Apprendista stregoneLegittimando l’estrema destra, Netanyahu ha messo in crisi la democrazia israeliana

Congelata la questione palestinese, per il disinteresse dei paesi arabi, il premier ha abbandonato il suo tradizionale liberalismo pur di salvarsi dai processi. Ma ha dovuto cedere peso elettorale e potere a partiti xenofobi e suprematisti ebraici altrimenti marginali, spaccando il Paese

AP/Lapresse

Per la prima volta nella storia di Israele giovedì scorso l’estrema destra è scesa in piazza riuscendo a mobilitare decine e decine di migliaia di persone, secondo Le Monde addirittura duecentomila. Una manifestazione imponente, mai vista, di coloni e di simpatizzanti dei partiti di destra – ma mancavano i supporter dei partiti religiosi – ha avvolto la Knesset a Gerusalemme per chiedere a gran voce che riprenda subito l’iter delle riforme della giustizia che Bibi Netanyahu ha sospeso sotto la pressione di una immensa e contraria mobilitazione di piazza e nel paese dei laici e della sinistra.

Si è avuta così un’immagine plastica, concreta, preoccupante del muro contro muro, della divisione profonda e partecipata dalle due parti che sta sconvolgendo la vita e l’immagine stessa del popolo in Israele.

Di fatto è finita una lunga fase che – pur nel cambio di leader e di leadership ha visto Israele sviluppare una politica unitaria – tendente a allacciare legami con più Paesi arabi possibili (prima l’Egitto, poi la Giordania infine con gli Accordi di Abramo gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco) e di congelare di fatto la questione dei Territori occupati.

Alle spalle e di fronte l’irresponsabile avventurismo della leadership palestinese, che nel 2000 a Taba con Yasser Arafat rifiuta la restituzione del novantacinque per cento delle zone d’occupazione per far partire subito dopo l’orrida e ovviamente perdente Intifada delle Stragi. Avventurismo palestinese irresponsabile duplicato nel 2005 quando Ariel Sharon restituisce senza condizioni la Striscia di Gaza e Hamas innesca una guerra civile con al-Fatah e la trasforma in uno sterile bunker lancia razzi invece che nel primo nucleo di uno Stato palestinese florido e in pace con Israele.

Congelata la questione palestinese – nel pieno disinteresse del mondo arabo ormai teso soprattutto a fare affari con la un tempo odiata “Entità Sionista” – negli ultimi trent’anni Israele è cresciuto vorticosamente su sé stesso sul piano tecnologico, economico e militare. Si è illuso che fosse possibile, secondo la battuta di Ehud Barak, vivere con forza e gioia al riparo di un muro: al di là facciano quello che vogliono. Unico pericolo, l’atomica iraniana, ma lontano, e comunque contrastato da inaspettati alleati come i sauditi.

Ma, a riprova che la Storia ama i percorsi tortuosi e le beffe, questo status quo di un Israele che aveva congelato la questione palestinese è stato interrotto da un banale procedimento penale che ha coinvolto un uomo, Bibi Netanyahu. Questi, dopo quattro elezioni perse nell’arco di due anni, ha evocato il Golem, e per vincere finalmente la Knesset e rendere inefficace un’eventuale condanna ha compiuto il gesto che nessun leader israeliano, neanche il più estremista di destra, aveva mai osato compiere: ha dato piena legittimità politica alla destra fascista e xenofoba, e ha portato al governo ceffi come Itamar Ben Gvir e Bezael Smotrich che si autoproclama “fascista”. Senza la legittimazione di Netanyahu, questi due personaggi e i loro minipartitini avrebbero continuato la loro vita grama e marginale di sempre, modello Casa Pound per intenderci.

Ma ora, titolari di ministeri importanti e con più del dieci per cento dei voti complessivi alla Knesset, i leader dell’estrema destra fascista e parafascista hanno innescato un fenomeno eversivo che sta travolgendo lo stesso apprendista stregone Netanyahu: puntano direttamente all’annessione della Cisgiordania a Israele e considerano gli arabi, anche gli arabi israeliani, una feccia da estirpare. E non a parole: Bezael Smotrich ha tentato – fallendo per un pelo – di effettuare un sanguinoso pogrom contro il villaggio arabo di Huwara.

Questa è la vera posta in gioco dietro la riforma della giustizia che il governo Netanyahu vuole imporre: togliere ogni autonomia alla magistratura per colonizzare senza più ostacoli la Cisgiordania e schiacciare con una repressione sanguinaria arabi israeliani e palestinesi.

Di fatto, l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania dal 1967 a oggi ha corrotto la democrazia di Israele, vi ha introdotto un virus di sopraffazione nei confronti degli arabi, un suprematismo ebraico da sempre marginali ma ora dotato di grande forza politica, amministrativa e di governo per colpa delle dissennate scelte di Netanyahu. Un virus suprematista paradossalmente rinvigorito da una inqualificabile dirigenza palestinese: da una parte la Anp di Abu Mazen capace solo di sviluppare corruzione spinta e inefficienza, e dall’altra una Hamas che vive nel mito irraggiungibile di distruggere Israele e intanto sviluppa un’economia di contrabbando, corruzione e traffici sotto il tallone di ferro della legge islamica.

Contro questa deriva suprematista ebraica e i dissennati progetti del governo nei mesi scorsi, come si sa, si è levata una mobilitazione popolare così massiccia e una reazione dentro le Forze Armate che ha costretto Netanyahu a sospendere i progetti di riforma della giustizia. Una reazione tale e talmente compatta da aver fatto precipitare nei sondaggi i partiti della coalizione di governo da sessantaquattro a cinquantadue seggi. Ma ora alla piazza laica e democratica si contrappone una piazza suprematista e xenofoba. Una lacerazione e una tensione mai viste dentro Israele.

L’apprendista stregone Netanyahu che ha abbandonato il suo tradizionale liberalismo pur di salvare sé stesso dai processi deve decidere a quale piazza dare ragione. Una scelta drammatica, forse esiziale per la stessa democrazia israeliana. Una scelta che può essere evitata solo da una manovra di Palazzo: un accordo di governo al ribasso tra il Likud, il Partito di Netanyahu e Unione Nazionale di Benny Gantz con conseguente espulsione dal potere dei partiti di Itamar Ben Gvir e di Bezael Smotrich. L’unica democrazia del Medio Oriente vive ore cruciali.

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