Libertà è partecipazioneIl crescente astensionismo involontario che indebolisce le democrazie

In Italia l’affluenza delle elezioni del 2022 non è stata mai così bassa, in Nigeria lo stesso. Un fenomeno globale dovuto a diversi fattori, tra cui il gerrymandering e la sfiducia nelle istituzioni, che rischia di disaffezionare i cittadini alla politica

AP/Lapresse

Nelle recenti elezioni in Nigeria, l’affluenza alle urne è stata la più bassa dall’Indipendenza (1960). Appena nove milioni di persone hanno votato per il presidente eletto Bola Tinubu che ora governerà 220 milioni di nigeriani. Dati che collocano la Nigeria tra i dieci paesi con l’affluenza alle urne più basse al mondo (in compagnia di Algeria, Egitto, Giordania, Venezuela e Romania). Il Ruanda si contende invece con la Guinea Equatoriale il primato della più alta affluenza: oltre il 98 per cento. (dati International for Democracy and Electoral Assistance; I-IDEA). Ma questi numeri a loro volta andrebbero visti al netto di varie forme di irregolarità: brogli, pratiche sleali di registrazione al voto, procedure di conteggio improprie, assenza di reale competizione democratica, candidati ai quali è stato impedito di presentarsi e altre svariate situazioni di natura più tecnica che vanno a compromettere – anche pesantemente – il significato della alta o scarsa affluenza al voto. 

Il cosiddetto gerrymandering, per esempio, è la pratica di disegnare e ridisegnare i collegi elettorali in modo da discriminare il peso degli elettori o per razza e/o per livello di concentrazione (urbana o rurale) o per altri fattori al fine di drogare l’effetto del voto fino al punto di creare una situazione in cui i voti non contano e in cui chi riceve meno voti ottiene più seggi. Come accadde negli Stati Uniti nel 2016, quando i democratici in corsa per la Camera dei Rappresentanti hanno ricevuto 1,4 milioni di voti in più dei repubblicani, che però si sono assicurati 33 seggi in più (107).

Questioni complesse ma tali da far mettere in evidenza da vari osservatori (The New York Times, settembre 2022) come il Senato americano abbia un pesante pro-Republican bias che dovrebbe peraltro durare nel prossimo futuro. Elementi ben messi in luce da Carol Anderson nel suo libro “One person, No vote” pubblicato nel 2018, e dagli autori Steven Levitsky e Daniel Ziblatt entrambi docenti di scienze politiche ad Harvard, “How Democracies died” pubblicato nello stesso anno, giusto per citare due esempi tra i tanti.

Nelle elezioni Presidenziali statunitensi del 2020 l’affluenza è stata ben più alta che in precedenza (di ben sette punti percentuali rispetto al 2016) con circa 160 milioni di elettori che si son espressi su 240 milioni. Nel paese, oltre al fenomeno del gerrymandering, altra questione oggetto di dispute è il voto anticipato (early-voting) che può essere fatto via posta (mail-in) o di persona ma anticipatamente: quasi 35 milioni si sono recati alle urne di persona e oltre 63 milioni invece hanno invece votato per posta prima del fatidico 3 novembre (dati: US Electoral Project Università della Florida). Questa pratica si chiama absentee ballot e permette alle persone che non si trovano nella città di residenza il giorno delle elezioni, di votare richiedendo la scheda elettorale senza bisogno di fornire particolari giustificazioni. Il metodo risale al periodo della Guerra Civile, quando i soldati al fronte non potevano fare ritorno a casa per votare.

Attualmente, quattordici paesi in Europa offrono l’opportunità del voto postale ai propri elettori. In otto di questi paesi, è permesso a tutti gli elettori e in sei solo a determinate categorie. Il Regno Unito, la Germania, la Svizzera e la Spagna sono tra i principali Stati che consentono il voto mail-in. In Svizzera, i voti postali rappresentano il 90 per cento di tutti i voti nel paese (Dipartimento di Informatica-Università di Zurigo): a tutti gli elettori aventi diritto vengono inviate schede, che possono inviare per posta o portare alle cabine elettorali, settimane prima delle elezioni. 

Ovviamente c’è chi ritiene che tale modalità sia più facilmente soggetta a brogli, vedi il famoso tweet del 30 luglio 2020 di Trump che tuonava testualmente: “With Universal Mail-In Voting (not Absentee Voting, which is good), 2020 will be the most INACCURATE & FRAUDULENT Election in history…” (interessante la risposta del The Washington Post del successivo dicembre a firma di Glenn Kessler), e a chi ritiene che così facendo si contiene e di molto il fenomeno dell’”astensione involontaria. Come in Italia, per esempio.

Il Libro Bianco sull’Astensionismo in Italia, presentato nell’aprile del 2022 voluto dal presidente del Consiglio Mario Draghi e coordinato dal professor Franco Bassanini mette ben in luce il fenomeno dell’astensionismo involontario rappresentato da un lato dalle persone che hanno difficoltà di mobilità e non sono quindi in condizioni di recarsi al seggio elettorale (pari a circa 4,2 milioni al di sopra dei 65 anni), dall’altro da coloro che per ragioni di lavoro o studio nel giorno del voto si trovano lontani dal comune di residenza (stimati in circa 4,9 milioni di persone, circa nove milioni di potenziali elettori!).

Lo studio inoltre mette in evidenza la crescente distanza di molti cittadini dalla politica: l’affluenza delle elezioni del 2022 non è stata mai così bassa (63,8 per cento) con il partito di maggioranza relativa che ha preso solo 7,3 milioni di voti circa su circa 46 milioni di potenziali elettori e la sfiducia nei confronti delle Istituzioni pari al 48 per cento (Ipsos: analisi del voto 2022). Per non parlare delle Elezioni Regionali di quest’anno, quando hanno votato nel Lazio il 37,2 per cento degli aventi diritto, saliti al 41,67 per cento in Lombardia.

Distanza che il presidente francese Emmanuel Macron, rieletto l’anno scorso con la più bassa affluenza al voto dopo l’elezione di Georges Pompidou del 1969 e che ora governa con il sostegno di una maggioranza espressa soltanto dal 38 per cento degli elettori registrati, ha voluto mettere, con onestà intellettuale, in evidenza nel suo discorso dopo la vittoria: «Penso anche a tutti i nostri connazionali che si sono astenuti. Il loro silenzio ha dimostrato un rifiuto di scegliere a cui dobbiamo anche rispondere».

In un articolo dal titolo auto esplicativo “When voters abstain, France takes notice – the UK should learn to do the same” dell’aprile dello scorso anno il The Guardian ha pubblicato i dati dello studio “Road to Renewal”, basato su un sondaggio cui hanno risposto circa 3500 persone, dove emerge che solo il 6 per cento degli elettori nel Regno Unito crede che le proprie opinioni possano influenzare le decisioni prese dai ministri del governo, mentre ritiene che i veri suggeritori della politica siano i maggiori finanziatori dei partiti (gruppi imprenditoriali e aziende) seguiti a ruota da giornali e media, lobbisti e gruppi di pressione. Solo il 2 per cento cita i sindacati come principali forze dietro le decisioni politiche. Gli estensori del sondaggio notano come sia avvenuto «un notevole cambiamento dagli anni Settanta e Ottanta, quando le preoccupazioni verso i sindacati eccessivamente potenti erano diffuse».

Sono stati fatti innumerevoli studi, non sempre concordanti, sul perché dell’astensionismo: disagio economico e sociale, matrici etniche, nuove generazioni, inutilità percepita del voto, livello di istruzione, livello e grado di occupazione, livello di istruzione, differenze di genere. A questi elementi si devono aggiungere attente analisi sia sulle tecnicalità” sotto il profilo delle leggi elettorali e relativi regolamenti di ciascun paese, sia sul versante delle varie modalità di voto (definizione dei collegi elettorali). Ma la questione della rappresentanza in democrazia è sicuramente fortemente minata.

Rimane l’astensionismo, un effetto di concause di vario genere la cui analisi deve essere fatta con la dovuta attenzione e con uno sguardo ampio per non cadere in analisi poco significative. Diceva Winston Churchill: «La differenza tra un politico e uno statista è che un politico pensa alle prossime elezioni, mentre lo statista pensa alla prossima generazione»: forse dovremmo cominciare a riflettere sull’affluenza elettorale pensando da statisti e non da politici.

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