Racconto #6Una cena di compleanno per chiudere un cerchio e far bollire i ricordi

Il sesto (e ultimo) appuntamento delle avventure di Jack Piper, giornalista investigativo in viaggio da molti anni a caccia di storie… nella cucina SEI disegnata da Marc Sadler per Euromobil

Illustrazione di Victoria Krylov

Lo faccio una volta all’anno. Una cena ad inviti, nel giorno del mio compleanno, 3 agosto. La data non è un granché. Afa, piena estate, tutti altrove, in vacanza, addio. Non importa. I miei ospiti arrivano comunque. È questione di volontà, la mia. Sono persone care, per motivi diversi, parti di me. Non le disturbo spesso. Quando lo faccio, arrivano. Entrano, si guardano attorno, mi aiutano persino a spadellare visto che la mia cucina piace anche a loro. Parlano, le voci sono onde sonore che rimbalzano tra le pareti, timbri acustici che fanno ritmo, armonia.

Lo scorso anno vennero i miei genitori. Non si vedevano, non li vedevo da anni ed erano commossi, fragili e felici seduti attorno al tavolo. Una cena in famiglia, come una volta, tanto tempo fa. Mia madre fisata con l’ordine, mio padre a borbottare in attesa del dessert.

Oggi ho altri progetti. Ho invitato Gabriel. Non so dire quanti anni avrebbe ora, dovrei fare dei calcoli complicati. Compagno di banco, prima elementare. Ripetente, lui. Da allora insieme sempre, diversi come eravamo, poverissimo lui, figlio undicesimo o tredicesimo di una madre morta presto, di un padre dissennato. Una cucina come questa non l’ha avuta mai e adesso la osserva come si osserva un’astronave. Sfiora e parla: “Quindi “Sei” sta per sei millimetri, lo spessore del marmo, dei piani… Bella. Persino troppo per te”. Gabriel mi ha insegnato tutto, senza volerlo.

È stato il mio specchio, il primo, nel quale misurare fortuna e sfortuna, il valore di una opportunità, il dovere di una responsabilità. È stato “l’altro”, intrappolato dentro guai che mi hanno solo sfiorato. Un portento nella raccolta delle figurine calciatori, nelle battaglie a palle di neve. Poi nel perdere soldi che non possedeva giocando a carte; perdere soldi che non possedeva puntando su cavalli sbagliati. La neve, ecco, ci vorrebbe, nonostante la stagione. In compenso cucinerò per lui aragosta e caviale, gli offrirò champagne o rosso di Borgogna perché non ha mangiato e bevuto mai così.

Ho invitato Ayrton che è bellissimo sempre quando compare nei miei pressi; che ha avuto tutto e quel tutto ha perduto in un attimo, un capriccio cattivo. Arriva, osserva, dettaglio per dettaglio. Felpa e jeans, quell’espressione assorta che mai dimentico. Gabriel non l’ha mai conosciuto. Si piaceranno perché Ayrton ha amato sempre la semplicità, la dignità degli ultimi, la fatica di chi, veloce come lui, non può viaggiare.

Un’anima bella, esposta. Non si vergogna di mostrare l’ombra, un nodo, commozione e sentimenti. A patto – l’ho pregato – di non mettersi a raccontare del suo Dio, con il quale intrattiene rapporti privilegiati al punto da impuntarsi. Dio, il suo, gli dà sempre ragione. Ayrton fa sorridere, mi fece tremare. Polsi, nervi, cervello in frenesia permanente, cercando di comprendere i lampi di quel talento, la dedizione da monaco al lavoro, il coraggio di osare, la ferocia dell’agonista. Il suo menù: fagioli scuri, farofa, salsiccia, pancetta affumicata. Un piatto simile a quelli che gli preparava sua madre Neide a San Paolo, nella casa di Nova Cantareira.

Ho invitato Marc. E’ austriaco di nascita, francese di formazione, milanese di adozione. Non sa che cenerà con Gabriel e Ayrton ma è sveglio, trova sempre i gesti, le parole adatte. Progetta. In continuazione. Lo fa da un sacco di tempo. Scopre sempre il modo di trasformare un sogno in un oggetto, un’idea in uno strumento. Dipinge. È il suo hobby, dice. Quando dipinge, copia. Tele di Francis Bacon. Falsi d’autore. Vuole appenderne uno qui. Benissimo. Opere autentiche: fuori portata, salvo commettere furti clamorosi. Oppure casinò sbancati, eredità milionarie.

Sa che per Bacon ho un debole; sa che vado in pellegrinaggio al 7 di Reece Mews, South Kensington, dove aveva lo studio; sa che per me Bacon, Alberto Giacometti e Samuel Beckett sono compatibili come voci di un coro dolente, straziante, fatale. Figure dipinte, figure narrate nello splendore della miseria umana. Assonanti e destinate. Somiglianti alle nostre. Carl è in arrivo, con la tela grande sottobraccio. Preparo. Una Sacher? Ma no, che banalità. Un rombo, piuttosto, il pesce è geometrico, del resto. Cucinato al sale, con qualche erbetta aromatica. Bene? Forse, ma sì.

Gabriel Barrett se n’è andato quindici anni fa. L’ha portato via quel male che non c’è verso di batterlo davvero. Qui resta, qui viene per farmi compagnia. Ayrton Senna è morto il 1° maggio 1994. Qui torna per ricordarmi il privilegio di averlo incontrato, una intensità alta e drammatica, attraversata insieme. Marc Sadler ha 76 anni, sembra un ragazzo che continua a giocare, che ama curiosare. La mia cucina, questa, l’ha progettata lui e gli devo una gratitudine doppia. Per via della cucina in quanto tale, un privilegio che non merito; per avermi permesso di friggere l’immaginazione, di far bollire i ricordi. Di raccontare, in definitiva, qualche storia. E di invitarlo a cena il 3 agosto. Ammesso che arrivi da Innsbruck, Parigi o dove sarà. Noi, qui, lo stiamo aspettando.   

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