Ultimamente ho pensato molto all’idea di “comfort food”: proprio adesso sono seduta qui con un pacchetto di patatine, gusto “sea salt”. Negli Stati Uniti sarebbero probabilmente “Lays”, ma in Italia non c’è niente di meglio del mio marchio preferito, “San Carlo”. Sembra che “comfort food” sia rispettivamente la nuova descrizione di ciò che probabilmente una volta veniva chiamata “cucina di casa” – quella preparata dalle nostre amate nonne, madri e zie, o magari da un vicino gentile. Era cibo che in passato veniva legato al concetto di affetto e comfort, in poche parole: casa o nostalgia. Tuttavia, non tutti possono dirsi fortunati o abbastanza privilegiati di avere nelle proprie vite qualcuno che li sfami con l’ingrediente più importante in ogni cucina: l’amore. Il termine “comfort food” suggerisce notti piovose, un addio, un giorno difficile, la perdita del lavoro o l’inizio di uno nuovo. Ancora, prepararsi per gli esami, affrontare una malattia o peggio un lutto, o persino qualcosa di innocente come un’unghia rotta o un brutto taglio di capelli – in altre parole, stress.
Bisogna tornare indietro da qualche parte negli ultimi anni ’60 per scoprire quando le persone hanno iniziato a chiamarlo così. Per essere precisi, le prime referenze scritte si trovano nel giornale Palm Beach Post, in un articolo sull’obesità (dipendenza emotiva o cibo come conforto) e successivamente nel 1977 in un articolo del Washington Post in cui ci si riferiva ai fiocchi d’avena e ai fagioli con l’occhio quali «Southern comfort foods». L’Oxford English Dictionary ne inserì una definizione proprio a seguito di quest’ultimo articolo – ecco il potere della stampa. In realtà, il termine riscontrò particolare apprezzamento già nel 1970, quando Liza Minelli lo usò in un’intervista, riferendosi al suo amore per gli hamburger. Pertanto, “comfort food” passò dall’essere un’espressione che richiamava nostalgia, memoria, pensieri legati alla casa, all’amore e al conforto, a indicare qualcosa di glamour e non fonte di sensi di colpa. Venne a significare indulgenza personale e gratificazione, a volte correlata a una certa dose di vergogna.
Ogni cosa è relativa, e così anche il comfort food. Come possiamo determinare che cosa sia “comfort food”? Alcuni studi mostrano che questo può cambiare in base al genere e all’età, ancora di più se pensiamo al background territoriale, religioso, culturale ed etnico di ciascuno di noi. Cosa io penso sia comfort food non sarà quindi sicuramente uguale a ciò che tu, mio lettore, stai pensando. Magari alcuni potrebbero farlo coincidere con globalizzazione e fast food come McDonalds, Burger King e KFC (Kentucky Fried Chicken – Lo specifico in quanto sono particolarmente ossessionata dal Korean Fried Chicken che sta conquistando i palati di tutto il mondo. I soldati americani africani importarono il pollo fritto in quella regione durante la guerra coreana) e tanti altri brand alimentari presenti globalmente.
Vi assicuro che i francesi amano McDonald’s più di quanto ritengo facciano gli americani e non parliamo del numero di KFC che si trovano nelle città italiane (inclusi quelli nei principali aeroporti).
Lasciatemelo dire, se fossi in Giamaica, mi vedreste non solo comprare i più usuali jerk pork o chicken, escoveitch fish o lo stufato di coda di bue con gli gnocchi o le polpette di manzo, anche da KFC perché in Giamaica è incredibilmente delizioso e speziato. Bisogna dirlo, profumi e aromi sono i principali elementi nella scelta del proprio comfort food. Anche il suo essere caldo o freddo, liquido o solido, salato o sapido. Datemi qualcosa con un condimento giamaicano o asiatico e andrò in estasi. Tuttavia, questo non è il caso di coloro che vivono in altre parti del mondo, o semplicemente in una diversa parte del paese, del vicinato o addirittura della stessa casa. Per me comfort food è qualcosa di gustoso, o ancora meglio, qualcosa di caldo e gustoso. Offritemi del riso con un delizioso e sostanzioso sugo di coda di bue o del curry fatto con carne di capra o pollo, o gamberi. E, perché no, una galette con formaggio fuso, fettine di olive e/o di pomodori? Penso che chiunque nel Mediterraneo sceglierebbe la seconda opzione, mentre la prima delizierebbe i palati degli abitanti delle Indie occidentali (i Caraibi britannici). Ma la scelta potrebbe ricadere anche su un caldo patty al manzo (giamaicano) o un pezzo di pizza o un’arancina (italiani sicuramente e a livello mondiale nelle molte altre loro versioni). Qualche francese impazzirebbe per una baguette appena sfornata, ma che diciamo del bagel o della focaccia? Del Naan o della dosa?
Anche il riso ha i suoi fan nel mondo, in alcune zone del Nord Italia è preferito addirittura alla pasta. Ritengo che molti caraibici e italiani adorerebbero un’intera ciotola piena di gamberi, ma i caraibici così come altri cittadini del mondo sentirebbero la necessità di aggiungere un tocco extra di peperoncino. Ci sono quelli invece che reclamano il cioccolato, il gelato o dolci in generale. Non io, mangio dolci solo quando sono insoddisfatta o voglio provare una nuova ricetta. Una fetta di pasticcio di mele caldo con o senza una pallina di gelato alla vaniglia?
Ciò che veramente emerge è che il “comfort food” è una questione di scelta, o meglio di privilegio. Molte persone mangiano per sopravvivere, solo i privilegiati possono permettersi di scegliere. Il consumismo alimentare ha lo status come suo connotato rilevante. Posso scegliere di mangiare dei cibi sfiziosi come i popcorn, le patatine fritte, pane caldo tostato con quintali di burro salato, e ancora riso fritto, parmigiana di melanzane, formaggio grigliato, o un Croque Monsieur. O, se non fossi ancora del tutto sazia e avessi ancora spazio per i dolci, potrei scegliere tra gelato, cioccolato, ciambelle, una varietà di pies e torte tra le molte disponibili. Potremmo optare per il Cinese, Coreano, Giapponese, Thai, Italiano, Francese, Giamaicano, del Trinididad o Guyanese per nominare alcune delle sensazionali cucine di cui possiamo disporre. La questione è se vivere per mangiare o, l’opposto, mangiare per vivere. Il comfort food non ha niente a che fare con il sopravvivere, ma riguarda esclusivamente la gratificazione personale.