Una «roadmap» non c’è, ma il vertice di Vilnius dell’Alleanza atlantica si chiude segnando alcuni progressi. Il primo, più visibile con l’ingresso della Svezia, è la trasformazione del mar Baltico in un «lago Nato», di cui avevamo scritto anche qui su Linkiesta. Sorvoliamo sui meme che vorrebbero Vladimir Putin impiegato dell’anno perché è riuscito a interrompere la decennale neutralità di Stoccolma e Helsinki. Il secondo, e principale, risultato è il momento «whatever it takes» degli alleati di Kiev.
«Non vacilleremo», ha detto il presidente americano Joe Biden. Di più: le potenze del G7 hanno ribadito il loro sostegno economico, militare, logistico fino alla fine della guerra. Di fatto, ha rilevato il New York Times, le parole di Biden preparano l’alleanza a un conflitto di lunga durata, a prescindere dalla durata. «Putin è ancora convinto, a torto, di poter sopravvivere all’Ucraina, ha fatto una scommessa perdente».
Tra i vincitori del summit c’è l’ottuagenario. Ha sbloccato lui lo stallo sulla Svezia, telefonando a Erdogan mentre era già in volo verso l’Europa, mettendo sul tavolo i caccia F-16 agognati da Ankara. Così la Nato si allarga a trentadue membri. È riuscito ad ascoltare le (sacrosante) aspettative di Volodymyr Zelensky, che si sarebbe aspettato tempistiche più concrete.
Il presidente ucraino torna in patria con la promessa di un ingresso nel giorno stesso della fine delle ostilità con la Russia, ma ottiene un consiglio Nato-Ucraina che farà da cerniera con gli alleati. Per questo, dopo i tweet di fuoco, ringrazia. I leader hanno ricordato che il posto del suo Paese è tra di loro. Il compromesso transatlantico non ha fornito date precise, è vero, ma quell’orizzonte teporale si colloca alla fine della controffensiva.
Da Vilnius, in un discorso in continuità con quello del castello di Varsavia, Biden evoca la Guerra fredda. «L’America non ha mai riconosciuto l’occupazione sovietica dei Baltici». Come a dire: non lo farà nemmeno con le «annessioni» del dittatore russo. Davanti a diecimila persone, e a numerose bandiere gialloblù, inserisce quella combattuta in Ucraina in una delle grandi lotte che le democrazie liberali devono affrontare.
Di fatto, Biden sembra voler rassicurare la coalizione internazionale sul fatto, temuto dalle cancellerie, che il sostegno di Washington possa risentire di «sorprese» alle presidenziali dell’anno prossimo. È un tema molto sentito, a porte chiuse, dagli alleati europei. Lo ha raccontato questa settimana l’Economist. Sia nel contributo alla Nato sia nei miliardi di aiuti all’Ucraina, gli Stati Uniti staccano tutti gli altri.
Proprio in questi giorni, l’ultradestra dei Repubblicani cerca di sabotare il budget. Gli sforzi non hanno i numeri per passare al Senato, ma il tentativo di imbastire una battaglia ideologica è forse un trailer di cosa potrebbe succedere se i trumpisti si riprendessero la Casa Bianca. Il leader del Gop alla Camera Alta, Mitch McConnell, in un tweet ha ricordato:
«La guerra non sarà vinta con i cartelloni in giardino o vuote promesse. Sarà vinta con le armi. Chiunque sia veramente preoccupato per le vittime civili in Ucraina, dovrebbe sostenere di dare ai nostri amici le capacità di cui hanno bisogno per porre fine alla brutale guerra della Russia». Non è scontato, purtroppo, che questa linea sia (ancora) maggioritaria nel partito.