Folate di speranzaLa resistenza ucraina passa anche dall’energia eolica

Durante la guerra, Kyjiv ha installato più turbine onshore di tutto il Regno Unito. Gli impianti che sfruttano la potenza del vento, non a caso, risultano più resistenti ai bombardamenti rispetto alle centrali elettriche. Così, centinaia di famiglie non restano al buio e il Paese può permettersi di non accantonare la transizione verde

Fonte: dtek.com

«L’Ucraina ha una storia secolare di produzione di petrolio e gas, e possiede notevoli riserve di idrocarburi. Allo stesso tempo, ha un grande potenziale a livello di energie rinnovabili, ma rimane in gran parte inutilizzato». Recita così il “profilo energetico”, redatto dagli esperti dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), riferito al Paese che nel febbraio 2022 è stato invaso e attaccato dalle forze militari russe. 

Prima della guerra, stando ai dati di fine 2020 del Center for strategic and international studies, circa il dodici per cento dell’energia ucraina proveniva da fonti rinnovabili e non dannose per il clima. Una cifra senza dubbio contenuta (la media dell’Unione europea supera il venti per cento), ma frutto di una crescita che, passo dopo passo, ha visto il mix elettrico di Kyjiv diventare sempre più eterogeneo.

Nel 2018, sostiene l’Iea, nessuna fonte soddisfava singolarmente più del trenta per cento del fabbisogno energetico nazionale, con il carbone ancora in testa ma per la prima volta sotto quella soglia. Sui gradini più bassi del podio figuravano invece il gas naturale (ventotto per cento) e il nucleare (ventiquattro per cento). L’Ucraina, ricordiamo, è il settimo produttore su scala globale di elettricità derivante dall’atomo. 

Per quanto riguarda le rinnovabili, la quota del 2009 era leggermente superiore al tre per cento. Il dodici per cento del dicembre 2020 testimonia quindi un miglioramento che è stato bruscamente interrotto dall’invasione di Mosca. Kyjiv aveva l’obiettivo arrivare al venticinque per cento entro il 2035, allineandosi alle eccellenze continentali e alle ambizioni green dell’Unione europea, ma la transizione energetica è inevitabilmente passata in secondo piano. 

In quindici mesi, la Russia ha lanciato droni esplosivi e missili contro dighe e centrali elettriche, con lo scopo di lasciare il maggior numero di ucraini al buio. Un grosso aiuto nel breve periodo, ma anche in ottica di ricostruzione post-bellica, potrebbe fornirlo l’energia eolica, che si sta rivelando (e, auspicabilmente, si rivelerà) un asset strategico per reagire ai bombardamenti russi e ripartire con meno fatica al termine degli scontri. Nel 2018, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, l’Ucraina aveva all’attivo solo sedici progetti incentrati sull’energia del vento, per un totale di 532,8 megawatt di capacità installata. In questi mesi, però, si stanno costruendo le basi per un’accelerazione. 

Fonte: iea.org

Mentre un singolo missile può compromettere definitivamente il funzionamento di una centrale elettrica convenzionale, le centrali eoliche (ma anche quelle solari) appaiono più resistenti in tempi bellicosi: servirebbero dieci, dodici o quindici ordigni per distruggere un’intera infrastruttura che converte in elettricità la forza del vento, dato che le pale sono ben distanziate tra loro e possono anche superare i cento metri d’altezza.

Un parco eolico può essere momentaneamente disattivato per via dei danni a una sottostazione di trasformazione o alle linee di trasmissione, ma i processi di riparazione sono molto più semplici e rapidi rispetto alle centrali elettriche. Anche per questo motivo, nemmeno negli ultimi quindici mesi hanno smesso di costruire. Da quando è iniziata la guerra, l’Ucraina ha installato più turbine eoliche onshore di tutto il Regno Unito. 

Lo dimostra il caso virtuoso (ma non isolato) di DTEK Group, la più grande azienda privata ucraina che opera nel settore dell’energia. Fondata nel 2005, sta facendo parlare di sé sui quotidiani di tutto il mondo per aver costruito – stando a quanto annunciato sul loro sito – «l’unico parco eolico nato in una grande zona di conflitto», sorto grazie a un investimento di duecento milioni di euro. DTEK ha tolto il velo all’impianto il 22 maggio, che sta già iniziando a portare elettricità pulita nelle case e nelle aziende della zona. La centrale è stata inaugurata in un clima di festa e “semi-normalità”, tra tavoli da picnic colmi di cibo e bevande, diplomatici e politici elegantissimi e giornalisti da diverse zone del Paese.  

Ci stiamo riferendo alla centrale eolica di Tyligulska, situata nella regione meridionale di Mykolaiv, a circa circa novantacinque chilometri dall’artiglieria russa. Nonostante i rischi, molti esperti pensano fermamente che possa portare dei vantaggi in termini di approvvigionamento energetico. 

Al momento il parco eolico si trova nella sua “fase uno”, caratterizzata dalla presenza di diciannove turbine – costruite dall’azienda danese Vestas – sufficienti per fornire elettricità a circa duecentomila famiglie l’anno. La capacità installata è di centoquattordici megawatt, capaci di generare fino a trecentonovantamila kilowattora di energia. L’obiettivo è arrivare a quota ottantacinque turbine in grado di produrre fino a cinquecento megawatt di elettricità da distribuire in cinquecentomila appartamenti. È una cifra notevole per una singola centrale eolica, che potrebbe diventare la più grande dell’Europa orientale. 

La prima turbina del parco di Tyligulska risale al febbraio 2022, il mese dell’invasione russa. La costruzione dell’intero impianto è poi entrata in una fase di congelamento, ma ad agosto – complice l’iniezione di fiducia dovuta ai successi dell’esercito ucraino – il direttore di DTEK Group ha chiesto al capocantiere Evheniy Moroz di riprendere i lavori nonostante l’assenza di investitori e appaltatori internazionali. Questi, nel frattempo, avevano lasciato l’Ucraina assieme a tutte le attrezzature necessarie.

Oleksandr Selyshchev, direttore dei progetti sull’energia rinnovabile di DTEK Group, ha spiegato al Washington Post le difficoltà in termini di reperimento della manodopera: «Gli appaltatori stranieri coinvolti non riuscivano neanche a inviare i loro lavoratori nella zona di guerra. L’Ucraina, quindi, ha dovuto collaborare con le aziende per insegnare agli operai locali a svolgere gran parte delle operazioni». 

I cantieri sono ripartiti anche grazie al “piccolo drago”, il nomignolo che gli operai di DTEK hanno assegnato alla gru malmessa che è stata velocemente riparata e utilizzata. Costruire in tempi di guerra non è ovviamente semplice: gli addetti lavorano in zone molto esposte e vicine alla linea del fronte, e spesso devono interrompersi sul più bello e rifugiarsi nei bunker a causa delle sirene antiaeree.

Le navi del Cremlino, direttamente dal Mar Nero, hanno spesso lanciato dei missili da crociera a quote più basse rispetto all’altezza delle pale eoliche, ma finora non ci sono stati particolari intoppi: «È la nostra risposta ai russi. Il vento, al momento, per noi è la fonte di energia più sicura e redditizia», ha detto Maksym Timchenko, amministratore delegato del gruppo DTEK, al New York Times.

Secondo gli analisti energetici ed economici, la vera transizione verde dell’Ucraina dovrà comunque attendere l’inizio della ricostruzione successiva alla guerra. Il motivo? Le zone più ventose e soleggiate, perfette per costruire impianti eolici o solari, si trovano in gran parte nelle aree occupate dai russi o nei pressi dei territori in cui i due eserciti combattono.

Le pale eoliche erette negli ultimi mesi servono per tamponare i danni alle centrali elettriche tradizionali, fornire elettricità (pulita) immediata e dare un segnale importante a Mosca e al mondo. Inoltre, costituiscono una buona base per ripartire con slancio al termine degli scontri. Una turbina alla volta, per guardare al futuro con un po’ più di fiducia.

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