Non sono nemmeno trascorsi dieci mesi dalle elezioni, ma la politica si sente già assediata. Quasi come nei momenti peggiori. Il clima è pesante. Tutti contro tutti, senza un filo logico. Il Parlamento del 25 settembre è già un brutto Parlamento. Sente il fiato della magistratura sul collo (il caso Santanchè, ieri il ritorno dell’affare Delmastro), ma non solo, la politica va contro la politica e i nervi saltano, come si è visto ieri a Montecitorio dove un Giuseppe Conte terrorizzato dalla istituzione di una commissione d’inchiesta sul Covid ha quasi gridato al golpe. In tutto questo persino il testamento di Silvio Berlusconi lambisce gli ambienti a lui vicini e innervosisce più di qualcuno: purtroppo per gli azzurri, non ha lasciato anche un testamento politico.
Non siamo al 1992-93, ma proprio come allora si muove la Procura di Milano, non c’è aria di fine regime né di crisi di governo eppure da qualche giorno nel Palazzo l’aria è pessima. La vicenda di Daniela Santanchè (indagata con il compagno e la sorella), lo scrivevamo ieri, non può che restare aperta e non perché lo chiede Conte col supporto un po’ sghembo e subalterno di Elly Schlein ma perché a quanto sembra la questione ha un radicamento nelle carte giudiziarie, e quindi gli sviluppi saranno inevitabili.
Ieri poi è deflagrata un’altra bomba sempre all’indirizzo di un esponente di governo, il sottosegretario alla Difesa Andrea Delmastro, anch’egli del partito di Giorgia Meloni, per la vicenda Cospito e la presunta rivelazione di segreti, con il Giudice per le indagini preliminari di Roma che ha chiesto l’incriminazione coatta dopo che la Procura aveva chiesto l’archiviazione per il sottosegretario. Ci sarebbero le prove, per il Gip, sull’elemento soggettivo, ovvero che fosse consapevole dell’esistenza del segreto. Se rinviato a giudizio, si porrà la questione delle dimissioni anche per lui (il verde Angelo Bonelli già le chiede).
In ogni caso, negli ambienti di Fratelli d’Italia si rinnova in queste ore un vecchio slogan: è giustizia a orologeria, adesso che Carlo Nordio è vicino a una riforma della giustizia che ai magistrati non piace: «I magistrati fanno opposizione». Siamo nuovamente al cortocircuito giustizia-politica. Vedremo se la presidente del Consiglio imboccherà la strada della battaglia contro le toghe come il suo illustre predecessore Silvio Berlusconi, spostando le lancette indietro di trent’anni, o se sceglierà di spegnere i fuochi di un nuovo scontro istituzionale tra poteri dello Stato.
Di certo, il partito che doveva cambiare l’Italia oggi è un partito che ha paura e Meloni è nervosa perché difficilmente può contestare quanto ha scritto un intellettuale che pure non è un suo nemico, Ernesto Galli della Loggia, il quale vede «un presidente del Consiglio sempre un po’ in affanno e pronto a dare sulla voce, dall’aria sempre un po’ corrucciata, chiusa nel ristretto cerchio dei suoi fedelissimi da un lato e nel circuito del potere e dell’ufficialità dall’altro».
Probabilmente Meloni non si aspettava un’infilata così di problemucci, dagli scarsissimi risultati in sede europea alle vicende che investono esponenti del governo e membri del suo partito. E che la situazione stia rapidamente volgendo verso un impazzimento dei ruoli e dei toni lo dimostra anche quanto è accaduto ieri a Montecitorio, dove si è approvata con i voti della maggioranza una legge che istituisce una commissione bicamerale d’inchiesta sulle azioni del governo all’epoca del Covid (che adesso deve passare al Senato). La magistratura ha già assolto Giuseppe Conte e Roberto Speranza, che in Aula ha usato anche lui toni estremamente duri, dai reati gravissimi di cui erano imputati: ma allora di che cosa hanno paura? Temono una vendetta della destra per il caso Santanchè: è un altro elemento di una situazione che può degenerare. Allacciate le cinture.