Istanbul. Recep Tayyip Erdogan e Kemal Kilicdaroglu sono pronti a sfidarsi nel secondo turno delle elezioni presidenziali. I due candidati hanno passato le ultime due settimane tra comizi e dibattiti in giro per il Paese per incoraggiare i propri sostenitori a recarsi ancora una volta alle urne, ma hanno anche cercato di ampliare la loro base elettorale stringendo nuove alleanze.
Entrambi gli sfidanti hanno corteggiato per diversi giorni i rappresentanti dell’Alleanza ancestrale, una coalizione di partiti di destra ultra-nazionalista il cui candidato, Sinan Ogan, ha ottenuto il cinque per cento delle preferenze in occasione del primo turno. Sia Erdogan che Kilicdaroglu hanno considerato il sostegno del loro ex avversario fondamentale per vincere questa domenica, tanto da adeguare alle sue richieste la loro campagna elettorale e i loro programmi per il post-elezioni.
Due candidati, una sola retorica (xenofoba)
Ad aver cambiato in maniera più netta i toni della comunicazione è stato Kilicdaroglu. Il leader dell’opposizione ha messo da parte i messaggi di inclusione e di speranza per il futuro per puntare invece sulla demonizzazione del suo avversario e ancor più dei siriani, diventati quasi l’unico argomento di discussione in questa seconda fase di campagna elettorale.
Il candidato del partito repubblicano Chp ha cercato di accattivarsi l’elettorato più nazionalista puntando sulla promessa di rimpatrio dei quattro milioni e mezzo milioni di siriani presenti nel Paese e presentati dai media e dai politici come il vero problema della Turchia. Da anni i siriani vengono descritti come i responsabili della crisi economica che attanaglia lo Stato e che è invece stata causata dalle politiche imposte da Erdogan grazie al controllo che il presidente è in grado di esercitare sulla Banca centrale.
Anche Kilicdaroglu, però, ha deciso di adottare questa lettura distorta della realtà nella speranza di accattivarsi il sostegno di Ogan e di allargare la sua platea elettorale, puntando su quel sentimento nazionalista della società turca che è tra l’altro alla base dello stesso partito di cui è segretario. Il suo piano però ha funzionato solo in parte. Ogan ha deciso di sostenere Erdogan, ma il leader dello Zefar Parti, membro dell’Alleanza ancestrale, ha rotto i ranghi della coalizione per appoggiare Kilicdaroglu.
Una coalizione inedita, dall’ultra-destra ai curdi
Entrambi i candidati, dunque, hanno dalla loro parte due formazioni di destra ultra-nazionalista che hanno fatto dell’espulsione dei siriani e della lotta al terrorismo le loro priorità. Quest’ultimo punto però ha rischiato di rappresentare un problema per Kilicdaroglu. Lo Zafer Parti vede la minoranza curda come un problema per sicurezza della nazione e il leader dell’opposizione ha bisogno dei filo-curdi della Sinistra verde per sconfiggere Erdogan.
Ufficialmente il sostegno dei curdi è stato confermato, ma non è detto che tutti gli elettori seguiranno le indicazioni del partito. Di certo però è la prima volta che curdi e ultra-nazionalisti si ritrovano all’interno della stessa coalizione, uniti dal desiderio di mandare a casa il presidente uscente.
Una sconfitta che sa di successo
I sondaggi in realtà danno prevalentemente Erdogan in vantaggio rispetto al candidato dell’opposizione, ma dopo le previsioni errate diffuse in occasione del primo turno è difficile fare affidamento sugli istituti di ricerca del Paese. La mancata vittoria al primo turno di Kilicdaroglu, tuttavia, non è da considerarsi del tutto una sconfitta.
Il risultato del primo turno ha dimostrato che la Repubblica è più propensa rispetto al passato a un cambio di leadership e il successo dell’opposizione è un importante traguardo se si considerano tutti gli ostacoli che la coalizione ha dovuto superare durante la campagna elettorale. Lo spazio concesso sui media a Kilicdaroglu e ai suoi alleati è stato minimo, mentre il presidente ha goduto di amplia copertura grazie al controllo che esercita sui mezzi di comunicazione.
Erdogan ha anche avuto accesso ai fondi pubblici, utili per coprire le spese della campagna elettorale, mentre il partito curdo ha subito il blocco dei conti bancari ed è tuttora a rischio chiusura per vie legali. A ciò vanno aggiunti i rischi di brogli, la diffusione di false informazioni, gli arresti di politici dell’opposizione a ridosso anche di questo secondo turno e la generale repressione del dissenso in un Paese che negli ultimi vent’anni ha visto un’erosione costante delle libertà e dei diritti.
Tutti questi elementi dimostrano come in Turchia le elezioni non possano essere considerate a tutti gli effetti libere ed eque, ma nonostante ciò l’unica strada per un cambiamento pacifico resta quella delle urne.