Oggi, 19 luglio, in America si festeggia la giornata nazionale dedicata all’hot dog: il panino rappresentante la cultura culinaria di tutto il Paese, ma le cui origini sono da cercare altrove, oltreoceano. Siamo in Germania, nel tredicesimo secolo, uno dei cibi più diffusi sono i Frankfurter, salsicce composte da carne di maiale e manzo diffusesi poi nel 1700 a Vienna. I migranti tedeschi e austriaci le portarono con loro alla dogana di Ellis Island, rendendole inizialmente protagoniste del loro business. Spinti dall’ingegno, dalla voglia di esaudire il sogno americano e dalla fame, molti divennero infatti venditori ambulanti. Le prime tracce della loro attività risalgono già ai primi dell’Ottocento, nei pressi di Yale. Il vero successo e la nascita dell’hot dog ha però come sua patria New York, precisamente il Midwest, in una grande strada di St.Louis. Qui somministravano nei loro chioschi itineranti, dotati di bollitori, Frankfurter preparati secondo la tradizione tedesca ai passanti, a cui fornivano dei guanti di lana per non bruciarsi. Molti di questi non venivano però restituiti, costituendo una perdita importante per i commercianti. Per ovviare a ciò, si rivolsero ai panettieri, chiedendo loro un pane allungato che tagliato in due potesse ospitare la salsiccia. Ecco quindi l’hot dog, cibo che conobbe la sua fortuna divenendo il pasto prediletto dagli Americani nei parchi divertimento (pensiamo a Coney Island) e negli stadi. Proprio in questi ultimi è ambientata la leggenda che spiegherebbe il curioso nome del panino.
I commercianti erano soliti venderli caldi e promuoverli con il loro nome gergale Dachshund. Il vignettista del New York Times, Tad Dorgan, si trovava nel 1901 al Polo Grounds di New York quando assistette alla scena. Decise di ritrarla, ma non sapendo come tradurre il termine tedesco ed essendo quello, lo stesso con cui veniva chiamato il bassotto, la specie di cane introdotta sempre dai Tedeschi, scrisse nel fumetto «Hot Dog». Questo è appunto ciò che viene raccontato. In realtà, sembrerebbe che già prima gli studenti di Yale associassero la forma dell’animale a quella allungata dei carretti, probabilmente tale per far posto ai bollitori, chiamandoli dog wagons. Inoltre, ironizzavano spesso sulla qualità della carne dei dachshund. Unirono i puntini e chiamarono i panini «hot dog».
La ricetta originale prevede che il würstel venisse posto tra le due fette di pane morbido e condito con senape, cipolla e cetriolini. Dalla Grande Mela, l’hot dog conquistò poi l’America, venendo riconosciuto simbolo della cucina nazionale. Ogni città lo ha fatto però suo, dandone un’interpretazione personale, cambiando la carne e le diverse farce. Nella città ventosa di Chicago il panino è il simbolo della città. È rigorosamente di tipo wiener e con sola carne bovina, arricchito con fette di pomodoro, cipolla bianca cruda tritata, mostarda gialla, peperoncini verdi piccanti, aneto sott’aceto e sale al sedano, senza alcuna salsa. La salsiccia di origine indoeuropea assume la stessa importanza a Seattle. Qui la carne è però di origine polacca, servita tra due fette di pane ciabatta e sopra vengono aggiunti crema di formaggio, cipolle grigliate e altri condimenti a piacere: jalapeños, cavolo, crauti grigliati, salsa barbecue o Sriracha. Se ci spostiamo invece a Coney Island, uno dei suoi luoghi storici, l’hot dog vede il würstel dentro un panino cotto al vapore e ricoperto di salsa chili, mostarda e cipolla cruda tritata, cheddar per chi vuole di più. Infine, terminiamo il viaggio a Newark, in New Jersey, dove è stato inventato il «Italian hot dog»: salsicciotto di carne bovina fritto, all’interno di una mezza focaccia bianca, sommerso da cipolle fritte, peperoni rossi e patate fritte a cubetti. «Italiano» è anche il nome di una delle due varianti di “El Completo”, l’hot dog cileno, chiamata così perché realizzata con ingredienti che per il loro colore ricordano la nostra bandiera: pomodori sminuzzati, salsa avocado e maionese. I panini sono così: nel decidere di dividersi in due metà si aprono al diverso, al nuovo, allo sconosciuto che viene da lontano, in un perpetuo viaggio di andata e ritorno, che restituisce in entrambi le direzioni contaminazione e ricchezza. In questo caso, siamo andati dall’Italia all’America, ma la presenza dell’hot dog nei nostri menu suggerisce che ha viaggiato anche in senso opposto.
Quando effettivamente però l’iconico panino americano è arrivato nel nostro Paese? Le sue tracce si trovano già in uno dei primi ricettari ad aver assegnato al panino in Italia una vera e proprio ricetta e denominazione: il ricettario di Elena Spagnol del 1976 dal titolo «I Panini, freddi e caldi, salati e dolci, mignon e formato famiglia, classici e nuovi, croste, crostini, focacce, false pizze». Nella sezione «Alcuni classici», a pagina 121-122, affianca a panini richiamanti sapori italiani le ricette del «hot dog all’americana» e l’«hot dog alla parigina», segno di come questi fossero già presenti nella cultura culinaria italiana e fossero già stati accettati. Proprio in quell’anno si assistette alla nascita del fenomeno che contraddistinguerà tutti gli anni ’80 meneghini: i paninari. Una generazione non fannullona, come invece molti ritengono, ma che ha contribuito a plasmare una cultura del panino in Italia proprio orientata a riconoscerlo come «due fette aperte a tutto», duttile nelle su forme e ingredienti, incline e influenzato da quanto proveniva dall’esterno. Così facendo, loro spianarono la strada all’apertura del «Wendy’s» di Largo La Foppa, «Burghy» in Piazza San Babila e, in conclusione, al colosso e loro fagocitatore McDonald’s. L’avvenuta del panino americano per eccellenza aveva innescato dall’altra parte una forte «nostalgia dei sapori italiani», la volontà di riscoprire il suo omonimo dalla connotazione italiana semplice, ma al contempo ricercato che era nato negli anni ’60 e che si temeva potesse essere sostituito da quello, globale, economico, standard. A farsi carico di questa missione fu l’insegna milanese Panino Giusto, proponendo nella sua prima sede e nelle altre poi inaugurate un panino imbottito ed equilibrato, con un pane rigorosamente caldo, scaldato sulla piastra, farcito con ingredienti di qualità selezionati accuratamente, espressione del territorio italiano in sé e delle sue tradizioni.
In tutto questo, ci viene da chiederci: dove è finito l’hot dog? Nel 2001 la società statunitense «Marathon» annunciò la distribuzione in Italia del suo marchio Sabrett, «il più famoso hot dog americano». A dispetto di quanto avveniva negli Stati Uniti e in Asia, per la sua vendita nel continente europeo, la ditta americana aveva deciso di collaborare con aziende locali per la realizzazione dei suoi componenti, al fine di soddisfare le aspettative qualitative più alte del consumatore europeo. Rispettivamente: il gruppo Cremonini per la carne di manzo di qualità e per la sua possibilità di dotarsi delle tecnologie necessarie per realizzare il würstel Sabrett e la società spagnola Bimbo per il pane. Nel 2012 nel nostro Paese arrivò Oscar Mayer, il «vero hot dog»: quello grigliato durante i barbecue domenicali in famiglia, quello venduto nei chioschi delle strade e mangiato negli stadi. Questo è l’hot dog che fino quasi tutto il primo ventennio degli anni 2000 si trovava in Italia e gli italiani consumavano. Ecco però che negli ultimi cinque anni, il panino idealizzato esclusivamente americano ha iniziato ad assumere una nuova veste. Come si è fatto per la maggior parte di ingredienti, pietanze provenienti da fuori e oggi considerati “tradizionali”, lo si è assimilato all’interno della nostra cucina. Lo si è accolto, lo si è fatto proprio, combinandolo con prodotti nostrani, contribuendo così ad arricchire la nostra identità culinaria con nuove combinazioni e sapori, aiutandola ad evolvere, a sopravvivere in altre parole. Se Milano era stata casa della creazione del «panino italiano gourmet» negli anni ’60 contro il sandwich inglese, lo è stata anche di quella del «hot-dog italiano» con l’apertura nel 2019 di ODDO – Italian Finest Hot Dog. Locale sul Naviglio Pavese, ora chiuso definitivamente, questo proponeva, accanto a quelli di ispirazione più americana e internazionale, hot dog realizzati con ingredienti selezionati, richiamanti le produzioni del territorio nazionale. Nel caso dell’omonimo panino del locale “ODDO”, la Sicilia: würstel, indivia, caprino, granella di pistacchio e salsa scilla (salsa agli agrumi). Sempre nella città meneghina, compare nel menu del pub East River American Pub, tra gli Chef Hot Dog, il “Walking Italy”: pane artigianale al latte, würstel, mortadella piastrata, salsa all’amaro Ramazotti, riduzione di aceto balsamico, pistacchio. Lo stesso filone sembra venir replicato anche in altre città italiane. Scendendo giù, in Emilia Romagna, l’insegna bolognese Merlino propone ai suoi clienti come suo cavallo di battaglia “l’hot dog bolognese” farcito con salsiccia di polpettone, friggione (salsa a base di cipolle bianche e pomodori tipica bolognese), squacquerone e cipolla croccante. A Roma invece, Oh Dog offre ai suoi clienti la possibilità di scegliere carni diverse con cui comporre l’hot-dog: da una salsiccia di suino, alla luganega (insaccato fresco, lungo e stretto diffuso nel Nord Italia) fino a un würstel di farro e soia bio. Il panino nel suo formato vegetariano è un’altra sfumatura con cui si è evoluto nel nostro Paese. A diffonderne la conoscenza e costruirne la domanda e richiesta, hanno contribuito anche la pubblicità, l’editoria e i programmi televisivi e online dedicati alla cucina. Come primo risultato digitando «hot dog vegetariano», compare infatti quello preparato da Benedetta Parodi, realizzato con ceci e fagioli. La proposta veg non può mancare nella città meneghina, dove c’è tutto e per tutti e le novità trovano terreno fertile per diffondersi. Ecco che lo scorso mese, in occasione del pop-up estivo organizzato dal locale Tipografia Alimentare in collaborazione con CiaoRoma, il menu tutto a base di hot dog prevedeva anche quello Veggy: parmigiana, pickles e basilico. Un hot dog senza carne, ma che ancora viene chiamato e definito tale. Perché? Dobbiamo guardarlo con una nuova prospettiva. È un nuovo concetto del panino americano quello che si facendo spazio nel panorama italiano. La sua identità non è definita più dai suoi condimenti o dal tipo di würstel usato. Hot dog è tale perché con la sua forma e pragmaticità richiama un consumo veloce, goloso, spensierato, qualunque sia la sua dimensione e contesto in cui avviene. Ne è espressione quello dell’insegna milanese Baratie: un mini hot dog farcito con asparagi sbollentati, servito come tapas, «da mangiare rigorosamente in due morsi». Lui, goloso, easy, wais, New York style. È vero infatti che Milano ci offre questa nuova versione del panino, è anche vero però che in fondo questo mantiene sempre il suo essere e fare americano, anzi. Proprio negli ultimi mesi la città è diventato il palcoscenico di realtà che hanno rinvigorito e ora soddisfano il desiderio di poter gustare l’hot-dog americano «vero e proprio», classic, senza italianismi. A far rivivere queste vibes è quello Newyorkese di Chuck’s, servito da una delle finestre del collettivo street food Sidewalk Kitchens: «natural, wrapped in smoked bacon, deep-fried», cosparso con una generosa dose di ketchup e pickles. A offrirne una versione più ricca, stile Seattle è invece la nuova insegna dell’American Fast Food firmata Mocho di cui vi abbiamo parlato nella prima puntata di Kitchen Roulette: Meat Crew. Qui, in via Bligny, il creator propone il «bacon cheese dog»: brioches roll contenente würstel di suino affumicato, American Cheese Sauce e bacon super crispy.
Alla domanda «Come si presenta l’hot dog oggi in Italia?», potremmo dire che non vi è una risposta unica. È in diversi formati, può essere classico o gourmet, con carni diverse o vegetariano. Una cosa è però certa: è quel panino che per la sua forma e il suo essere ispira gioco, spensieratezza, un’ironia spesso non permessa ma che il suo consumo concede e fa ridere tra amici e fa stare bene. La metafora di una vita da mangiare in pochi bocconi. E noi lo amiamo per questo.
East River American Pub
Piazza Tre Torri, Milano (MI); Piazza Vetra, 17, Milano (MI)
Merlino – Il Mago della Farina
Via Giorgio Ercolani, 1/d, Bologna (BO)
Oh Dog!
Via Tuscolana, 59, Roma (RM)
Tipografia Alimentare
Via Dolomiti, 1, Milano (MI)
Ciao Roma
Vicolo di San Celso, 8, Roma (RM)
Baratie
Via Stendhal, 49, Milano (MI)
Chuck’s
Via Bonvesin de la Riva, 3, Milano (MI)
Meat Crew
Viale Bligny, 18, Milano (MI)