Quella che potrebbe diventare l’estate più calda mai registrata sulla Terra (da quando l’essere umano è in grado di misurare le temperature) sta per inaugurare il suo periodo più torrido. Lo ha preannunciato senza troppi giri di parole l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), mettendo in allerta i governi di tutto il globo sull’arrivo di El Niño, il fenomeno climatico che si verifica nell’oceano Pacifico tropicale e che ha ripercussioni in molte altre parti del pianeta.
La combinazione tra El Niño – che ritorna una volta ogni tre-sette anni per la variabilità naturale del clima – e gli eventi estremi frutto della crisi climatica di origine antropica rischiano di comporre un cocktail devastante. L’effetto farfalla innescato da questo enfant terrible climatico del Pacifico potrebbe portare a un aumento delle precipitazioni negli Stati Uniti, in Sudamerica, nel Corno d’Africa e in Asia centrale, provocando al tempo stesso grave siccità in Asia meridionale, Centroamerica e Australia.
Difficile prevedere le conseguenze in Europa e in Italia, che dovrebbero essere più contenute ma che comunque ci saranno. Al momento sappiamo solo che la seconda ondata di caldo di questi giorni non avrebbe niente a che fare con questo fenomeno. Secondo gli esperti, infatti, è dovuta all’arrivo di un anticiclone tropicale dal deserto del Sahara
Intelligenza artificiale e meteorologia
El Niño rappresenterà un vero e proprio banco di prova per la meteorologia hi-tech internazionale. Sarà infatti utile per verificare quanto le applicazioni più recenti basate sull’apprendimento automatico e sull’analisi dei dati climatici possano fare la differenza in termini di previsioni.
I fenomeni climatici di questo tipo sono frutto di processi naturali relativamente facili da osservare e da misurare quando presi singolarmente (come il cambio di temperatura degli oceani), ma che diventano imprevedibili se combinati tra loro. Per esempio, è facile misurare uno sbalzo di temperatura in una zona remota del Pacifico, ma è difficile prevedere quanto quell’alterazione possa causare una riduzione delle piogge monsoniche in India a distanza di mesi.
Eventi come El Niño rappresentano sistemi di correlazione causa-effetto molto complessi e articolati: in pratica, sono un groviglio di dataset particolarmente intricato. Per questo, sono adatti a essere interpretati in maniera logica dalle intelligenze artificiali. Gli algoritmi che vengono alimentati con immagini satellitari, letture degli indicatori meteorologici e informazioni sul web possono rivelare pattern (schemi) che prima erano indecifrabili, formulando previsioni affidabili su ciò che accadrà in seguito. Ciò include l’arrivo stesso di El Niño, che prima sorprendeva i meteorologi all’ultimo minuto ma che, grazie all’IA, può essere previsto con più di un anno di anticipo.
In Italia, per il momento, il campo di analisi sulle conseguenze di questo fenomeno è ancora piuttosto limitato. «A livello climatologico, l’Italia si colloca nella cosiddetta fascia temperata, dove tendenzialmente i segnali di teleconnessioni atmosferiche come El Niño non sono particolarmente significativi», spiega a Linkiesta Gianluca Ferrari, responsabile data analysis di Hypermeteo, realtà italiana che si occupa di raccolta ed elaborazione di dati meteorologici attraverso l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale. «I segnali sono più netti nelle fasce tropicali, mentre nelle zone “temperate” non è facile raccogliere variabili e osservare correlazioni dirette con il fenomeno».
Hypermeteo gestisce grandi insiemi di informazioni “raccolte sul campo”. Ad esempio, «dati provenienti da stazioni installate sul territorio, da radar che danno indicazioni areali sulle precipitazioni, quelli satellitari e quelli relativi ai fulmini», puntualizza Francesco Dell’Orco, Ceo e co-fondatore dell’azienda padovana nata nel 2007. Dopodiché, le integra con altri dati modellistici, affinandoli con software di IA. Questo processo permette di ottenere flussi di dataset di grandissima qualità, utilizzati in seguito per effettuare le previsioni meteorologiche vere e proprie.
La meteorologia moderna, infatti, si basa sull’interpretazione di matrici di dati molto ampie attraverso modelli matematici particolarmente complessi. Ed è qui che l’intelligenza artificiale svolge un ruolo fondamentale: «Noi ricostruiamo griglie di dati formate da celle, dove ogni cella rappresenta un chilometro quadrato del territorio italiano», prosegue Ferrari. All’interno delle varie porzioni si assiste al flusso meteorologico di quella determinata area, in maniera circoscritta ed estremamente precisa.
«Nelle celle in cui non si raccolgono dati osservativi (per esempio perché non ci sono stazioni meteorologiche), il dato stesso viene prodotto attraverso tecniche di rianalisi post-processate con l’IA. Le reti neurali aiutano a ridurre l’incertezza dell’informazione. In questo modo, l’errore che si commette in queste celle si riduce molto».
Il rischio di diseguaglianze sul piano internazionale
Uno studio condotto a maggio dagli economisti del Dartmouth College e pubblicato su Science ha stimato che gli effetti di El Niño potrebbero sottrarre tremila miliardi di dollari al Pil mondiale da qui al 2029, a causa del suo impatto devastante sull’agricoltura, sulla salute pubblica e sulle infrastrutture di diversi Paesi.
A essere maggiormente colpite saranno le popolazioni più fragili, prive delle tecnologie adatte a prevedere fenomeni atmosferici potenzialmente devastanti come le ondate di calore, le alluvioni o gli uragani. Strumenti che mai come in questo momento risultano efficaci per arginare i problemi causati dalle variazioni climatiche, anche e soprattutto grazie ai recenti progressi degli algoritmi basati su apprendimento automatico e della potenza computazionale in generale.
Per questo, l’utilizzo dell’IA nella meteorologia fa sorgere diverse preoccupazioni sul piano internazionale. Il rischio è che i recenti sviluppi possano portare a uno scenario caratterizzato da forti disuguaglianze tra chi avrà accesso ai nuovi strumenti e chi sarà tagliato fuori, provocando squilibri soprattutto in contesti in cui avere previsioni migliori conferirà un notevole vantaggio commerciale, come nel caso delle previsioni meteorologiche su scala iperlocale a favore dell’agricoltura.
Una preoccupazione espressa anche da Christopher Callahan, coautore dello studio di Science su El Niño: «Il mio timore è che si finisca per avere prodotti costosi e di nicchia che le grandi aziende agroalimentari statunitensi possono permettersi, ma le piccole aziende dei Paesi in via di sviluppo no. Ci sarebbero così agricoltori che si indebiterebbero enormemente per acquistare le tecnologie di cui hanno bisogno per rimanere competitivi», ha dichiarato il ricercatore a Semafor.