Anche un moderato innalzamento del livello del mare, una delle conseguenze più note della crisi climatica, può rappresentare uno stress sufficiente a innescare terremoti con una magnitudo fino a 4,5. Lo evidenzia uno studio pubblicato all’inizio del 2023 sulla rivista Geophysical research letters. Gli scienziati hanno monitorato per sei mesi l’attività sismica e le fluttuazioni del livello del mare nella penisola di Armutlu, cioè quella porzione di territorio della Turchia che si estende nel mar di Marmara.
L’innalzamento del livello del mare registrato in questa zona è stato di massimo 0,8 metri, ma già capace di aumentare significativamente la probabilità di terremoti. L’effetto risultava amplificato durante l’inverno, quando l’oscillazione delle acque era maggiore. Secondo la prima autrice dello studio, Patricia Martínez-Garzón, è un segnale del fatto che basta un «piccolo calcio» per rompere le faglie in quest’area.
Le faglie sono le fratture tra le placche tettoniche, ossia le porzioni di terra rigida che compongono la crosta terrestre. Le placche si muovono in modo lento, inesorabile e impercettibile per l’essere umano, ma quando questo movimento causa una deformazione tale da raggiungere il carico di rottura, istantaneamente si libera energia sotto forma di onde e si genera il terremoto.
«L’aumento del livello del mare cambia le condizioni e rende più facile che si arrivi a questa situazione di rottura», commenta Luca Guerrieri, dirigente tecnologo dell’Ispra ed esperto di geologia dei terremoti e rischi naturali. «Le rocce sono sottoposte a uno stress che continua ad aumentare e ogni tanto, per accomodare la deformazione, si deve liberare energia sotto forma di onde. È un processo inevitabile».
La correlazione tra aumento del livello del mare e terremoti, spiega Guerrieri, non significa però che zone che non sono a rischio sismico lo possano diventare. Quello che è stato notato, invece, è che faglie che si sarebbero riattivate naturalmente ogni dieci, cinquanta o cento anni, ad esempio, potrebbero farlo prima del previsto o più di frequente in seguito allo stress rappresentato dalla variazione, anche minima, del livello del mare.
«Lo studio è condotto nel mar di Marmara, una zona che, indipendentemente dal livello mare, è comunque caratterizzata da una sismicità importante. Con l’innalzamento delle acque potrebbe aumentare la frequenza di terremoti minori, ovvero potrebbero verificarsi terremoti piccoli più di frequente».
Lo studio di Geophysical research letters parla in effetti di terremoti fino a 4,5 di magnitudo. La magnitudo è la stima dell’energia sprigionata da un terremoto nell’ipocentro, il punto in cui la crosta terrestre si frattura: solo quando è pari o superiore a 4,5 il terremoto è abbastanza forte da essere registrato dai sismografi di tutto il mondo. Il grave evento sismico che si è verificato lo scorso febbraio in Turchia e Siria, invece, aveva magnitudo 7,8: l’Oms lo ha definito il peggiore disastro naturale dell’ultimo secolo nell’area europea.
L’innalzamento del livello medio del mare è notoriamente una delle conseguenze della crisi climatica. Al momento assistiamo a un aumento medio di circa 3,2 millimetri all’anno, ma sta accelerando. Se dal 1880 a oggi si stima che il livello del mare sia salito di venti centimetri, un rapporto della National oceanic and atmospheric administration relativo agli Stati Uniti ha previsto un ulteriore innalzamento di circa trenta centimetri già entro il 2050.
Le probabili conseguenze sono serie: dall’aumento di inondazioni all’erosione delle spiagge, fino alla scomparsa di alcune isole e, come appunto evidenziano gli scienziati, al possibile innesco di terremoti nelle zone sismiche. «Sicuramente tutti i modelli devono necessariamente aggiornarsi tenendo in considerazione il fatto che il livello dei mari crescerà», conclude Guerrieri. «Spesso i terremoti avvengono in mare e scatenano uno tsunami, ma se il livello del mare è già cresciuto ciò può diventare ancora più problematico».