Ci proponiamo di porre in risalto i dati più significativi rilevati dal Kiel Institute relativi agli aiuti militari all’Ucraina e di trarre da questi dati osservazioni, valutazioni e letture. I dati pubblicati pochi giorni fa sono i più completi che si possano trovare e sono aggiornati al 31 maggio. I Paesi della Nato e Unione europea, in quasi diciassette mesi di guerra, hanno sostenuto politicamente la resistenza ucraina, con intensità sempre maggiore, rafforzando un’unità di intenti sorprendente nell’obiettivo di liberare i territori invasi. La drammatica iniziativa di Putin ha finito per rilanciare la Nato e l’integrazione europea.
Non sempre la crescente determinazione politica ha avuto però un seguito nel sostegno militare, che appare ancora insufficiente, in primis da parte dei Paesi Ue rispetto all’invasione di un prossimo proprio membro. Supporto che ha evidenziato un apparato industriale-militare europeo sì potente, ma non del tutto pronto ad affrontare tale emergenza. Il supporto risente inoltre di un’Unione militarmente non ancora sufficientemente coordinata.
In questo quadro si è comunque andata assopendo la verve pacifinta di una parte ancora consistente dell’opinione pubblica, a partire da quella italiana: recenti sondaggi segnalano una crescita dei connazionali favorevoli all’invio di armi.
L’impegno militare dei Paesi Ue avviene sia attraverso accordi bilaterali – forniture e finanziamenti per un valore di 22,4 miliardi – che attraverso lo European Peace Facility, strumento dell’Unione che ha messo a disposizione 5,6 miliardi di euro di finanziamenti per l’acquisto di armamenti a disposizione dell’Ucraina. iI Parlamento europeo ha inoltre dato il via libera all’Asap (Act in Support of Ammunition Production) per aumentare la capacità produttiva europea di materiale bellico da inviare a Zelensky.
Il sostegno complessivo Ue corrispondente, dunque, a ventotto miliardi – il 34,8 per cento del valore di tutta l’assistenza militare assicurata agli ucraini -, ma, al 31 maggio, era ancora largamente inferiore a quello dei soli Stati Uniti che hanno supportato Zelensky con armamenti di valore pari a 42,8 miliardi di euro, seguono Regno Unito (6,6), Canada (1,5) e Norvegia (uno).
Nel periodo febbraio-maggio 2023 sono, globalmente, stati inviati aiuti militari all’Ucraina per un valore di 9,8 miliardi di euro. La parte del leone l’ha fatta nel periodo la Germania del socialdemocratico Scholz, con forniture per 4,2 miliardi, mentre si registra una frenata degli Stati Uniti. Nell’ultimo periodo 2022, il valore del supporto militare è stato però ben più consistente, pari a 24,9 miliardi, ma questo è dovuto essenzialmente a ragioni contabili: oltre 21 miliardi sono l’allocazione complessiva di fondi americani, registrata a fine anno.
Al di là delle cifre, quello che conta sono i materiali e i tempi. Come abbiamo visto per i carri armati e gli altri corazzati necessari all’offensiva, tra l’annuncio, la consegna effettiva, l’addestramento e l’allestimento delle unità esiste uno scarto temporale non comprimibile. Per questo, aiutare l’Ucraina significa doversi muovere su un binario doppio, anzi triplo:
– In primo luogo, le forniture di emergenza, per cui bisogna procedere nel minimo tempo possibile, con materiale che richieda una transizione estremamente rapida. Un esempio sono i molti mezzi corazzati di derivazione sovietica, già conosciuti alle forze ucraine, che sono stati inviati soprattutto l’anno scorso dai magazzini dei paesi dell’Europa orientale;
– Poi, il materiale che forma nuove capacità: in altre parole, i mezzi non precedentemente in dotazione o quelli per cui è necessario un addestramento prolungato. Qui rientra gran parte dell’equipaggiamento occidentale e l’esempio più eloquente è quello dei caccia F-16: l’addestramento dovrebbe iniziare (finalmente!) ad agosto, il che significa che gli aerei non potranno operare in Ucraina prima di fine marzo 2024 (altre fonti dicono prima, probabilmente perché le attività sono già iniziate in modo ufficioso, ma comunque siamo sui tre mesi);
– Infine, il materiale ricorrente: munizioni, parti di ricambio, assistenza tecnica, armi leggere ed equipaggiamenti, mezzi in sostituzione delle perdite. Qui è importante assicurare un flusso costante e sufficiente di forniture, per evitare che gli ucraini possano restare a secco proprio nel momento del bisogno.
Questi tre piani ci aiutano a capire come programmare e coordinare al meglio i nostri aiuti militari. Possiamo infatti dire che il primo gruppo si è sostanzialmente esaurito, mentre per il secondo è fondamentale la collaborazione tra alleati, se ci si vuole rendere davvero utili, come si è visto con i Leopard 2. In questo caso, infatti, i partner europei sono riusciti a consegnare un numero congruo di MBT in stato di perfetta efficienza e ad addestrare efficacemente gli equipaggi ucraini solo perché gli sforzi dei vari paesi sono stati coordinati in modo unitario dall’impegno tedesco. La Germania ci ha messo tanto per muoversi, ma alla fine ha mostrato di saperlo fare con efficacia e organizzazione; questo esempio sta venendo ripetuto con i vecchi Leopard 1A5, ma dev’essere un punto di partenza. La programmazione industriale è essenziale, anche per gestire il materiale proveniente dalle varie scorte nazionali.
Tanto più nel terzo caso, quello dei materiali ricorrenti: qui dobbiamo fare i conti con la necessità di produrre nuovi pezzi, in particolare nel caso del munizionamento di artiglieria. Il già citato programma Asap è solo una delle iniziative in corso per rilanciare un settore che da anni produce a basso ritmo e che, tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, sta realizzando un impressionante salto di capacità: si passerà da una produzione complessiva dei paesi Nato di quattrocentomila munizioni/anno a tre milioni, due dei quali in Europa (con la Rheinmetall a fare la parte più grossa, circa seicentomila colpi all’anno).
Questo sviluppo industriale avrà conseguenze anche oltre la guerra in corso, dato che comporta cospicui investimenti in un settore ad alta densità tecnologica, importanza strategia e sensibilità politica. La nuova attenzione a questi aspetti può essere l’occasione per riprendere la programmazione dell’industria della difesa su basi di maggiore efficienza, come abbiamo visto proprio nell’ultimo paio di mesi, con l’acquisizione in numeri rilevanti del nuovo Leopard 2A8 adottato nel giro di un paio di mesi da Germania (centottanta mezzi), Norvegia (cinquantaquattro), Cechia (settanta) e, in questi ultimi giorni, Italia (centodieci).
Dobbiamo essere in grado di dare oggi all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per respingere l’invasione e domani, ma in realtà già oggi, quello che serve all’Europa per difendersi e ampliare la propria autonomia strategica e capacità tecnologica. Proprio per questo serve un impegno maggiore dei Paesi Ue, al più presto, per l’Ucraina, per l’Europa stessa, nell’obiettivo di ridurre la durata del conflitto e accelerare la liberazione dei territori occupati.
Uno sforzo militare maggiore Ue in tal senso è finalizzato a rendere più efficace sia la difesa degli ucraini, rispetto a missili e droni che colpiscono i civili, sia l’offensiva ucraina in corso, possibile grazie all’utilizzo di sistemi d’arma occidentali. L’auspicio è che con una crescita degli aiuti militari l’Unione europea possa maturare nei russi l’ineluttabilità della sconfitta costringendoli a trattare una pace giusta, riguadagnando così per la stessa Ue un ruolo di player globale anche sull’assetto geopolitico che seguirà la guerra.
Questa è l’istanza dell’appello firmato tra gli altri da Vittorio Emanuele Parsi, Nathalie Tocci, Nona Mikhelidze, Luigi Chiapperini, Gastone Breccia, Benedetto Della Vedova, Luigi Marattin, Costantino De Blasi, Alessandro De Nicola, Lia Quartapelle, Federico Pizzarotti, Vincenzo Camporini e molti altri