«Mortacci di voi che leggete. Solo io posso leggere!». Il messaggio è di due settimane fa, quando Annalena Benini aveva già letto circa cinquantasette versioni del mio nuovo libro, e io neanche un rigo del suo, che mi aveva promesso di mandarmi circa trecentotredici volte, come le vere seduttrici abili a farti credere materassi che non hanno intenzione di mantenere.
Stavamo parlando del Salone del Libro, quello di quest’anno, di che giorni fossero le varie presentazioni, di chi avrebbe appunto presentato il suo libro (che esce la settimana prossima e poi ne parliamo). Lei mi ha detto il nome del fortunato presentatore e io ho fatto (malissimo, come sempre) la parte dell’offesa: ah, quindi l’ha letto anche lui, solo io figlia della serva no.
Solo io posso leggere, puntesclamativo. Ho pensato che era il messaggio più annalenico che mi avesse mai scritto, specialmente perché seguiva uno scambio in cui – ero a Londra – lei mi scriveva «Non mi hai neanche detto cosa fai lì», e io mi precipitavo a raccontarle ogni dettaglio dei miei spostamenti e delle di essi ragioni. Truman Capote diceva che, per farsi raccontare qualunque cosa da Marlon Brando, gli aveva spiattellato tutti gli affari propri, e a quel punto quello si era sentito in dovere di dire qualcosina di sé. Annalena fa il contrario.
Quando condividevamo un open space, vent’anni fa, avevamo silenziosamente convenuto che la gag comica che più la rappresentava fosse quella di Luciana Littizzetto che, per fare una gatta morta, miagolava e poi, «stump!», si accasciava sulla scrivania di Fabio Fazio. Appena qualcuno – ingenuo o spericolato – cercava di far scoprire Annalena su qualcosa, di ottenere da lei una qualsivoglia reazione, il nostro lessico famigliare era «miao, stump».
«Miao, stump» e «Solo io posso leggere» mi sono tornati in mente ieri verso le quattro del pomeriggio, quando il telefono ha iniziato a riempirmisi di messaggi che volevano da me, illusi che Annalena confidasse qualcosa a qualcuno, conferme della notizia: ma veramente la tua amica è la prossima direttrice del Salone? Mi sono trattenuta dal rispondere «amica a chi, ahò»: ormai vivo nel terrore del travisamento dei toni, come tutti.
L’unica sveglia, tra le mie amiche, dopo avermi mandato l’agenzia di stampa che riportava la notizia, e dopo che le avevo risposto «Ma ti rendi conto che ci ho parlato due ore fa e non mi ha detto niente?», ha concluso: «È così che si diventa capi del mondo».
Quella che meno la conosce mi ha fatto molto ridere, perché senza neanche dire «pronto» ha esordito con sicumera: «Tu lo sapevi e non mi hai detto niente». Non sa, la tapina, che Annalena sta all’essere omertose come Grace Kelly stava al portare lo chignon.
Tra quelle di cui non so niente, Annalena è la mia persona preferita. Lo so, lo so: penserete che lo dica per tenermi buona la mandarina che ci possiamo permettere, penserete ci tenga moltissimo ad andare in una fiera alla periferia di Torino a dire a gente che o si è già comprata il mio libro o non se lo comprerà comunque quanto esso sia un’opera pregevole e istruita. Ma invece è proprio la mia sconosciuta preferita.
Dico: avete presente quant’è raro, in un mondo in cui tutti smaniano per dirti di sé, che ci sia qualcuno di cui non sai niente pur parlandoci quasi tutti i giorni? Avete presente quant’è raro – in un mondo di mitomani che ti raccontano incarichi che poi per l’invasione delle cavallette non riceveranno mai, ma che tutti li starebbero supplicando di accettare – avere in rubrica il numero di una i cui incarichi riescono a sorprendere tutti?
Ci sono, ovviamente, anche quelli che sono perplessi dalla scelta; alcuni dei quali hanno chiamato me, essendo convinti ch’io sappia cose – illusi. Ho dato le stesse cinque risposte a tutti.
La prima è: ahò, ma è una fiera (l’editoria è chissà perché convinta che il Salone di Torino sia una via di mezzo tra l’Angelus e Sanremo, e richieda investiture, competenze, e chissà che altro).
La seconda è: io non mi chiedo perché il Salone abbia chiamato lei, mi chiedo chi gliel’abbia fatto fare a lei di accettare. (Se Annalena non fosse la reginetta delle omertose, glielo chiederei. Ma tanto so che svicolerebbe senza guastarsi lo chignon).
La terza è: come tutte le rassegne, il Salone richiederà innanzitutto capacità di avere a che fare con gli esseri umani, e Annalena ha un talento ineguagliato per l’avere a che fare con gli umani, per far sentire la persona con cui parla importante, stimata, preziosa, interessante. Miao, stump.
La quarta è: può imparare, sa imparare, imparerà a far tutto. Quando condividevamo un open space faceva le previsioni del tempo. Giuro. L’avevano messa a scrivere le righe di previsioni del tempo che riempivano uno spazio sotto la gerenza del Foglio. Adesso che tutti (pure quelli che si chiedono se sappia dirigere una fiera) sono concordi nel considerarla la miglior critica culturale italiana, a me viene il sospetto che sia l’unica persona che (non) conosco ad aver fatto la più classica delle gavette: era la stagista delle previsioni del tempo. (Su «La stagista» poi ci torniamo quando parleremo del suo libro: considerate questo paragrafo un teaser della seconda stagione).
La quinta risposta che ho dato a tutti è: sottovalutate la capacità di Annalena di macinare lavoro sempre sembrando una che non ha mai lavorato un minuto in vita sua. La prima cosa che ho fatto, quando mi è arrivato il suo libro, è stata cercare la parola con cui da sempre la sento definire da maschi veneranti: indolente. C’è due volte, perché non si diventa capo del mondo senza assecondare ciò che il mondo crede d’aver capito di te, e quindi Annalena alimenta la menzogna della sua indolenza. Direi che in ciabatte in tangenziale va a comandare, ma sarebbe inesatto: tutto questo lo fa pure, come Ginger Rogers, coi tacchi a spillo. Delle donne cui non somiglierò neanche tra sette vite, hanno scelto la più mirabolante.