Governo EmmeEmmeCosì la diarchia Meloni e Mantovano guida l’Italia (mettendo in minoranza la maggioranza)

La premier e il sottosegretario tradizionalista cattolico, conoscitore degli apparati dello Stato ma anche ex giudice non sovranista decidono tutte le cose importanti e lasciano le briciole a Salvini, Giorgetti, Crosetto e Tajani

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Ormai è acclarato che il potere romano è in mano a una diarchia non paritaria perché uno è una, la premier, l’altro il suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Giorgia Meloni ripone in Mantovano una totale fiducia. Con lui elabora le strategie per la gestione del governo, i rapporti con i ministri e i capi delegazione della maggioranza, ovvero Matteo Salvini e Antonio Tajani. Con l’ex magistrato che ha preferito a ogni altro fedelissimo militante di Fratelli d’Italia, la capa ha deciso le nomine pubbliche dei giganti come Eni, Enel, Poste, Leonardo, Terna, i vertici della Guardia di Finanza, della Polizia e della Rai. 

Ovviamente qualcosa Meloni e Mantovano hanno ceduto alla Lega, qualche strapuntino a Forza Italia, ma nella sostanza la diarchia EmmeEmme, pur dispensando, aggiustando, accontentando, detta la linea, comanda, di fatto anticipa quello che potrebbe essere il modello di premierato. Più che quello di Westminster, che richiederebbe un bipartitismo anglosassone, potrebbe venire fuori un modello comunque disegnato attorno al progetto politico che lei ha in mente, il grande Partito Conservatore che sbanca in Italia e sbarca in Europa per mettere in sintonia Roma e Bruxelles. Un partito dell’etnia italica, per parafrasare il cognato Francesco Lollobrigida. Attenzione, a casa Meloni la vera ideologa conservatrice è la sorella Arianna; a Palazzo Chigi è Mantovano, che non ha però i tratti del sovranista aspro, anti europeo, ottuso, essendo persona accorta, colta, intelligente. 

Per dirne una, al diarca ombra non passa per l’anticamera del cervello di riproporre la riforma costituzionale sul primato del diritto interno su quello comunitario sulla falsariga ungherese e polacca. Mantovano con la toga ha scritto in alcune sentenze l’assoluta preminenza dei principi internazionali dettati dalle Corti europee di Strasburgo e del Lussemburgo. In Cassazione ha motivato il rigetto di un mandato di arresto proveniente dalla Polonia perché non basta una sentenza di condanna di un Paese europeo: lo Stato italiano deve vagliare la motivazione del provvedimento straniero e verificare la sua conformità ai principi internazionali del giusto processo. 

Il sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi segreti è irraggiungibile ai giornalisti. «Parlo poco perché non serve», disse mentre infuriava la polemica sui morti di Cutro. Ma nei giorni scorsi è stato tranchant con la Corte dei Conti che ha criticato i ritardi del governo sul Pnrr: «Una invasione di campo bella e buona. Ditemi dove è scritto che la Corte dei conti ha questa competenza, di sostituirsi alla Commissione europea nel vaglio sul Pnrr».

Tessitore con il Vaticano e con il Quirinale, conoscitore degli apparati dello Stato, un tradizionalista cattolico che non sopporta i tradizionalisti critici di Papa Francesco. In occasione della morte del Papa emerito disse «viva il Papa, chiunque sia. Ogni tentativo di lettura dialettica è sbagliato».

Quando punta l’avversario, silenziosamente fa male. L’ex sottosegretario all’Interno nei governi Berlusconi si trovò fuori dal Parlamento nel 2001, perdendo nel collegio di Gallipoli qnche grazie a un travaso di voti da Forza Italia a favore di Massimo D’Alema. Per ironia della sorte, da quelle parti dominava Raffaele Fitto, che oggi è l’altro uomo forte di Meloni. Mantovano ne parlò apertamente con chi scrive, facendo nomi e cognomi, in un articolo sulla Stampa: entrambi fummo citati in giudizio per diffamazione. Lui si presentò davanti al giudice con un dossier che sembrava la Treccani. L’avvocato di D’Alema, l’ex senatore Calvi, consigliò al suo assistito di ritirare la denuncia.

Tornato in magistratura, è riapparso un anno fa alla Conferenza programmatica dei Fratelli d’Italia per parlare di natalità e famiglia naturale, contro l’eutanasia, le coppie omogenitoriali e la gestazione per altri. Il fondatore del centro studi Livatino, ricorda bene gli anni della Bicamerale, del dialogo con l’allora presidente della Camera Luciano Violante, degli insegnamenti di Pinuccio Tatarella, l’esponente pugliese di Alleanza soprannominato «ministro dell’Armonia». 

E forse questi insegnamenti gli serviranno per consigliare alla presidente del Consiglio di trovare un accordo con Elly Schlein sulle riforme costituzionali. È l’unica strada per approvarle in Parlamento con una maggioranza assoluta ed evitare il referendum che non ha mai portato bene a chi ha guidato Palazzo Chigi. Infischiandosene degli alleati e di chi si impunta sull’elezione diretta del presidente dello Stato o del presidente del Consiglio. Provino a mettersi contro la diarchia EmmeEmme. Qualcosa in questi ultimi mesi avranno pure imparato.

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