaia di messaggi. Alla stazione successiva, ci sono molti più «Lollobrigida» tra i messaggi ricevuti di quando partiva. Benedette ragazze, possibile che siate così inattrezzate ad affrontare la vita pubblica in un secolo in cui la vita pubblica è affare di più o meno tutti i privati cittadini?

Ma ora, scusate la lunga divagazione, vorrei finalmente porre la domanda che sono venuta qui a formulare. Rachele Silvestri, dico a lei. Il test di paternità, lei che scrive al Corriere che le hanno violato il corpo (al massimo la reputazione, che è quanto di più incorporeo), il pettegolezzo come male principale del mondo, le comari che malignano sulla sua carriera, i giornalisti che insinuano che a chiedere il test sia stata la moglie del presunto fedifrago, la gita di Pasquetta in cui la non più malignata cornuta potrà finalmente avvolgere le uova nei ritagli del Corriere e ridere in faccia alle cognate. Rachele, non sente anche lei tantissimo la mancanza di Pietro Germi?

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