Il bar dovrebbe essere, prima di tutto, un luogo di aggregazione. Socialità e qualità del tempo sono dogmi fondamentali per il successo di un locale. Capiamoci bene, il contenuto del bicchiere servito al cliente non può e non deve essere un particolare da non curare, da lasciare al caso. Ma in un locale si va per trovare sorrisi, per passare momenti di piacevolezza in tante forme differenti. Momenti di piacevolezza, già.
Avvicinarsi a un bancone per chiacchierare, divertirsi, assaggiare qualcosa di buono. Il “tavolo di lavoro” moderato da Carlo Carnevale (citofonare numero 18) si è soffermato proprio su questo “oggetto d’arredamento” imprescindibile per un locale, vero e proprio bar-icentro (e scusateci il gioco di parole). È lì che il barman ha la sua postazione di lavoro, è lì che partorisce le proprie creazioni, è lì che crea il contatto più diretto con la clientela. È lì, insomma, che può dare spazio a tante sue qualità. Ma è anche fondamentale “arredarlo” nel migliore dei modi per far sì che, da ambo i lati ci si possa sentire a proprio agio. Chi ospita, e che quindi passa tante ore all’interno della propria “station”, ha bisogno di poter lavorare agilmente e al tempo stesso di potersi relazionare alla medesima altezza del cliente. Chi viene ospitato ha invece l’esigenza di avere tante piccole comodità ed essere facilitato nel processo di ambientamento.
Nulla dovrebbe essere lasciato al caso, ove possibile. Studi di architettura a cui trasferire le proprie esigenze prima di ritrovarsi un bancone a misura di barman, ganci per appendere la giacca, power bank per la ricarica dei diversi dispositivi elettronici, zoccoletto salvagoccia, pedana che flette per preservare schiena e ginocchia di chi serve.
C’è chi, soprattutto nel nostro Paese, attribuisce un valore negativo al bancone, visto da qualcuno come luogo solitario, alle volte un po’ cupo. Concetto che va in controtendenza con quanto è possibile apprezzare in tanti locali di successo del momento. Come dice il tema del tavolo, è questa la rivoluzione dei cocktail bar.
«Al bancone ho visto nascere amicizie, finire storie d’amore», afferma Davide Castelli del Pinch di Milano. Certo, è dovere di ciascun barista anche fare da “moderatore” di ciò che accade: «C’è però anche qualche cliente che ha un approccio fastidioso; all’estero vieni anche cacciato per qualcosa del genere mentre in Italia si tende di più a lasciar correre. Ma è fondamentale che chiunque entri trovi un ambiente in cui si senta sicur*. Importante anche stimolare i più timidi».
Al Baxter Bar di Milano, e in precedenza al Paloma di Monza, Giovanni Liuzzi raccomanda capacità di leggere le situazioni. «Tutti vogliono stare bene, ma c’è chi preferisce rimanere tranquillo e invece chi ha piacere di parlare. La clientela è sempre diversa, chiedo a chi prende le ordinazioni di interpretare le dinamiche e di essere pronto, se ce n’è la possibilità, anche di sedersi al tavolo per qualche chiacchiera o di agevolare i rapporti tra i diversi individui».
Un bancone interattivo, come succede al Rita’s Tiki Room di Milano, come racconta Matteo Venturi: «Il nostro è un contesto conviviale, è fondamentale soppesare le situazioni». Esperienze diverse per Raffaele Albanese, bar manager di Botanical Bar a Villa Lario: «Il bar è socializzazione a tutto tondo, da noi l’ambiente non è strettamente vincolato al bancone. Anche la scelta del light design ha una sua valenza».
Per creare interazione sono importanti anche piccoli espedienti che generano interesse, interazione tra le persone e fidelizzano. Idea con rapporto spesa/resa altissimo per Francesco Avagliano: «Avevamo comprato alcuni rompicapo e in molti ci si cimentavano. C’era chi rimaneva anche un’ora in più, consumando un ulteriore cocktail a fronte di un investimento di qualche euro. Qualcuno lo portava perfino a casa, per poterlo risolvere», generando quindi la voglia di tornare. Stesso posto, stesso bar e anche stesso passatempo, verrebbe da dire. “Tricks” usate anche da Pierpaolo Portogallo a Firenze, da Edoardo il Gelato Biologico, che serve coni fatti in casa take-away: «Scegliamo sempre qualche “gusto caramella”, o per il nome o per la composizione. Stimolano il cliente a chiedere, a interagire. Chi sta al bancone deve essere preparato a raccontare, ad approcciare nel modo corretto e per questo abbiamo anche fatto delle lezioni con una psicologa per sapere come gestire le situazioni più disparate che si presentano in gelateria».
Ci vuole progettualità, importante non lasciare che sia l’ambiente esterno a decidere il successo del bar. Fondamentale, in un mare magnum di offerta, favorire la percezione della qualità del lavoro del barista e, in generale, di un locale. È un lavoro che spetta ai tantissimi attori della “filiera”, ma sta a chi serve cocktail far capire la differenza di prodotti e mixology. «Sul gin è stata fatta informazione e la clientela è disposta a spendere per bere un prodotto di qualità migliore» afferma Liuzzi, «Ciò invece non avviene su altri tipi di prodotto». «Il menu è un grande strumento per la riconoscibilità della qualità – gli fa eco Albanese – ma nei locali di lusso non è sufficiente, c’è bisogno di raccontare e spiegare».
Paolo Bollani, co-fondatore di Milan Bartender Community, fa presente che spesso il cliente «non conosce alternative», ricalcando il concetto espresso dai colleghi. Purtroppo, però, subentra anche altro, come rimarcano Fabio Maroni e Martina Azzalin di Ultimo a Varese: «Importante fare cultura, ma spesso è anche questione di moda del momento». La ricetta? Secondo Portogallo è «Formazione, dei dipendenti, e trasparenza, nel preparare e presentare i propri prodotti». E anche passione e dedizione, come sottolinea Ambrogio Ferraro, titolare di Bar is the name, a Busto Arsizio, concetti che predica anche con il suo staff, tutto giovanissimo. «Più o meno tutti ventenni, impiegati 6 ore al massimo con 2 giorni consecutivi di libertà. Mi do un limite di utile da raggiungere e non faccio più di quello che devo. È importante che l’ambiente sia sereno e piacevole, ai miei ragazzi dico di essere sé stessi e di far valere le proprie qualità nei rapporti con il cliente».
«Bancone o non bancone?», quindi, non deve essere il dilemma su cui i barman si devono arrovellare. Ognuno ha la propria filosofia: chi sogna un locale tutto bancone e chi invece ne fa tranquillamente a meno. Decisamente più importante è, seppur con sfaccettature ovviamente differenti, avere il medesimo concetto di ospitalità, di calore dell’accoglienza, di coinvolgimento, di qualità della comunicazione. Eliminare le barriere costruite negli ultimi anni tra i due lati del bancone, smitizzare il ruolo del barman per dargli, paradossalmente, maggior valore. Un luogo come il bar, che in passato aveva un forte valore sociale in paesi e quartieri, è chiamato a un ritorno alle origini che possa aumentare la qualità dell’esperienza vissuta dagli avventori e far rivivere il senso di comunità.