Chiudo il giro di incontri, e quindi anche questo viaggio tra i Democratici per capire dove va il Pd, parlando con Giorgio Gori, riformista, sindaco di Bergamo, sostenitore di Bonaccini alle primarie e dal marzo scorso membro – per la prima volta – della Direzione nazionale del Pd. È alla fine del secondo mandato, nel 2024 potrebbe candidarsi alle Europee. Com’è questo Pd a guida Schlein? «Credo che valga la pena non avere troppi pregiudizi e restare con la mente aperta, cercando di prendere tutto il buono che c’è in questa fase. Poi vedremo se si riuscirà a fare sintesi delle diverse sensibilità, se Elly aggiungerà concretezza alla sua spinta ideale, se ci si sentirà a casa oppure no. Su molti contenuti le mozioni del resto convergevano, anche se non su tutti. È vero che c’è una quota di attivisti, sostenitori di Schlein, che ha vissuto la vittoria delle primarie con un sentimento di rivincita – non si sa bene di cosa – con i quali non è detto che sia facile convivere, ma vedo anche delle opportunità».
C’è anche in Schlein un’idea di rottamazione? «Sì, ci sono dei punti di somiglianza con quello che accadde nel 2012-2013 con Renzi. Ovviamente, stiamo parlando di fronti diversi, di gente diversa. Anche quella di Renzi era però, in parte, un’apertura a mondi che per la prima volta votavano Pd e che vennero a votare Matteo senza essere iscritti. Gli permisero di fare un ottimo risultato alle primarie nel 2012 e di vincerle l’anno dopo. Stavolta è successa più o meno la stessa cosa, su un diverso fronte politico; non possiamo quindi prendercela troppo con le regole e con l’apertura all’esterno; eravamo noi, al tempo, ad invocare l’apertura quando i bersaniani volevano limitare il voto ai soli iscritti. Ovviamente la direzione politica oggi è diversa, esiste il rischio che il Pd si consegni ad una dimensione puramente identitaria, con tratti di massimalismo. Ma vedo anche del buono».
Ovvero? «Penso che Schlein sia riuscita ad accendere l’attenzione di pezzi di elettorato – a partire da molti giovani – che sentivano il Pd come qualcosa di polveroso e distante dalla propria sensibilità. Ho l’impressione che questi pezzi di società abbiano visto in lei – in lei prima che nelle cose che dice – una nuova ragione di interesse per il Partito democratico. Mi ci ha fatto riflettere mia figlia Benedetta, con la quale parlo volentieri di politica. Ha 26 anni, vive tra Londra e Cagliari, e mi ha fatto notare che molti suoi coetanei non sarebbero andati a votare alle primarie del Pd se non ci fosse stato questo scarto, questo cambio di passo. Di fronte alla ‘radicalità’ che tende a semplificare ciò che è complesso, e della quale per questo istintivamente diffido, mi ha detto, con aria saggia: ‘Guarda che serve. In campagna elettorale è naturale, e anche se sei all’opposizione. Devi dire cose chiare e che restino impresse. Per sfumare sei sempre in tempo, pensa alla Meloni’. Ora, non è proprio la stessa cosa. Un presidente del Consiglio si deve confrontare con il governo, con le compatibilità di bilancio, con le regole europee, con tutta una serie di vincoli, che invece non ha la leader di una forza d’opposizione. Non penso quindi che lo scarto tra la Elly Schlein della campagna congressuale e la Elly Schlein segretaria del Pd sarà così marcato. Ma un po’ di scarto, un po’ di concretezza, dal mio punto di vista è certamente auspicabile e penso che ci sarà. Nel suo primo intervento all’Assemblea nazionale, a marzo, non ho trovato contenuti non condivisibili. Semmai alcune omissioni – il tema dello sviluppo, la centralità delle imprese – che il successivo intervento di Bonaccini ha provveduto a colmare. Tanto da farmi pensare, con uno slancio di ottimismo, che al di là della retorica dell’unità sia possibile lavorare per integrare i punti di forza dell’una e dell’altro, riguadagnare una forte carica ideale, una vivacità che il Pd aveva oggettivamente smarrito, e non perdere però la connessione con la realtà. Elly Schlein può portare freschezza ed energia. Se nel contempo riusciamo a costruire una relazione forte con i ceti produttivi – che per me è irrinunciabile – attribuendo il giusto peso al tema della crescita e della creazione di ricchezza, oltre che a quello fondamentale della redistribuzione, magari ne viene fuori qualcosa di buono. Certo, andranno superati i settarismi che intravedo in alcune componenti della sua constituency, sperando che non prevalgano. Dipende da lei. Mi sono soffermato a guardarla, ad osservare i suoi gesti, come si muove e come parla con le persone, e mi dà l’idea di una persona con una bella umanità. Mi pare anche sufficientemente accorta da evitare d’essere troppo divisiva. Insomma, vedo anche cose positive. Nel frattempo, sinceramente, non trovo vere motivazioni per guardare fuori dal perimetro del Pd; con tutto il bene che posso volere a Carlo Calenda e Matteo Renzi, non mi sento attratto dal Terzo Polo. Ne percepisco l’instabilità, legata alle personalità dei due leader, e non me ne convince la pretesa terzietà, soprattutto in un quadro maggioritario. Mi sembra insomma una costruzione meno solida e con prospettive più incerte del Pd, con tutti i suoi limiti».
Ma perché Stefano Bonaccini non ce l’ha fatta? «L’idea che mi sono fatto – lo dico sapendo che non avrei saputo fare meglio – è che abbia pensato di poter vincere le primarie mettendo insieme tanti pezzi; che però, proprio perché erano tanti e diversi tra loro, non era facile condensare intorno a una posizione sufficientemente netta e riconoscibile. Se tieni dentro Brando Benifei e Vincenzo De Luca, il sottoscritto e Michele Emiliano, e in più vuoi evitare di scoprirti a sinistra, il rischio è che la proposta manchi di incisività. A tratti Stefano è parso un po’ timido, desideroso di smussare, preoccupato di non scontentare più che di convincere. Durante la competizione ho pensato che facesse bene; col senno di poi credo invece che posizioni più nette avrebbero più facilmente innescato la passione e la mobilitazione di cui ci sarebbe stato bisogno, e che invece sono mancate. A vantaggio di Elly, e a ulteriore riprova della sempre maggiore personalizzazione della politica, penso poi che abbia giocato anche il suo essere giovane e donna, il suo essere empatica e vivace: tutte cose che possono certamente essere giudicate superficiali e che anzi certamente lo sono, ma che hanno contribuito alla sua affermazione. Fisicamente, e anche la fisicità nella politica di oggi ha un peso, com’era stato a suo tempo per Renzi, lei era più attrattiva. Sul piano dei contenuti non ho mai avuto dubbi: stimo Stefano Bonaccini da molto tempo e penso che sarebbe stato un ottimo segretario del Pd; ho condiviso i contenuti della sua mozione. Di Elly Schlein ho invece pensato più volte, ascoltandola durante la campagna congressuale, che eccedesse negli slogan, che dicesse il ‘cosa’ ma non il ‘come’, che mancasse cioè della concretezza che per me, che faccio il sindaco, è una condizione imprescindibile per essere credibili. Un tema che la caratterizza, assolutamente condivisibile, è il contrasto delle disuguaglianze e alla precarietà. Ma cosa vuol dire, concretamente? Puoi ragionare sulla redistribuzione senza preoccuparti della creazione di ricchezza? E questa da dove viene, se non dal lavoro e dalle imprese? Le due cose devono stare insieme. E come promuovi la competitività delle imprese se non attraverso l’innovazione e la qualità del capitale umano? Però forse ha ragione mia figlia e questa ossessione del pragmatismo che mi viene dal lavoro che faccio è un po’ eccessiva; e quando sei nella fase di costruzione del consenso puoi anche permetterti di lasciarla un attimo da parte. O meglio, resta imprescindibile se ti candidi a fare il sindaco. Ma magari non è necessaria quando ti candidi a fare il leader di una forza politica che è alla ricerca di una sua identità e di una nuova spinta. Persino la presenza di tanta vecchia classe dirigente dietro Schlein, da Franceschini a Orlando e Zingaretti, è stata oscurata dalla novità e dalla fisicità di Schlein».