I Giamaicani sostengono che la loro terra Cristoforo Colombo l’abbia incontrata e non scoperta. In effetti, nel 1494, la Giamaica era già abitata da 2000 indigeni appartenenti alla popolazione dei Taíno, a quei tempi fortemente radicata in diverse isole caraibiche. Il nome dell’isola, arriva infatti da “Xaymaca” che nell’antico linguaggio significava “terra del legno e dell’acqua”. Non appena messo piede sul rigoglioso suolo giamaicano, gli europei hanno potuto ammirare distese di piante di mogano, assaggiare la frutta endemica come gli ananas (impressi anche nella moneta locale) e il pimento, una bacca simile al pepe. Questa spezia era utilizzata già dai tempi degli Indios per macerare la carne di roditori che abbondavano sull’isola e costituivano parte della loro alimentazione. Proprio da qui nasce il Jerk, una preparazione con cui ancora oggi si macerano le carni di maiale o di pollo prima di cucinarle ben coperte sulla griglia, in modo da mantenere più persistente il sapore delle spezie. Chi volesse assaggiare i migliori Jerk Chicken e Jerk Pork dell’isola, dovrà recarsi a Port Antonio, dove si utilizza il legno dell’albero di pimento per preparare la brace.
“Nuovi” ingredienti da ogni parte del mondo
Tantissimi frutti e specie vegetali che si pensano essere nati in Giamaica in realtà sono arrivati con le diverse dominazioni. Le banane (di cui oggi sono presenti 26 specie differenti) e la canna da zucchero sono state portate dagli spagnoli, i primi colonizzatori dell’isola. Il dominio inglese a partire dal 1670 invece, ha fatto nascere coltivazioni di mango, papaya e albero del pane e dato l’impulso definitivo alla produzione di canna da zucchero, con l’impianto di vaste piantagioni da cui si iniziarono a produrre zucchero e rum. Tra dicembre e gennaio, i campi venivano sferzati dal fuoco in modo da bruciare le foglie e mantenere soltanto il fusto della pianta, tagliato e poi lavorato per estrarre l’acqua e produrre la preziosa melassa.
Un melting pot gastronomico
«La cucina giamaicana ha tanto da offrire grazie al melting pot culturale che nei secoli ha influenzato tutto ciò che viene portato a tavola», racconta l’esperta Virgina Burke nel suo libro “Eat Caribbean”, vera e propria bibbia che raccoglie le più celebri ricette dell’area caraibica. «Se alcune influenze arrivano dall’Europa, altre sono radicate in India, nell’estremo Est Asiatico, ma soprattutto nell’Africa Occidentale. Gli schiavi dirottati nelle “nuove Indie” infatti, portarono con sé okra, zucche e ackee che impiegarono in larga misura quando furono designati cuochi nelle abitazioni più importanti dell’isola, contribuendo a definire il gusto dei West Indians. In più, merluzzo, sgombro e shad (pesce tipico del Nord America) venivano importati a bassi costi per sfamare la schiavitù e divennero la base dell’alimentazione». Da qui è nato ackee and saltfish (baccalà), piatto emblematico della cultura gastronomica giamaicana che unisce pesce e frutta, consumato principalmente a colazione.
Infine, con l’emancipazione degli schiavi, in Giamaica è arrivata forza lavoro dalla Cina, insieme ai mercanti dell’India e del Medio Oriente, suggellando «il mix culturale che è la vera spezia della cucina caraibica», come sostiene Burke. Il curry si è diffuso in quel periodo ed è oggi alla base di un piatto tipico con la capra che si mangia a Natale e del manzo che si prepara principalmente nella costa sud.
Il paradosso del pesce
Nonostante la Giamaica sia circondata dal mare, i piatti di pesce non sono così diffusi nell’alimentazione locale. Il pollo e il maiale sono le proteine principali, spesso accompagnate dal riso con fagioli rossi che viene cotto nell’acqua di cocco. Tra le poche eccezioni ci sono quelle servite dalle “mamy”, signore che, in prossimità dei fiumi, vendono degli sfiziosi gamberetti di acqua salmastra pescati sulle radici delle ninfee. Bolliti e serviti in piccole bustine con condimenti molto piccanti, si accompagnano con la Red Stripe, lager beer locale. L’escoveitched fish (pesce alla scapece) è altresì un piatto tradizionale che prevede di friggere filetti o dentici interi e poi condirli con una salsa piccante. Chi invece vuole assaggiare le aragoste e i pesci appena pescati, potrà fare visita all’isola di Booby Cay, di fronte alla Seven Mile Beach di Negril, dove diverse braci sono attive tutto il giorno per placare la fame di turisti e locali, che arrivano qui a bordo delle proprie barche.
Mangiare come dei veri giamaicani
Per vivere la Giamaica con il vero spirito dei local, è importante sapere che sull’isola si trovano sempre pretesti per fare festa, riunirsi per mangiare e bere insieme, danzando anche per strada. Il cibo, quindi, è un collante per la collettività e viene consumato all’aperto, dove è più facile scavare una buca e preparare la “mannish water”, una tipica zuppa a base di capra (che ne impiega anche la testa).
La colazione è un pasto importantissimo, molto corposo, dove si servono anche rognone e fegato in umido, mentre il pranzo viene spesso consumato velocemente all’esterno poiché si tende a mangiare poco a causa del caldo. Fast food e bancarelle che costeggiano le strade, posizionate davanti alle antiche case coloniali in legno dette “gingerbread”, vengono letteralmente prese d’assalto. «Alla sera, invece, c’è sempre un dutchie sul fuoco, ovvero una grande pentola di metallo, perché le famiglie non escono spesso per cena», sostiene Virginia Burke nel suo libro. «Al sabato è usanza preparare una zuppa con vegetali e avanzi della settimana, mentre la domenica è un momento importante per la famiglia. Ci si riunisce tutti insieme a pranzo, abbastanza tardi, e il cibo viene offerto a chiunque si presenti a tavola, per condividere un momento conviviale».
Per mangiare come dei veri giamaicani, dunque, è necessario iniziare la giornata con il celebre ackee & saltfish, fermarsi per strada all’ora di pranzo per l’accoppiata birra e gamberetti piccanti e, alla sera, chiedere ospitalità a una famiglia giamaicana, per provare le famose zuppe di capra e lasciarsi conquistare dalla bontà del pollo jerk accompagnato da riso e fagioli rossi.
Foto @Penelope Vaglini