Tu prendi la voce pacifista di questi due anni e passa di guerra per procura, questa guerra dell’occidente «armato fini ai denti» che corrompe la naturale predisposizione dei vicini a stare sotto il tacco russo. Non c’è, la voce pacifista, quando il criminale di guerra ammassa centocinquantamila soldati ai confini dell’Ucraina. Non c’è quando il criminale di guerra annuncia l’inizio dell’operazione speciale. Non c’è quando si fa sapere da Mosca che si tratta di rimuovere e di sostituire con gente perbene il governo nazista degli omosessuali e drogati di Kyjiv.
Poi arriva, la voce pacifista. Arriva quando quelli dicono che resisteranno. Arriva quando la gravida sventrata ha un curriculum improbabile: faceva la modella. Arriva per il tramite del giornalista democratico che raccomanda di non fidarsi della propaganda, perché c’è anche chi dice che l’ospedale era un covo di nazisti, e vai a sapere dove sta la verità. Arriva la voce pacifista con le cronache sulla stazione devastata dal missile con targa discutibile, verosimilmente ucraina. Arriva la voce pacifista a commento dei bossoli mancanti ai margini del massacro di Bucha.
Poi, nei mesi, ormai negli anni, continua ad arrivare sì e no. Dipende. Non arriva – perché «e allora il Vietnam?» – sulla notizia dei soldati decapitati. Non arriva – perché «e allora l’Iraq?»- sulle donne e i bambini stuprati. Non arriva – perché «e allora i Territori Occupati?» – sugli asili inceneriti. Non arriva – perché e «allora i profitti dei mercanti di armi?» – sui condomini sventrati dai droni iraniani.
Arriva la voce pacifista a tutela del pilone del ponte che porta i convogli militari del macellaio a denazificare i mercati le chiese ucraine, arriva con il conforto della giornalista d’inchiesta che chiede a Zelensky – a Zelensky, non a Putin, a Zelensky, perdio – «dove vuole fermarsi». Arriva la voce del pacifista quando sale la bolletta del gas che affligge i desideri di pace della Repubblica fondata sull’antifascismo, contro l’Italia serva della Nato che manda soldi agli ucraini e si dimentica dei dipendenti dell’Atac e dei diritti di undicimila resistenti della Rai.
Non arriva la voce del pacifista sul proclama del generale russo che rivendica il dovere morale di «bruciare i bambini ucraini». Arriva la voce del pacifista a salvaguardia dell’accademico che arrota la erre nella deplorazione della pace sacrificata alla brama di guerra che “rade al suolo intere regioni”, e chi sia a raderle al suolo è un dettaglio di cui il fisico da televendita progressista non si interessa.
Non arriva la voce pacifista a commento del santone panslavista che celebra le virtù identitarie delle bombe sui parchi giochi dei bambini: arriva a censura del presidente statunitense che parla maleducatamente di Putin. Non arriva la voce pacifista sulle dichiarazioni dello stalinista che definisce «passanti» i ciclisti abbattuti dai cecchini. Non arriva la voce del pacifista quando il genocida prende per fame, per sete e per freddo le città assediate: arriva quando l’aiuto ai bambini nei rifugi, alle vedove, ai volontari che proteggono le famiglie dai saccheggi e dalle torture, attenta al reddito di cittadinanza.
Arriva la voce pacifista a conforto e ad assoluzione degli stragisti: a dare il nome di pace alla vittoria e all’impunità degli assassini.