Ma quale folklore Biden ha svecchiato l’idea che avevamo dell’Irlanda

Oltre a ribadire di sentirsi a casa, il presidente americano ha elogiato la leadership della Repubblica sull’accoglienza dei rifugiati ucraini. Dublino distingue la neutralità politica da quella militare, ma valuta di riscriverla

Biden a Dublino
AP Photo/Patrick Semansky

Dublino. Un albero piantato nel giardino, come Jfk di cui rincorre la legacy. Il rintocco della campana della pace all’Áras an Uachtaráin, il Quirinale irlandese. Anzi, una piccola Casa Bianca, modello di quella di Washington D.C. secondo una leggenda apocrifa. Tutto è rituale nella data più istituzionale della visita di Joe Biden in Irlanda. L’impressione è che il presidente americano voglia assaporarsi la passerella lunga quattro giorni nella terra degli avi e la sua agenda ne risente, si allunga, ritarda di un’ora. «È un buon segnale», sorride il primo ministro, anzi il Taoiseach, Leo Varadkar. La campana di Dublino suona anche per l’Europa, in cui la repubblica aspira a ricoprire ancora il prestigio che l’ospite più illustre le ha conferito.

Oltre a Kennedy nel 1963, anche Ronald Reagan (’84), Bill Clinton (’95) e Barack Obama (2012) si sono armati di pala sul prato smeraldo della residenza presidenziale dell’Éire. La campana, invece, è arrivata nel 2008. L’ha voluta l’ex presidente Mary McAleese nel decennale dell’Accordo del Venerdì Santo, che questa settimana ha compiuto venticinque anni. Il metallo è del diciannovesimo secolo, poggia su ceppi di una contea settentrionale, britannica, e di una meridionale: Antrim e Dublino. Il datario storico, i paragoni con i predecessori hanno inseguito Biden a ogni spostamento. Come ha detto lui stesso, però, l’isola non è più quella della pacificazione di fine Novecento. Chi la abita, dice, ha un tratto unico al mondo: «Prova nostalgia per il futuro».

Quello irlandese potrebbe riscrivere, almeno parzialmente, la neutralità che ha contraddistinto la Repubblica dalla nascita. A Farmleigh House, residenza ufficiale del premier, Varadkar ha ringraziato Biden per aver «protetto la democrazia e la libertà in Europa» dopo l’invasione russa dell’Ucraina. «Se non fosse stato per la leadership americana, e la collaborazione con l’Europa, non so in quale mondo vivremmo». Il presidente, tra «i progressi straordinari» del Paese, ne ha elogiato uno in particolare: l’accoglienza dei rifugiati ucraini, più di ottantamila. Tra gli invitati al suo discorso alla Camera, la Dáil Eireann, non figurano solo i protagonisti della politica, come il nume tutelare di Sinn Féin Gerry Adamas: c’è anche l’ambasciatore di Kyjiv, Larysa Gerasko.

Biden suona la campana della pace
Biden suona la campana della pace (Patrick Semansky/Ap)

A Leinster House, Biden ha aperto il suo discorso con una battuta. «Mamma, l’avevi detto che sarebbe successo». Ma poi ha sterzato sulla parte più rilevante. Le due sponde di questa nuova «relazione speciale» stanno dalla parte giusta della Storia rispetto all’aggressione putiniana, scandisce tra gli applausi. Plaude il sostegno «particolarmente significativo», umanitario e medico, del Paese e promette che la Russia dovrà rispondere dei suoi crimini. «L’isola d’Irlanda è sempre stata una voce per la libertà, la cooperazione globale e l’uguaglianza di tutto il genere umano, perché si ricorda il terribile costo della guerra».

Se il ministro degli Esteri Micheál Martin ha dichiarato nel recente passato che la neutralità avrebbe potuto «evolversi in futuro», a margine del Consiglio europeo di marzo, dal premier è arrivato un chiarimento esiziale. C’è una differenza tra la neutralità militare quella politica, ha ricordato. L’Irlanda, ha detto in quell’occasione e gli stessi termini pronunciati ieri con Biden, si colloca a difesa della democrazia e della libertà di fronte alla guerra in Ucraina. Altri quattro Stati membri dell’Ue non fanno parte della Nato e il suo Paese non avverte pressioni perché cambino le cose. A giugno, il governo ha comunque promosso un forum consultivo in tre città per capire se la tradizionale posizione di Dublino è ancora condivisa dalla maggior parte della popolazione.

Il (marginale) partito comunista irlandese, in occasione del viaggio «imperialista» di Biden, ha chiesto all’esecutivo di ribadire la neutralità della nazione. Insomma, è un tema. Se non oggi, potrebbe esserlo nel prossimo futuro. D’accordo, sul libro degli ospiti dell’Áras an Uachtaráin il presidente ha vergato un proverbio tipo «I tuoi piedi ti riporteranno dov’è il tuo cuore». Ha ripetutamente assicurato di sentirsi a casa. Di apprezzare il meteo pure sotto uno scroscio, al riparo solo del cappellino e senza ombrello. «È un posto incredibile, non tornerò più a casa», oppure chiedersi perché qualcuno dovrebbe mai partire da un luogo del genere?. Sui siti dei giornali statunitensi non s’è piazzata ai piani nobili, ma la visita non va inquadrata solo nel folklore.

Biden pianta un albero alla Áras an Uachtaráin
Biden pianta un albero alla Áras an Uachtaráin (AP Photo/Patrick Semansky)

È il quarto inquilino della Casa Bianca a cui sia tributato l’onore di parlare alla Houses of the Oireachtas. Gli altri tre sono gli stessi della piantumazione – e sono stati presidenti memorabili. Al di là delle vibes, siamo sicuri stia dando all’Irlanda più di quanto abbia ricevuto? Le origini, hanno scritto in America, sono parte della sua identità politica, certo, e la sua parola preferita è un pun tra gaelico e inglese («malarkey», si usa per un non-senso). La sua più lunga visita presidenziale è avvenuta nello Stato più piccolo che ne abbia ospitata una. Quando ci è atterrato, John Fitzgerald Kennedy era il primo presidente cattolico, ma anche il più giovane. Biden è il secondo di quella fede, e il più anziano.

Delle sue diciotto ore in Irlanda del Nord s’è speculato che fossero troppo poche, quasi un affronto. In realtà, persino il solito Dup alla fine ha apprezzato i toni del suo discorso all’Ulster University. «Sono qui per ascoltare», aveva detto. Nella regione, invece, rimarrà il suo nuovo inviato economico Joe Kennedy III. Con la promessa di raddoppiare gli investimenti americani, dagli attuali tre miliardi a sei, se le istituzioni ripartiranno. Se gli unionisti temporeggiano sul ritorno alla condivisione del potere, è principalmente per il loro tornaconto elettorale, a questo punto, con le urne a maggio. A Belfast Biden non ha fatto neppure le gaffes che gli vengono spesso attribuite (tranne chiamare «commissaria» la presidente della Commissione europea, in realtà).

Furi da un pub a Dundalk, ha invece confuso la nazionale di rugby neozelandese, di cui stava commemorando una sconfitta impartitale dagli irlandesi con i «Black and Tans», un’unità britannica della guerra d’indipendenza combattuta da Dublino. Non vuole immischiarsi nei travagli delle sei contee (se va trovato un colpevole, sarebbe la Brexit, non certo un capo di Stato straniero). La sua oratoria non avrà dettato i titoli fuori dalle isole britanniche, può darsi. Il viaggio è andato meglio di come molti si aspettassero. Ha macinato selfie, sfoggiato carisma e incassato calore popolare. Proprio come lui si è stupito davanti ai nuovi quartieri, alle università e alla dinamicità imprenditoriale dell’isola, da Nord a Sud, sarebbe ora di aggiornare l’idea che abbiamo dell’Irlanda. Non solo folletti, ballate e (ottime) birre.

 

Si ringrazia Luciana Grosso.

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