Leave the gun, take the pills. Credo da sempre che la civiltà vada analizzata attraverso i farmaci: abbiamo avuto il Prozac, poi c’è stato il Vicodin e l’ossicodone, lo Xanax ci ha sempre mantenuto calmi e idratati, poi è arrivato il Fentalyn, e oggi ci ritroviamo a rubare le caramelle gommose ai bambini: Adderall e Ritalin.
Internet di tre cose è piena, perché su tre cose poggia la sua fortuna: foto di cani, foto di bambini, test di autodiagnosi. «Non sono io, è l’algoritmo» è la relazione più stabile che possiamo pensare di avere in questi anni: non fanno che apparirmi siti di psicologi che da remoto vogliono parlare con me anche se io non voglio assolutamente parlare con nessuno, tantomeno con loro, tantomeno a pagamento.
Insistono, insistono sempre, insistono che questi sono tempi difficili, che l’importante è la salute mentale, e che se non voglio parlare con nessuno potrei essere sociopatica, o avere l’Adhd. Oppure, potrebbe averla mio figlio. È un tipo distratto? Non riesce a concentrarsi? Muove piedi e mani quando sta seduto? Direi di sì essendo un essere vivente di sei anni e non una pianta ornamentale.
E se io avessi un deficit dell’attenzione? Un disturbo oppositivo provocatorio? Quindi, sentendomi un po’ Bernstein, ma anche un po’ Woodward, ho deciso di fare dei test online per l’Adhd. Ne ho fatti tre, sono tutti gratuiti, semplici, veloci, e le domande sono di questo tipo: ti capita di non ricordare appuntamenti? Ti capita mai di non finire i lavori noiosi? Ti distrai facilmente? Ti senti riposato? Sono una madre o ho l’Adhd? Le due cose combaciano? I risultati sono stati coerenti tra loro: «Il test mostra che sono presenti difficoltà legate alla disattenzione. Si consiglia un accertamento con uno specialista».
E poi ancora: «Il tuo livello di rischio di Adhd è alto: mostri di avere la maggior parte dei segni e sintomi di Adhd degli adulti per quanto riguarda una persistente disattenzione e/o l’iperattività e l’impulsività. Potresti aver notato che molti di questi segni e sintomi sono iniziati nella prima infanzia. Questi sintomi possono interferire significativamente con la produttività scolastica e lavorativa, le attività sociali e le relazioni personali. Se gli adulti con Adhd non ricevono una diagnosi e un trattamento, rischiano di poter soffrire di altre condizioni psicologiche come depressione e ansia. Per un’ulteriore valutazione, consulta il tuo medico o un professionista della salute mentale».
E infine: «I risultati emersi attraverso questa valutazione possono suggerire la necessità di un più approfondita analisi clinica. I quesiti nell’Asrs V1 .1 sono coerenti con i criteri del Dsm-Iv e evidenziano le manifestazioni dei sintomi dell’Adhd negli adulti».
Alle domande che riguardavano chiaramente l’iperattività ho risposto che no, non muovo le gambe mentre parlo e sì, riesco a stare seduta durante una riunione, e no, non interrompo chi parla perché non sono maleducata, ma nonostante questo mi segnalano che sono iperattiva: no, non lo sono, non sono un medico ma so di non essere iperattiva. Io l’ho fatto su me stessa, se l’avessi fatto su mio figlio sarebbero venuti gli stessi risultati.
Se avete dimestichezza con la scuola, o con i gruppi Facebook di mamme, avrete avuto come me l’impressione che nell’ultimo anno tutti i bambini abbiano un disturbo da deficit dell’attenzione, o siano dislessici, o disgrafici, o soffrano di discalculia, con vari sottoinsiemi di plus dotazione.
Se andate su TikTok troverete svariati modi per capire se avete l’Adhd e come conviverci. Tutti, dagli influencer agli psicologi su TikTok, dicono sempre che bisogna farsi certificare da un medico: certo, e se tre indizi facessero una prova?
Ho visto un documentario sull’Adderrall in cui viene detta una cosa molto importante: «La medicalizzazione della vita di tutti i giorni e il fatto che tutti potenzialmente possono avere un disturbo ha banalizzato l’intero processo e ha messo la società nelle mani dei dottori e delle case farmaceutiche». Forse è pure peggio: l’ha messa nelle mani degli psicologi di TikTok.
Là fuori è pieno di adolescenti che si autodiagnosticano deficit dell’attenzione, così come è pieno di psicologi da social che fanno video varietà dove, tra un passo di danza e una grafichina colorata, ti mettono il dubbio che forse non è che vai male a scuola perché sei un adolescente che non ha voglia di studiare, ma perché hai un disturbo.
Negli Stati Uniti è legale fare la pubblicità ai farmaci, ce n’era una dell’Adderall che diceva: «Schoolwork that matches his intelligence». Lì il sistema scolastico è piuttosto competitivo, il grande sogno americano non è del tutto morto, e gli studenti hanno iniziato a pregare di avere l’Adhd e ad abusare dell’Adderall rubato ai fratelli minori per avere performance migliori. In Italia ti guardano male pure se dai la tachipirina a puccettone perché sarebbe meglio il balsamo di tigre, ma a volte vedete che avere uno stigma torna utile.
Il punto fondamentale è esattamente questo, soprattutto in posti dove non esiste la sanità pubblica: non c’è volontà di guarire i bambini, ma di avere delle madri soddisfatte. Se somministro delle diagnosi adeguate alle aspettative dei genitori, quei genitori saranno soddisfatti e torneranno da me: medici ricchi, genitori felici, bambini con la sufficienza. Qualche giorno fa Vivek Murthy, Surgeon general degli Stati Uniti, ossia il funzionario federale che si occupa di questioni di salute pubblica, ha fatto pubblicare un avviso sui rischi che bambini e adolescenti corrono stando sui social network.
Rischi e benefici, ma diciamo che i malefici superano i benefici. Negli anni passati questi avvisi hanno riguardato le sigarette, l’Aids, le armi da fuoco, e adesso siamo a TikTok. La relazione dice: «In a recent narrative review of multiple studies, problematic social media use has also been linked to both self-reported and diagnosed attention-deficit/ hyperactivity disorder (ADHD) in adolescents, although more research is necessary to understand whether one causes the other. A longitudinal prospective study of adolescents without ADHD symptoms at the beginning of the study found that, over a 2-year follow-up, high-frequency use of digital media, with social media as one of the most common activities, was associated with a modest yet statistically significant increased odds of developing ADHD symptoms (OR 1.10; 95% CI, 1.05-1.15). Additionally, social media-induced fear of missing out, or “the pervasive apprehension that others might be having rewarding experiences from which one is absent,” has been associated with depression, anxiety, and neuroticism».
Recentemente è stato aggiornato il nome della sindrome di Münchhausen per procura in “Factitious Disorder Imposed on Another”: si può fingere che nostro figlio abbia un disturbo mentale e non solo fisico. E questa, sinceramente, mi sembra la cosa più significativa che sia accaduta negli ultimi anni.