L’Italia com’èIl corto circuito politica-giustizia non è nato con Berlusconi e non poteva finire con lui

Per cambiare qualcosa bisognerebbe scomporre i blocchi di potere che in questi trent’anni si sono consolidati dietro ciascuno schieramento. O altrimenti rassegnarsi a questa trentennale diatriba tra diverse fazioni sempre alla ricerca dell’impunità per sé e della gogna per i propri nemici

Foto Claudio Furlan/LaPresse

Se qualche ingenuo immaginava che la scomparsa di Silvio Berlusconi avrebbe fatto scomparire anche il problema dello scontro permanente tra politica e giustizia, le vicende di questi giorni, culminate nelle gravissime dichiarazioni consegnate alle agenzie da «fonti di Palazzo Chigi», hanno cancellato ogni residua illusione. Del resto, il problema era cominciato prima di Berlusconi, nel 1992, con l’inchiesta Mani Pulite, e non c’era ragione di pensare che sarebbe svanito dopo. Si potrebbe anzi sostenere che Berlusconi di quel problema sia stato semmai una conseguenza, più che una causa, ma sarebbe una discussione noiosissima.

Più divertente è notare come il fronte dei garantisti, quelli cioè che vorrebbero farla finita con l’uso politico della giustizia e l’abuso delle intercettazioni, al momento sia impegnato a difendere il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e il suo compagno di partito Giovanni Donzelli dall’accusa di avere spifferato (il primo) e indebitamente utilizzato in parlamento contro l’opposizione (il secondo) il contenuto di alcuni colloqui intercettati in carcere.

Per chi si fosse distratto o avesse dimenticato qualche dettaglio, è forse opportuno ricordare come la difesa non consista nel mettere in dubbio che i due esponenti di Fratelli d’Italia abbiano fatto esattamente questo, ma nel sostenere che non ci fosse niente di male nel farlo. Inutile aggiungere che il primo a tenere questa bizzarra linea difensiva sia stato proprio il ministro Carlo Nordio (con la singolare distinzione tra atti riservati e a «limitata divulgazione», che evidentemente si possono declamare in parlamento durante una diretta televisiva, se questo è utile ad attaccare l’opposizione, e atti «segreti»). Nordio, peraltro, aveva già dimostrato la tempra del suo garantismo prendendo a suo tempo le parti di Matteo Salvini, quando da ministro dell’Interno chiudeva i porti e lasciava per giorni centinaia di naufraghi in balia dei sondaggi.

È insomma sempre, sempre, sempre la stessa storia: in Italia il populismo giustizialista è l’ideologia dominante nel novantanove per cento dei partiti, sostituita da un inflessibile garantismo soltanto quando sotto accusa c’è qualcuno dei loro, almeno nei partiti di destra. Per i partiti di sinistra bisogna infatti che l’accusato sia anche della stessa corrente, vedi altrimenti il trattamento riservato a Matteo Renzi (nel caso vi fosse sfuggito il trafiletto: i suoi genitori sono stati definitivamente assolti in Cassazione). Per non parlare di giornali, televisioni e circoli intellettuali.

La divisione tra berlusconiani e antiberlusconiani sulla giustizia è stata solo un aspetto del trentennale gioco di interdizione reciproca con cui il bipolarismo italiano ha posto il dibattito pubblico su un binario morto. Che si tratti di riforma della giustizia o di leggi elettorali, federalismo o presidenzialismo, in Italia è sempre il giorno della Marmotta. Il gioco ricomincia sempre da capo, senza andare mai da nessuna parte.

Per cambiare qualcosa bisognerebbe poter mischiare le squadre, scomporre i blocchi di potere e di consenso che in questi trent’anni si sono consolidati dietro ciascuno schieramento, dentro e accanto alle diverse corporazioni (a cominciare da quella, potentissima, dei magistrati). Operazione difficilissima e spericolata, perché vorrebbe dire spezzare una rete fittissima di solidarietà e complicità trasversali (la prima separazione delle carriere da imporre, si è detto spesso e giustamente in proposito, sarebbe quella tra pubblici ministeri e giornalisti).

Oppure possiamo rassegnarci a questa stucchevole diatriba tra diverse fazioni – composte in egual misura da magistrati, politici e giornalisti – che da trent’anni si battono in nome di principi a loro estranei ancor prima che ignoti, impegnate come sono a chiedere ogni giorno l’impunità per sé e la gogna per i propri nemici. Spesso, purtroppo, ottenenendole entrambe. L’Italia com’è.

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