Semestre crucialeLe politiche ambientali europee sono in balìa dell’estrema destra svedese

La piena applicazione del Fit for 55 e di una serie di politiche comunitarie pro-biodiversità dipende anche dalle azioni del governo svedese, ostaggio di un partito populista guidato da un negazionista climatico. Il rischio di un passo indietro rispetto alla presidenza ceca è concreto

Una foresta a Gävle, in Svezia (Unsplash)

Oltre alla guerra in Ucraina, il clima – connesso alla sfida energetica – sarà uno dei temi chiave del percorso della Svezia alla presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Stoccolma è chiamata a dare continuità al buon semestre della Repubblica Ceca, ma le pressioni e le influenze dei partiti populisti di estrema destra potrebbero ostacolare le ambizioni verdi di Bruxelles. 

Nel 2022, l’Unione europea si è accordata su circa la metà delle proposte presenti nel Fit for 55, il pacchetto di misure della Commissione europea per ridurre le emissioni di gas serra nell’Unione del cinquantacinque per cento entro il 2030. L’operato della Svezia sarà quindi essenziale nell’ottica di approvare e consegnare la seconda metà dei punti dell’agenda green dell’Ue. 

«Congratulazioni alla Svezia per la sua ambizione nel concludere i negoziati su una legislazione fondamentale per il Green deal europeo. Dopo i progressi dello scorso anno, Stoccolma può guidarci in quest’ultimo tratto: sono fiduciosa. Questi obiettivi sono importanti sia in ottica climatica, sia per la nostra competitività», ha detto il 13 gennaio Ursula von der Leyen, reduce dalla presentazione di un’iniziativa legislativa finalizzata alla promozione delle aziende a basso impatto ambientale. Si tratta di un’importante risposta europea al maxi piano di sussidi verdi di Biden (l’Inflation reduction act), giudicato eccessivamente protezionistico e quindi potenzialmente dannoso per l’industria del nostro continente.

La novità illustrata a Davos è stata accolta positivamente anche dal primo ministro svedese Ulf Hjalmar Kristersson: uomo di destra, membro di un partito liberal-conservatore (il Partito moderato) e che ha deciso di non governare assieme ai Democratici svedesi (populisti di estrema destra). Questi ultimi, quindi, non fanno parte dell’esecutivo e non hanno ministri, ma sono all’interno della maggioranza e hanno un potere di ricatto in Parlamento: l’operato del governo è appeso anche ai voti dei Democratici svedesi, che possono influenzare l’agenda di Kristersson. 

«Se le aziende europee devono produrre energia e fabbricare batterie, auto elettriche e acciaio fossil-free, hanno bisogno di buone condizioni per competere», ha detto il primo ministro in riferimento al piano industriale green della Commissione europea. 

Come abbiamo spiegato in questo articolo del 31 dicembre, il programma del governo di Kristersson è condizionato dai Democratici svedesi anche in termini climatici-ambientali. Qui la premessa è doverosa: la Svezia è un Paese dalla fama green e tradizionalmente all’avanguardia dal punto di vista delle politiche ecologiche. Stando ai dati ufficiali del 2019, lo Stato scandinavo è tra quelli che emettono meno gas a effetto serra (50.920 chilotonnellate in un anno contro le 418.281 dell’Italia), responsabili del riscaldamento globale. 

Fonte: Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici | europarl.europa.eu

Si tratta di un risultato dovuto specialmente a una crescita rinnovabile iniziata con largo anticipo rispetto alla maggior parte degli Stati membri. Già nel 2011, la Svezia generava più del cinquanta per cento della sua elettricità grazie a fonti di energia pulita. Il dato del gennaio 2023 supera il settanta per cento, mentre per l’Italia è lievemente superiore al quaranta per cento. 

Nella prima metà del 2022, il Paese è diventato il principale esportatore netto di elettricità in Europa. Merito delle rinnovabili (idroelettrico in primis), certo, ma anche del nucleare e dei biocarburanti. Nei prossimi anni, l’obiettivo di Stoccolma è crescere nella produzione di energia eolica, spesso frenata dalle proteste dei cittadini preoccupati dell’impatto delle pale eoliche sul paesaggio (un problema che viviamo anche in Italia). Se in Europa il target della neutralità carbonica è fissato al 2050, in Svezia è ufficialmente al 2045. Risultati e ambizioni indiscutibili. 

Come anticipato, però, le attuali politiche ambientali del governo svedese appaiono blande e sgonfiate dall’influenza dei Democratici svedesi di Jimmie Åkesson, nazionalista e negazionista climatico. Parliamo dell’unico partito svedese a opporsi alla ratifica dell’Accordo di Parigi nel 2016. Una forza politica che, nel 2022, ha proposto la riduzione del quarantuno per cento dei finanziamenti per la «conservazione generale dell’ambiente e della natura». 

I Democratici svedesi si nascondono dietro i buoni risultati di Stoccolma in termini di emissioni, credono che le misure climatiche debbano andare di pari passo con le ambizioni economiche statali (ma in piena crisi climatica è un equilibrio non più sostenibile) e ritengono ingiusti gli sforzi richiesti alla Svezia per allinearsi alle politiche di transizione ecologica di Bruxelles.

L’exploit del partito populista di estrema destra alle ultime elezioni è una notizia poco incoraggiante non solo per il clima e l’ambiente della Svezia, ma di tutta l’Unione europea. I partiti di opposizione continuano ad accusare l’esecutivo di aver ridotto le ambizioni climatiche del programma semestrale, soprattutto a causa dell’influenza dei Democratici svedesi (alle elezioni hanno ottenuto il 20,5 per cento, crescendo di circa tre punti percentuali rispetto al 2018). 

Secondo Euractiv, il partito di Jimmie Åkesson sarà interpellato dal governo anche su questioni estranee all’accordo di coalizione: tra queste ci sono un regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi e un programma per favorire il ripristino della biodiversità. Una delle quattro priorità della presidenza svedese dell’Ue è l’attuazione della transizione ecologica come risposta alla «sfida climatica globale», ma i rischi di un passo indietro rispetto al semestre della Repubblica Ceca non sono irrisori. 

Come se non bastasse, i timori attorno all’immobilismo climatico del partito di Åkesson stanno facendo riemergere una serie di “ambiguità verdi” della Svezia, che settimana scorsa ha annunciato la scoperta del più grande giacimento di terre rare – fondamentali nella produzione di batterie e di pannelli solari – in Europa (ma un modo davvero sostenibile per estrarle non esiste). 

In termini ambientali, il principale punto debole di Stoccolma si chiama deforestazione. Il settanta per cento del Paese è ricoperto da foreste, capaci di assorbire cospicue quantità di anidride carbonica. Queste distese di alberi e vegetazione fanno respirare non solo la Svezia, ma una porzione rilevante del nostro continente. Per questo motivo, diversi eurodeputati svedesi sono fermamente contrari alle politiche comunitarie per la gestione forestale: temono che Bruxelles se ne approfitti e non vogliono interferenze.

La Svezia, durante i suoi mesi di presidenza del Consiglio dell’Unione europea, dovrà dedicare attenzione ed energie alle misure comunitarie sulla selvicoltura, che racchiude le attività mirate al controllo e alla gestione delle foreste. Tra queste citiamo la proposta di una nuova certificazione sull’assorbimento di carbonio e un piano di monitoraggio dei polmoni verdi sul territorio europeo.

Stoccolma ha però un tasso di deforestazione superiore al sei per cento (tra i più alti d’Europa). Come sostengono gli attivisti ambientali, il governo svedese potrebbe sorvolare su tutti gli interventi potenzialmente dannosi per il settore forestale nazionale. Quest’ultimo, come si legge su Politico Europe, rappresenta circa il dieci per cento dell’economia statale: un bottino a cui il governo di Kristersson – influenzato dal nazionalismo dei Democratici svedesi – non vuole rinunciare. 

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